Next Generation ER: l’impiego di fondi strutturali e risorse straordinarie nel Patto per il Lavoro e per il Clima
- 20 Dicembre 2021

Next Generation ER: l’impiego di fondi strutturali e risorse straordinarie nel Patto per il Lavoro e per il Clima

Scritto da Enrico Verdolini

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Il 15 dicembre 2020 è stato sottoscritto il nuovo Patto per il Lavoro e per il Clima con cui la Regione Emilia-Romagna e le istituzioni pubbliche locali, i sindacati, le associazioni di imprese e di categoria, hanno co-determinato una serie di priorità di politica economico-sociale e di strategie d’attuazione condivise. Il testo del Patto è stato, fra l’altro, recepito dalla delibera di Giunta regionale n. 1899 del 2020.

Nella prassi degli ultimi vent’anni, la Regione Emilia-Romagna ha adottato in più casi un metodo simile di concertazione sociale, agendo come ente di governo[1], in grado di formulare direttive, prospettare risultati da raggiungere e indirizzi da perseguire, prescrivendo norme e comportamenti di massima. La concertazione è, del resto, richiamata come strumento di politica pubblica dall’art. 4 dello Statuto regionale. Il precedente più significativo è quello del Patto per il Lavoro sottoscritto nel 2015 e oggetto d’approfondimento e d’analisi in una pubblicazione di particolare interesse, Coesione e innovazione. Il Patto per il Lavoro dell’Emilia-Romagna[2], cui ha contribuito, fra gli altri, l’attuale Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi.

Da un lato, la concertazione sociale è il modo per decidere, in maniera condivisa con le rappresentanze economiche e sindacali, gli indirizzi essenziali della politica di sviluppo economico e occupazionale: da questo punto di vista il Patto per il Lavoro e per il Clima ha riaffermato i temi che hanno caratterizzato in passato la concertazione regionale dell’Emilia-Romagna, come la promozione di nuova occupazione, il potenziamento delle politiche attive per il lavoro, la riduzione della percentuale dei giovani NEET[3], l’investimento sulle produzioni portanti dell’economia regionale, le politiche di rilancio di settori economici che abbiano attraversato particolari fasi di difficoltà. Dall’altro lato, la particolarità del Patto per il Lavoro e per il Clima sta nell’aver aperto lo schema della concertazione, estendendo l’interlocuzione con le parti sociali alla questione ambientale ed ecologica: il Patto ha fatto proprie le prospettive aperte dall’Agenda 2030 ONU per lo sviluppo sostenibile e dal Green Deal europeo[4], fissando gli obiettivi della transizione totale alle energie pulite e rinnovabili entro il 2035 e del conseguimento della piena neutralità carbonica entro il 2050.

Per ciascuno degli indirizzi del Patto per il Lavoro e per il Clima, sia che si trattasse di quelli di sostanza economico-occupazionale, che di quelli di carattere ambientale, sono state individuate delle linee d’intervento, di diversa natura, che potessero essere utili nel perseguire gli obiettivi prefissati. Per fare degli esempi, sotto il profilo della transizione ecologica, oltre all’approvazione di una Legge regionale per il Clima, sono state previste delle sovvenzioni alle imprese per orientare gli investimenti verso le energie rinnovabili e verso processi e prodotti a minor impatto ambientale. Dal punto di vista dello sviluppo economico e occupazionale, fra le numerose linee d’indirizzo, il Patto ha previsto di potenziare gli strumenti di sostegno delle iniziative imprenditoriali, come contributi e incentivi, nonché i processi d’integrazione di filiera, aggregazione e fusione delle imprese, in un’ottica di rafforzamento del tessuto produttivo locale.

Il Patto per il Lavoro e per il Clima ha fondato una parte importante della propria attuazione sulla programmazione dei fondi europei 2021-2027 e sulla possibilità di indirizzare, verso gli obiettivi strategici già individuati dalla concertazione, le risorse straordinarie del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (d’ora in avanti, PNRR) messe a disposizione dalle istituzioni europee. Questa caratteristica del Patto per il Lavoro e per il Clima, di fare affidamento sulle risorse europee, è coerente con l’impostazione dell’art. 4 dello Statuto della Regione Emilia-Romagna, che ha qualificato la concertazione come strumento di sviluppo economico e occupazionale: «la Regione, in armonia con i principi della Costituzione italiana e dell’Unione europea, opera per (…) promuovere la coesione sociale mediante forme di (…) concertazione (…) che consentano un elevato livello di democrazia economica e sociale».

L’art. 4 dello Statuto ha disciplinato la concertazione regionale come modalità co-decisionale volta a promuovere un maggior livello di coesione sociale: la coesione sociale, richiamata dallo Statuto, a livello europeo può essere perseguita principalmente attraverso lo strumento dei fondi strutturali, che consentono di realizzare una macro-redistribuzione economica e un maggior livello di uguaglianza fra le varie regioni degli Stati membri. I fondi europei sono da considerarsi, pertanto, come lo strumento privilegiato di quella coesione che il Patto per il Lavoro e per il Clima persegue ex art. 4 dello Statuto. Non si tratta di una novità assoluta, dal momento che la Regione Emilia-Romagna aveva abbinato al Patto per il Lavoro del 2015 la programmazione integrata dei fondi europei ordinari per il periodo 2014-2020, riconducibili a tre diverse categorie d’azione (Fondo europeo di sviluppo regionale, Fondo di sviluppo europeo e Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale), per un ammontare complessivo di 2,44 miliardi di euro[5].

È stato riconosciuto come la concertazione regionale (il precedente Patto per il Lavoro) abbia inciso in senso positivo sulla capacità di utilizzo dei fondi europei da parte della Regione: mentre per altre Regioni il tasso di utilizzo dei fondi non si è avvicinato neanche alla percentuale del 50% delle risorse disponibili, per l’Emilia-Romagna la percentuale d’impiego ha superato di gran lunga il 90% per ciascuno dei tre programmi operativi richiamati. Nel caso del Fondo europeo di sviluppo regionale, praticamente la totalità (il 99,6%) della somma stanziata per il periodo 2014-2020 è stata spesa entro giugno 2019 in più di 2.900 progetti. Per quanto riguarda il Fondo sociale europeo, una percentuale significativa (il 93,1%) della dotazione avuta dall’Emilia-Romagna è stata impegnata sempre entro giugno 2019.

Un’innovazione di particolare portata sta nel fatto che il nuovo Patto per il Lavoro e per il Clima può fare affidamento sulle risorse straordinarie del piano Next Generation EU: il Patto per il Lavoro e per il Clima, pertanto, può svolgere una funzione centrale nell’indirizzare verso obiettivi strategici già individuati l’utilizzo di una parte delle risorse straordinarie messe a disposizione dalle istituzioni europee. Un intero paragrafo del Patto è stato dedicato a Next Generation EU e all’occasione storica rappresentata dal PNRR. I firmatari del Patto hanno messo nero su bianco come «il sistema territoriale dell’Emilia-Romagna intende svolgere un ruolo da protagonista tanto nella programmazione quanto nella gestione delle risorse straordinarie che il Paese avrà a disposizione»[6]. Questa dichiarazione d’apertura sottintende una visione precisa di come le Regioni, come enti di governo, possano svolgere una funzione protagonista nella gestione dei fondi del PNRR, evitando le tentazioni di un approccio eccessivamente centralizzato.

Il Patto vuole essere lo strumento per orientare le risorse europee disponibili, sia quelle ordinarie che quelle straordinarie, verso obiettivi strategici territoriali, attentamente circoscritti dalle istituzioni pubbliche locali e dalle parti sociali regionali, condividendo gli interventi strutturali necessari a promuovere lo sviluppo economico e sociale dell’Emilia- Romagna. In senso coerente, il Patto per il Lavoro e per il Clima ha previsto come, nei cinque anni successivi alla sua sottoscrizione, debbano essere perfezionati degli accordi operativi funzionali a raggiungere gli obiettivi condivisi, basati sulle stesse modalità di partecipazione e confronto fra i firmatari del Patto: secondo quanto stabilito nel Patto, «oggetto di tali successivi accordi saranno, in particolare, gli investimenti da realizzare con le risorse europee straordinarie e ordinarie, la Strategia Regionale Agenda 2030 e quella di semplificazione, il Percorso regionale per la neutralità carbonica prima del 2050»[7].

A distanza di circa un anno dalla sua sottoscrizione, è possibile cogliere un ulteriore tratto di differenziazione del Patto per il Lavoro e per il Clima rispetto ai precedenti accordi di concertazione sociale promossi e siglati dalla Regione Emilia- Romagna: già in questi primi mesi, il Patto si è caratterizzato per avere un importante seguito contenutistico in due documenti politici, di particolare rilievo, adottati dalle istituzioni regionali. L’impatto avuto, in questi termini, ha assunto una portata inedita rispetto ai precedenti della concertazione sociale regionale.

Un primo elemento, di particolare rilievo, sta nel fatto che il Documento Strategico Regionale per la programmazione unitaria delle politiche europee di sviluppo 2021-2027 (delibera di Giunta regionale n. 586 del 2021), adottato dall’Emilia-Romagna, contenga importanti riferimenti al Patto per il Lavoro e per il Clima: «Il DSR 2021-2027 delinea pertanto il quadro strategico all’interno del quale indirizzare l’insieme delle risorse europee e nazionali di cui beneficerà il territorio regionale (…). Orienta la programmazione operativa dei fondi gestiti dall’Amministrazione regionale verso gli obiettivi strategici del Patto per il Lavoro e per il Clima»[8]. Il Documento Strategico Regionale (d’ora in avanti, DSR) ha la funzione di indirizzare le scelte dei programmi operativi dei fondi strutturali[9]. Da questo punto di vista, il DSR ha espresso importanti considerazioni riguardanti sia il metodo della programmazione (come svolgerla in concreto e come realizzare le politiche), che la direzione della stessa (gli scopi verso cui orientarla).

Nello specificare quale sarà la modalità operativa[10] adottata, il DSR ha chiarito come, nel quadro complessivo delle politiche regionali, la programmazione dei fondi seguirà gli indirizzi politici incardinati dal Patto per il Lavoro e per il Clima. Entrando ancor più nei dettagli del DSR, si può notare come il documento sia stato strutturato seguendo esattamente la stessa articolazione tematica in quattro ambiti finalistici adottata dal Patto per il Lavoro e per il Clima, dedicati rispettivamente alle materie della conoscenza e dei saperi; della transizione ecologica; dei diritti e dei doveri; del lavoro, delle imprese e dell’opportunità. Per ciascuna di queste aree tematiche, il DSR ha articolato nei dettagli quali possano essere le prospettive d’impiego dei fondi europei appartenenti ai diversi programmi di sviluppo, in senso coerente con quanto stabilito dal Patto per il Lavoro e per il Clima.

Un secondo elemento di particolare rilievo è dato dal Documento di Economia e Finanza Regionale 2022-2024 (d’ora in avanti, DEFR 2022-2024) e dai numerosi richiami al Patto per il Lavoro e per il Clima presenti sin nella parte iniziale del documento: «il Patto stabilisce impegni e responsabilità condivisi rispetto ad un percorso comune che migliori la qualità della vita delle persone e del pianeta e superi il conflitto tra sviluppo e ambiente (…). Il Patto assume come proprio orizzonte il 2030, indispensabile per impostare lo sviluppo del territorio su nuove basi e allineare il percorso dell’Emilia-Romagna a quelli previsti (…) dalla programmazione dei fondi europei 2021- 2027 e dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza»[11]. Il DEFR 2022-2024 è stato approvato sia dalla Giunta, che dall’Assemblea legislativa regionali (delibera di Giunta regionale n. 891 del 2021 e delibera di Assemblea n. 50 del 2021). Il DEFR 2022-2024 ha inquadrato sia il Patto per il Lavoro e per il Clima, che i successivi accordi che saranno sottoscritti, come gli strumenti essenziali a condividere gli interventi strutturali necessari allo sviluppo economico, occupazionale e ambientale, orientando l’utilizzo dei fondi europei.

Per concludere, è possibile evidenziare come il Patto per il Lavoro e per il Clima, pur non essendo un documento legislativo o amministrativo, elaborato all’interno degli organi d’indirizzo della Regione, ma essendo concepito al di fuori delle sedi istituzionali, abbia una sostanza di atto di prevalente natura politica, in grado di incidere in senso cospicuo sia sulla partecipazione politica, sia sull’orientamento di precise politiche pubbliche regionali.

La concertazione sociale regionale, in Emilia-Romagna, ha un ruolo importante nel favorire la partecipazione delle rappresentanze economiche e sociali nell’elaborazione delle politiche pubbliche, attraverso pratiche di governo socialmente partecipato[12]. A questo primo elemento, si deve aggiungere il fatto che questa partecipazione consente di compiere un salto di qualità nel decidere quali debbano essere le prospettive d’allocazione delle risorse europee. Il fatto che l’azione della Regione sia influenzata dagli impegni politici assunti col Patto è dimostrato, in questo primo anno dalla sottoscrizione, dai contenuti fatti propri dal DSR e dal DEFR 2022-2024, di particolare rilievo nel declinare le linee generali d’impiego delle risorse europee fatte proprie dal Patto.

Attraverso il Patto per il Lavoro e per il Clima e gli altri patti di concertazione sociale, la Regione ha così legittimato una nuova dimensione del suo ruolo di ente di governo, non più amministrazione confinata in un quadro puramente localistico, ma istituzione che, attraverso pratiche decisionali di sostanza fortemente innovativa, è in grado di proiettare nel territorio politiche pubbliche di dimensione europea.


[1] Cfr. A. Barbera, La Regione come ente di governo, «Politica del diritto», n. 6, il Mulino, Bologna 1973, pp. 741 ss.

[2] P. Bianchi, F. Butera, G. De Michelis, P. Perulli, F. Seghezzi e G. Scarano, Coesione e innovazione. Il Patto per il lavoro dell’Emilia-Romagna, il Mulino, Bologna 2020. Sul Patto per il lavoro 2015, si vedano anche P. Bianchi, F. Butera, G. De Michelis e P. Perulli, I Patti per il lavoro, un modello per ripartire, «il Mulino», n. 4, il Mulino, Bologna 2020; E. Verdolini, Le Regioni fra governo dell’economia e dell’occupazione: concertazione sociale e risorse europee nei «Patti per il lavoro» dell’Emilia-Romagna, «Istituzioni del Federalismo», n. 1, Maggioli, Rimini 2021; R. Bin, Le regioni fra elezioni e anniversari, «Le Regioni», n. 4, il Mulino, Bologna 2019.

[3] Acronimo di Neither in Employment or in Education or Training.

[4] Comunicazione della Commissione Europea dell’11 dicembre 2019.

[5] F. Butera e F. Seghezzi, Il Patto per il Lavoro come politica e come organizzazione per far avvenire le cose, in P. Bianchi, F. Butera, G. De Michelis, P. Perulli, F. Seghezzi e G. Scarano, Coesione e innovazione. Il Patto per il lavoro dell’Emilia-Romagna, il Mulino, Bologna 2020, pp. 62 ss.

[6] Cfr. Regione Emilia-Romagna, Patto per il Lavoro e per il Clima, p. 8.

[7] Cfr. Regione Emilia-Romagna, Patto, ivi, p. 35.

[8] Cfr. Regione Emilia-Romagna, Documento Strategico Regionale per la programmazione unitaria delle politiche europee di sviluppo 2021-2027, p. 5.

[9] Regione Emilia-Romagna, Documento Strategico Regionale, ivi, p. 37.

[10] Regione Emilia-Romagna, Documento Strategico Regionale, ivi, p. 39.

[11] Cfr. Regione Emilia-Romagna, Documento di Economia e Finanza Regionale 2022, p. 7.

[12] P. Bianchi, Introduzione. Andare oltre, in P. Bianchi, F. Butera, G. De Michelis, P. Perulli, F. Seghezzi e G. Scarano, Coesione e innovazione. Il Patto per il lavoro dell’Emilia-Romagna, il Mulino, Bologna 2020, p. 12; F. Butera e F. Seghezzi, Il Patto per il lavoro come politica e come organizzazione, ivi, p. 33.

Scritto da
Enrico Verdolini

Assegnista di ricerca presso Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Ha conseguito un dottorato in Diritto costituzionale all’Università di Bologna. Ha collaborato con l’associazione il Mulino per un progetto di educazione alla cittadinanza. Svolge attualmente attività di studio nell’ambito della Costituzione economica, del principio di uguaglianza, del diritto antitrust e del platform capitalism. È autore di: “Il caso Paolo Fabbri. Il sacrificio della missione partigiana per la Liberazione di Bologna” (Pendragon 2024).

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