“Next Generation EU” di Federico Fabbrini
- 26 Dicembre 2023

“Next Generation EU” di Federico Fabbrini

Recensione a: Federico Fabbrini, Next Generation EU. Il futuro di Europa e Italia dopo la pandemia, il Mulino, Bologna 2022, pp. 144, euro 13 (scheda libro)

Scritto da Alfredo Marini

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Noi contemporanei intratteniamo un rapporto contraddittorio con gli eventi del presente in quanto fatichiamo a percepirne la portata storica – e la linearità – nel preciso momento in cui avvengono. Questa sorta di prospettiva distorta si complica ulteriormente in quei momenti che Antonio Gramsci ha definito con la parola “interregno”, dove “il vecchio muore e il nuovo non può nascere”. La comprensione dell’impatto trasformativo degli avvenimenti presenti richiede un cambio di prospettiva che solo il trascorrere del tempo può offrire. Potremmo paragonare questa situazione all’osservazione di un mosaico, quando per poter comprendere il significato del suo disegno si è costretti ad allontanarsi e cambiare prospettiva.

I cittadini europei – da almeno due decenni – vivono una contemporaneità percorsa da grandi crisi, da cui derivano, però, quei preziosi spazi in cui le comunità possono immaginare nuove opportunità. Lo aveva intuito Robert Schuman e, infatti, il processo di integrazione europeo resta un esempio di come sia possibile ricavare delle grandi occasioni anche in momenti di crisi. A partire dal marzo 2020, la drammatica esperienza collettiva della pandemia ha inaugurato una congiuntura storica eccezionale, soprattutto per le istituzioni europee; queste ultime, in effetti, hanno ideato una risposta innovativa e coraggiosa che ha inciso profondamente sull’assetto della governance economica e monetaria dell’Unione Europea. La risposta a cui ci si riferisce è il Next Generation EU (NGEU), una misura importantissima e i cui riverberi determineranno lo sviluppo futuro del processo di integrazione europeo.

La premessa era necessaria per contestualizzare i temi affrontati in Next Generation EU. Il futuro di Europa e Italia dopo la pandemia di Federico Fabbrini (il Mulino). In questo volume Fabbrini – professore ordinario di diritto dell’Unione Europea presso la Dublin City University – offre un’analisi dell’impatto rivoluzionario del NGEU relativamente alle prospettive che apre e al funzionamento dell’Unione economica e monetaria. Quest’analisi, però, è inserita all’interno di un quadro descrittivo che include e ricostruisce cronologicamente le crisi vissute dall’Unione a partire dal 1992, nonché le conseguenti azioni intraprese in risposta. Il libro si presenta come un’opera agile e ordinata che – nell’indagare gli effetti del NGEU congiuntamente ai presupposti storici, giuridici, politici ed economici che hanno condotto alla sua adozione – tenta di tracciare le future traiettorie dell’Unione e dell’Italia nel contesto post-pandemico. L’opera descrive precisamente i meccanismi di funzionamento dell’Unione economica e monetaria con un linguaggio tecnico, ma sempre comprensibile, sottolineandone le problematiche per mezzo di una critica propositiva e mai scontata.

Fabbrini constata che l’assenza di un bilancio integrato rappresenta un grave vulnus strutturale per il funzionamento efficace dell’Unione economica e monetaria nonché dell’Unione Europea in generale. In questo contesto il Next Generation EU si inserisce, oltre che come risposta alla pandemia, quale completamento dell’Unione economica e monetaria. L’autore, infatti, evidenzia come l’avvento del NGEU abbia inciso profondamente sulla governance dell’Unione, un tratto cruciale che probabilmente non è stato colto nella sua interezza ma che porta con sé cambiamenti rilevanti. La portata innovativa del NGEU si desume dalla facoltà per la Commissione europea – prima volta nella storia – di indebitarsi al fine di sostenere economicamente i singoli Stati membri, ma con la possibilità di estinguere il debito contratto grazie all’istituzione di tasse europee.

I Trattati di Roma prevedevano già nel 1957 un bilancio comunitario costituito, però, da risorse scarse e vincolate a capitoli di spesa specifici. Con il Trattato di Maastricht e l’istituzione della moneta unica, il tema del coordinamento delle politiche economiche dei singoli Stati membri ha rappresentato da subito una tematica delicata, in ragione delle grandi contraddizioni scaturite dall’asimmetria strutturale dell’Unione economica e monetaria. L’impossibilità di fornire l’Unione di una politica economica sovranazionale – nonostante l’euro – ha condotto all’adozione di regole di finanza pubblica tese a restringere lo spazio delle politiche di bilancio degli Stati membri per scongiurare eventuali crisi economico-finanziarie.

Il divieto di bail-out, che sancì l’impossibilità di intervenire in sostegno di uno Stato membro incapace di ripagare il proprio debito pubblico, assieme al celebre Patto di stabilità e crescita hanno rappresentato le azioni intraprese dall’Unione (e dagli Stati membri) per provare a bilanciare l’asimmetria strutturale insita nell’Unione economica e monetaria; azioni che, a posteriori, possono essere giudicate miopi e insufficienti. Queste misure, ricorda Fabbrini, ispirate alla teoria economica ordoliberale, bloccarono qualsiasi forma di mutualizzazione dei debiti tra gli Stati membri preparando il terreno per le crisi degli anni successivi, i cui effetti nefasti ancora persistono.

L’autore, dopodiché, ripercorre le tappe salienti della crisi del 2008 e il fallimento delle soluzioni messe in campo dall’Unione Europea, come accadde nei confronti della Grecia e dei cosiddetti PIIGS[1]. Nel libro non mancano diversi paragoni tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti per descrivere la diversa capacità di reazione di un sistema federale agli shock economici, non a caso Fabbrini traccia un parallelismo tra le misure adottate nelle due diverse sponde dell’Atlantico: al contrario di quanto è avvenuto in seno all’Unione, gli Stati Uniti reagirono alla crisi con un massiccio intervento economico da parte del governo federale con risultati positivi.

Nella cornice della crisi finanziaria, nonostante la latitanza delle principali istituzioni europee, la Banca centrale europea – istituzione dalla spiccata natura federale – è intervenuta con efficacia e rapidità per scongiurare il collasso della moneta unica e i conseguenti esiti negativi. L’autore specifica come l’istituzione di Francoforte sia riuscita ad allargare il perimetro del proprio mandato originario estrapolando – da quest’ultimo – sia il dovere di tutelare la stabilità finanziaria dell’eurozona nel suo complesso che i poteri necessari a tale scopo. Interprete di tale congiuntura storica fu Mario Draghi con il suo celebre “whatever it takes[2], a partire dal quale la BCE licenziò strumenti decisivi (SMP[3], OMT[4] e PSPP[5] quest’ultimo meglio noto come quantitative easing) per salvaguardare la stabilità dell’eurozona effettuando non solo acquisti illimitati di debito pubblico dei Paesi in difficoltà, ma anche acquisti di titoli di debito pubblico e societario sul mercato secondario. La crisi finanziaria del 2008 ha sviluppato effetti asimmetrici che hanno inciso in maniera differente sulle economie dei singoli Stati membri, proprio per questa ragione l’Unione decise di introdurre soluzioni miopi, disegnate per evitare qualsiasi forma di mutualizzazione del debito. L’intervento della BCE, fa notare Fabbrini, è stato rivoluzionario poiché ha contribuito a creare le premesse per le azioni che verranno poste in essere per fronteggiare gli effetti della pandemia.

L’autore prosegue analizzando il motivo per cui la crisi dell’euro abbia modificato profondamente i rapporti intrastatali e quelli tra Stati e istituzioni, con un particolare riferimento alla Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE). Fabbrini sottolinea come l’avvicendarsi di interventi quali il six-pack, il two-pack, il MES congiuntamente alle iniziative della BCE abbia generato le seguenti trasformazioni: i nuovi poteri riconosciuti alla Commissione in materia di politica di bilancio hanno condotto – su questo aspetto – ad una centralizzazione addirittura superiore rispetto a quanto accade nei sistemi federali. Sulla scia dei contenziosi sollevati contro le misure “non convenzionali” adottate dalla BCE, si è altresì osservato un protagonismo della CGUE nel campo della politica economica e monetaria, un’attitudine che non si registra in un sistema federale maturo. Quanto descritto nelle ultime righe – fa intuire l’autore – rappresenta l’eredità che la crisi dell’euro ha consegnato all’Unione; un’eredità che per taluni aspetti ha dotato l’Unione di strumenti maggiormente idonei a fronteggiare crisi asimmetriche, ma che per altri ha addirittura costruito processi più centralizzati di quelli rilevabili nei sistemi federali odierni.

L’analisi di Fabbrini prosegue delineando i tratti salienti dell’Unione alla vigilia della pandemia: un sistema improntato alla logica del risk reduction anziché del risk sharing, privo di una Unione bancaria completa[6], di una Unione fiscale, di un’assicurazione europea contro la disoccupazione e diviso in blocchi regionali[7]. All’alba del 2020, dunque, l’Unione si appresta ad affrontare un’altra stagione di grandi sfide. Come sappiamo quell’anno iniziò con la conclusione del travagliato percorso della Brexit per proseguire, nei mesi di febbraio-marzo, con l’inizio della pandemia. Fabbrini ricorda come la crisi finanziaria e quella dell’euro colpirono gli Stati membri in maniera diversa l’uno dall’altro, in ragione della maggiore o minore solidità economica e finanziaria che li caratterizzava. Lo shock pandemico si è caratterizzato, invece, quale crisi simmetrica colpendo duramente e indistintamente ogni Stato membro nel proprio complesso. L’autore, perciò, fa notare come l’Unione avrebbe dovuto escogitare rapidamente delle soluzioni diverse che avrebbero dovuto necessariamente condurre ad una convergenza verso un modello di risk sharing all’interno di una prospettiva di governance sempre più federale.

In tale contesto, nuovo e complesso, sono state sviluppate quelle misure inimmaginabili – considerato l’approccio che aveva governato i processi europei fino a quel momento – che hanno profondamente trasformato l’Unione inserendola, altresì, all’interno di una nuova prospettiva di integrazione politica. Il tratto più interessante dell’opera di Fabbrini si coglie in questo momento, poiché aiuta il lettore a comprendere e a conferire un ordine alle misure rivoluzionarie quali: la repentina sospensione del Patto di stabilità nel marzo del 2020, la proposta da parte della Commissione – e la conseguente istituzione – del SURE[8], il nuovo programma della BCE per l’acquisto dei titoli di stato dei Paesi membri (PEPP[9]) e infine l’adozione del NGEU. Il 25 marzo del 2020, nove Stati membri[10] – in una storica lettera indirizzata al Consiglio europeo – chiesero all’Unione di iniziare a lavorare ad uno strumento di debito comune emesso da un’istituzione europea. Il punto di svolta si registrò con il supporto della proposta da parte della Germania, la quale – in un primo momento – decise assieme all’Olanda di schierarsi contro. La volontà di andare verso un’ottica di risk sharing congiuntamente alla rottura del fronte dei cosiddetti “Paesi frugali” rappresentò la premessa politica da cui sorgerà il NGEU.

«Per effetto delle iniziative assunte durante l’emergenza pandemica il processo di integrazione europeo ha vissuto nel 2020 – in meno di cento giorni – un salto in avanti senza precedenti, che ha portato l’UE ad essere dotata di poteri in campo fiscale che sarebbero stati impensabili fino a poco tempo fa» (p.81) .Con il NGEU la Commissione viene autorizzata ad emettere debito comune[11], in questo modo l’Unione ha acquisito il potere di garantire prestiti e sovvenzioni agli Stati membri impegnandosi ad introdurre delle vere e proprie tasse europee per poter ripagare il debito contratto. Quanto appena descritto, afferma l’autore, è la prova concreta di come l’Unione possa dotarsi in maniera permanente di una capacità fiscale indipendente, uno dei passi definitivi nella transizione verso quel modello federale a cui si riferiva Schuman il 9 maggio 1950[12].

Il NGEU mira a far crescere l’economia europea attraverso un programma di investimenti e riforme orientati su capitoli di spesa strategici[13] in un’ottica di medio lungo periodo. Come è noto, le risorse messe a disposizione dell’Unione sono state distribuite tra gli Stati in ragione dell’impatto subito dalle singole economie a seguito della pandemia e del peso demografico di ogni Paese. In secondo luogo, la concreta attuazione del NGEU è stata lasciata alla responsabilità degli Stati membri che avrebbero dovuto presentare alla Commissione dei piani specifici all’interno dei quali indicare le opere e le riforme da realizzare entro il 2026. Infine, allo scopo di preservare il principio di accountability e monitorare la corretta attuazione del NGEU, la Commissione è stata dotata del potere di approvare i singoli piani nazionali e valutarli durante la loro attuazione erogando le risorse in singole tranche, ad ogni valutazione con esito positivo.

Il NGEU rappresenta, perciò, la grande scommessa dell’Unione Europea. La sua riuscita è fondamentale affinché si determini un nuovo modello di successo a partire dal quale ridefinire i meccanismi di funzionamento dell’Unione e ricostruire la fiducia necessaria per portare avanti il processo di integrazione europeo. Nel contesto appena tratteggiato, specifica l’autore, l’Italia riveste un ruolo cruciale per due ragioni: innanzitutto perché è il primo Paese beneficiario dell’intervento (con duecentonove miliardi di euro) e in secondo luogo, essendo una delle economie principali dell’Unione, la sua ripresa risulta fondamentale per evitare un acuirsi della crisi economica e di altri possibili effetti negativi. Fabbrini, in questo modo, descrive l’importanza strategica che il PNRR italiano riveste all’interno del NGEU sottolineando come la riuscita dell’intervento europeo dipenderà per una gran parte dalle scelte che l’Italia adotterà.

Il libro si conclude con una riflessione dell’autore sul futuro dell’Unione Europea alla luce dei cambiamenti introdotti dal NGEU. Fabbrini osserva che le scelte adottate in risposta alla crisi economica scaturita dalla pandemia «impongono da una prospettiva costituzionale una serie di aggiustamenti alle procedure decisionali nonché all’attribuzione di competenze sostanziali alle istituzioni dell’UE» (p. 141).

Dotare l’Unione di un bilancio corposo, di forme di tassazione diretta, della capacità di emettere debito e procedere verso un modello federale richiede una necessaria riforma dei Trattati. Questa è la grande opportunità che l’Unione è riuscita ad estrapolare dalla tragedia della pandemia per mezzo del NGEU. L’opera di Fabbrini spiega in maniera lineare e accessibile i profili tecnici del NGEU, con il pregio di contestualizzare il tutto all’interno di una cornice storica per mezzo della quale viene confrontata la diversa natura delle crisi susseguitesi negli ultimi quindici anni e delle risposte adottate dall’Unione.

Il NGEU è un processo trasformativo in pieno corso di svolgimento. La riuscita dei piani di ripresa dei singoli Stati – di quello italiano in primis – determinerà il grado di fiducia su cui si baseranno le scelte cruciali a partire dalle quali potremo giudicare la concreta riuscita del NGEU. A partire dagli anni Quaranta gli statisti italiani si sono distinti per aver portato avanti con determinazione il processo di integrazione, offrendo un contributo cruciale per la costruzione di un’Europa libera e unita. Con un rimando storico, che ha il sapore di un auspicio, si quindi conclude l’interessante volume di Federico Fabbrini.


[1] Acronimo dispregiativo coniato dalla stampa economica anglosassone che dal 2007 indica i cinque Paesi dell’Unione Europea ritenuti più deboli economicamente: Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna.

[2] Pronunciato il 26 luglio 2012.

[3] Securities Markets Programme.

[4] Outright Monetary Transactions.

[5] Public Sector Purchase Programme.

[6] Assenza di una assicurazione europea sui depositi bancari.

[7] “Nuova lega anseatica”, “Gruppo di Visegrad” e “PIIGS”.

[8] Il fondo europeo temporaneo per il sostegno all’occupazione.

[9] Pandemic Emergency Purchase Programme.

[10] Belgio, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Spagna.

[11] Per un ammontare di 809 miliardi di euro.

[12] Dichiarazione Schuman.

[13] a) Digitalisation, innovation, competitiveness, culture and tourism; b) Green revolution and ecological transition; c) Sustainable mobility infrastructure; d) Education and Research; e) Inclusion and Cohesion; f) Health.

Scritto da
Alfredo Marini

Laureato in Giurisprudenza presso l’Università LUISS “Guido Carli” di Roma, giornalista pubblicista dal 2019, lavora come Junior Legal Counsel presso la società PagoPA S.p.A. Appassionato di Storia, tematiche riguardanti l’Unione Europea, relazioni internazionali, comunicazione e innovazione. Tra il 2019 e il 2022 ha lavorato presso la Presidenza del Parlamento europeo, è stato selezionato dall’Ufficio EPSO della Commissione europea come ambasciatore europeo della carriera, ha lavorato nel settore dell'europrogettazione nell’ambito delle politiche di coesione ed è stato studente della Scuola di Politiche fondata da Enrico Letta.

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