Il nodo autostradale di Genova: storia di una viabilità complessa
- 29 Settembre 2018

Il nodo autostradale di Genova: storia di una viabilità complessa

Scritto da Walter Rapetti

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La città di Genova ha sempre avuto una storia caratterizzata da due tratti orografici peculiari: il mare e i monti. Il suo essere “schiacciata sul mare, mentre sembra cercare respiro al largo, verso l’orizzonte”[1], per dirla con Francesco Guccini, determina una conformazione urbanistica unica: un centro di dimensioni tutto sommato modeste considerando la popolazione comunale odierna di circa 600 mila abitanti[2], da cui si dipartono due lunghe linee costiere altamente urbanizzate verso Levante e verso Ponente. A queste si aggiungono altre due direttrici fortemente urbanizzate verso l’interno, che risalgono lungo i due corsi d’acqua maggiori della città, il torrente Polcevera (da cui il nome di Val Polcevera) e il torrente Bisagno (da cui il nome di Val Bisagno).

Genova

Genova è una città che non ha avuto la possibilità di svilupparsi in maniera regolare secondo linee geometriche (cerchi concentrici o aree rettangolari affiancate) a differenza di molte altre città del centro-nord Italia a causa della cronica mancanza di spazio utile che la contraddistingue. A sud il mare costituisce una barriera naturale e un limite all’edificazione. Limite che nel tempo, sin dal Medioevo, è stato via via sempre più eroso, ove il lavoro dei genovesi riuscì a spostare le banchine portuali più a meridione riempiendo – quando possibile – i bacini e il fondale; quando possibile perché il Mar Ligure è un mare profondo, caratterizzato da una orografia accidentata nell’area subacquea tanto quanto quella della costa emersa, e in cui la linea costiera calpestabile è sottile (con scogli o spiagge di larghezza mai superiore a un centinaio di metri e sovente inferiore ai 3 metri, con una media di soli 4-5 metri) e segnata da un declivio rapido che raggiunge i 1000 metri di profondità a soli 3 Km dalla costa[3].

Se l’espansione urbana sul lato meridionale detto “Fronte Mare” era difficile, l’espansione sul lato settentrionale “I Bricchi” non era molto più semplice: l’Appenino Ligure circonda la città che è costruita attorno ad un nucleo storico contiguo all’attuale Porto Antico e incuneato al centro del Golfo di Genova. Abitato sin dall’epoca neolitica[4] è circondato dalle prime colline – altamente urbanizzate – che raggiungono i 300 metri di altezza sul livello del mare, seguite a breve distanza da una seconda linea di rilievi che superano gli 800 metri di altezza e si collegano direttamente al più ampio complesso dei monti dell’Appennino Ligure che copre un vasto areale di 5.410 km² attorno al Genovesato, dal Valico della Bocchetta di Altare a Ovest (che divide le Alpi Liguri dall’Appennino), in provincia di Savona, al Passo della Cisa ad Est (che divide l’Appennino Ligure dall’Appennino Tosco-Emiliano), al confine tra le province di Parma e di Massa Carrara[5].

Questa caratteristica della città, d’esser “cinta di monti e di mura”[6], ne ha determinato nei secoli – e tutt’ora ne determina – la forma estremamente allungata e sottile. La città odierna si estende per quasi 30 chilometri di lunghezza lungo l’arco di costa che dall’inizio di Nervi, a Levante, si conclude con il quartiere di Voltri, a Ponente. A tale considerevole lunghezza dell’area urbanizzata lungo la direttrice Est – Ovest non corrisponde una simile larghezza lungo la direttrice Nord – Sud, che è infatti molto più contenuta se si eccettuano le valli urbanizzate del Polcevera ad Ovest e del Bisagno ad Est, dove la profondità urbanistica raggiunge i 14 chilometri verso Nord[7].

Le conseguenze di questa peculiare conformazione urbanistica ed orografica sono principalmente due: la scarsità di vie di transito e la scarsa integrazione delle diverse aree della città, che sono aggregabili in cinque macro-aree geografiche (il Ponente, ad ovest del torrente Polcevera; la Val Polcevera, che si estende lungo il torrente da cui prende il nome; il centro, da Sampierdarena alla Foce; il Levante, ad est del torrente Bisagno; e la Val Bisagno, stretta e lunga sull’omonimo corso d’acqua) ciascuna con la propria storia, il proprio centro urbanistico e le proprie peculiarità, oggi rappresentate amministrativamente dai nove municipi cittadini[8].Genova

Genova caposaldo del triangolo industriale

Fino all’inizio degli anni ’60 l’unica grande arteria stradale che collegava l’intera città, da Levante a Ponente, direttamente col sistema stradale nazionale era la SS1 – Aurelia, costruita nel 1928 al fine di collegare la capitale al confine francese[9] secondo il percorso Roma – Civitavecchia – Grosseto – Livorno – Pisa – Genova – Imperia – Ventimiglia – Mentone, riprendendo a grandi linee l’antica arteria consolare romana da cui prende il nome[10]. Ancor oggi l’Aurelia entra nella città di Genova uscendo da Bogliasco e attraversando i quartieri (alcuni dei quali ex comuni autonomi) di: Nervi, Quinto, Quarto, Sturla, Boccadasse, Foce (da cui, dopo una deviazione di 16 chilometri, si può raggiungere la strada statale 45 della Val Trebbia diretta a Piacenza), il Porto Antico, Principe, Dinegro, Sampierdarena, Cornigliano, Sestri Ponente, Multedo, Pegli, Prà e infine Voltri da dove si distacca la strada statale 456 del Turchino diretta nel basso Piemonte, ad Acqui Terme e a Nizza Monferrato[11].

A causa dell’insufficienza di questa direttrice stradale nel far fronte al traffico veicolare e alle esigenze di una città che in quegli anni superava gli 800mila abitanti il Comune di Genova avviò la costruzione di un nuovo asse viario a Levante: corso Europa, che trasformò radicalmente la porzione orientale della città e tutt’ora si estende dal quartiere di San Martino a Nervi, venne costruito tra il 1959 e il 1964[12].

Poiché la viabilità ordinaria di Genova con le sue strade strette, ricche di curve e di numerose pendenze, non era risultata sufficientemente migliorata né con la costruzione della SS1 del 1928 (la Via Aurelia) né con il rafforzamento della stessa a Levante del 1964 (Corso Europa), le aspettative per le nuove infrastrutture autostradali della seconda metà degli anni ’60 erano grandi e giustificate.

Genova era infatti uno dei capisaldi del triangolo industriale Milano – Torino – Genova[13]. Il porto aveva (ed ha tutt’ora) il volume di traffico mercantile più elevato d’Italia per singolo scalo, il quinto del Mar Mediterraneo[14]. Nel 2014 il porto era ancora il più grande tra quelli italiani sia per estensione (700 hm² di spazi a terra e 500 hm² di specchi acquei, 22 km di banchine e pescaggi a filo banchina tra gli otto metri delle calate passeggeri ai quindici metri dei grandi terminal contenitori del VTE e del SECH), che per numero di linee di navigazione  e per movimentazione container con destinazione finale (e, più in generale, per volume di merce varia), oltre ad essere il più rilevante sotto il profilo occupazionale (più di diecimila lavoratori diretti, circa trentamila considerando l’indotto)[15].

Questa condizione di grande centro di aggregazione economica, commerciale e sociale su scala sia nazionale che internazionale si sviluppò a partire dal periodo comunemente noto col nome di miracolo economico italiano (1956-1965)[16]. Nel 1968 il traffico complessivo annuo sulle banchine portuali genovesi era di 51.107.092 tonnellate e sarebbe cresciuto sino a 61.565.801 tonnellate nel 1973[17]. Genova era nota per essere una città di porto, di cantieri navali (Fincantieri), di acciaierie (Italsider) e di industria pesante (Ansaldo) ed aveva l’esigenza quotidiana di ricevere e spedire migliaia di tonnellate di materiali pesanti e di combustibili verso Torino e verso Milano[18]. Le strade esistenti erano insufficienti per sostenere un tale volume di traffico. L’unica strada camionabile che uscendo da Genova svalicava l’Appennino Ligure diretta a Milano era di progettazione napoleonica e valicava i monti presso il Passo dei Giovi, situato a 472 metri sul livello del mare e a 26 chilometri nell’interno di Genova, che divide l’alta Val Polcevera a sud dalla Valle Scrivia a nord[19]. La strada che lo valica fu completata nel 1823, dopo diversi anni di intenso lavoro, e presenta numerose curve e passaggi stretti, percorribili dai trasporti a cavallo dell’epoca della sua costruzione ma disagevoli per le moderne vetture di trasporto merci[20]. Per queste ragioni il 29 ottobre 1935 venne inaugurata la cosiddetta “camionale”, da Genova Sampierdarena a Serravalle Scrivia, che in seguito diventerà l’autostrada A7 (prolungata poi da Serravalle a Tortona nel 1958 e fino a Milano nel 1960, con il tratto finale inaugurato dall’allora Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi)[21].

L’Autostrada A7 – Genova – Serravalle – Milano ebbe il merito di liberare dal traffico pesante e di lunga percorrenza la strada statale di valico che risaliva la Val Polcevera e di aprire un collegamento stradale diretto con Milano e, di conseguenza, con l’Europa centrale e settentrionale. Tuttavia lungo la direttrice nord erano ancora mancanti i collegamenti veloci per Alessandria e per Torino, oltre ai collegamenti con il Levante ligure e la Toscana. Anche verso il Ponente genovese e il confine francese la situazione non era molto migliore: la strada statale Aurelia era l’unica via percorribile agilmente dagli autocarri e si era rivelata totalmente inadeguata  a sopportare il traffico veicolare già prima degli anni del miracolo economico italiano: con il rapido sviluppo del porto e dei commerci di lunga percorrenza avvenuto negli anni ’60 la congestione della struttura e il concreto rischio di un suo collasso erano all’ordine del giorno. Proprio per questo, già negli anni ’50, era stata predisposta l’edificazione di quella che diverrà nota come l’Autostrada dei Fiori, ovvero l’autostrada A10 che collega Genova con il confine di stato di Ventimiglia ed ha una storia di costruzione lunga e travagliata, in quanto – nonostante i soli 158 chilometri totali di percorrenza – l’arteria venne costruita per tronchi in oltre dodici anni di lavori. Il primo tratto, realizzato alla fine degli anni cinquanta, era a carreggiata unica con tre corsie a senso alternato, ed era limitato al collegamento tra Prà, quartiere del Ponente genovese, e Savona[22]. Già all’epoca la scelta di interrompere l’autostrada a Prà venne duramente contestata dalle autorità cittadine, in quanto il quartiere distava 14 chilometri dalle banchine portuali e 15 chilometri dal centro cittadino, tutti da percorrersi lungo la viabilità ordinaria, attraversando la foce del torrente Polcevera nei pressi del quartiere di Sampierdarena e prima le strozzature causate dai rii che scorrono in Sestri Ponente e tra Multedo e Pegli[23]. A seguito delle pressioni dei rappresentanti politici locali, nel 1964, il tratto venne prolungato di pochi chilometri fino alla successiva uscita di Pegli, sempre a carreggiata unica e con una sola corsia per senso di marcia, deviando o ricoprendo diversi corsi d’acqua minori[24]. Successivamente, il 5 settembre 1967, venne aggiunto il prolungamento da Pegli a Cornigliano (primo quartiere del Ponente genovese ad ovest della foce del torrente Polcevera), e da Savona ad Albisola (cittadina costiera ad ovest di Savona), con due carreggiate e due corsie per senso di marcia[25].

Il Nodo di Genova

Negli stessi anni veniva realizzato il primo tratto settentrionale dell’autostrada A12, nota col nome di Autostrada Azzurra o di Autostrada Tirrenica, inizialmente limitata al tratto fra Genova Nervi, nell’estremo Levante cittadino, e Rapallo (cittadina costiera ad est di Genova). Anche in questo caso i lavori di prolungamento del tratto, che avrebbe dovuto collegarsi direttamente con Roma, furono lunghi, difficoltosi, costellati di problemi di appalti e di esaurimento dei finanziamenti[26]. Poiché il termine del tratto autostradale distava una dozzina di chilometri dal centro cittadino e altrettanti dalle banchine di carico e scarico merci del porto vi fu una grande e trasversale spinta politica per il prolungamento dell’autostrada, che giunse a Genova Sturla, avvicinandosi di circa 6 chilomentri al centro cittadino, e a Sestri Levante (cittadina costiera ad est di Genova, prossima alla provincia di La Spezia)[27].

Nella seconda metà degli anni ’60 le autostrade si erano quindi sviluppate verso Genova da Nord, da Est e da Ovest ma non erano ancora arrivate al suo centro. I due torrenti maggiori, il Polcevera ad ovest e il Bisagno ad est, costituivano ancora il confine maggiore. Nella stampa dell’epoca le autostrade liguri erano paragonate a dei fili, dei fili disuniti che andavano riuniti in un nodo, da qui nacque la progettazione del Nodo di Genova[28], uno dei più complessi snodi stradali d’Italia che doveva collegare la città e il porto alla rete autostradale nazionale e, al tempo stesso, raccordare la A12 – Autostrada Azzurra proveniente da est, dal Lazio e dalla Toscana, la A7 – Autostrada Milano Serravalle Giovi proveniente da nord, dalla Lombardia e dal Piemonte, la A10 – Autostrada dei Fiori proveniente da ovest, da Ventimiglia e dal confine francese, e – in progettazione (inaugurata nel 1977 ma completata solamente nel 1994)[29] – la A26 – Autostrada dei Trafori diretta a nord, verso Alessandria e Vercelli.

Il Nodo di Genova si rivelò da subito di difficile costruzione. Gli ostacoli erano evidenti: orografia accidentata, monti prospicienti la costa, città in pieno boom edilizio e cresciuta in modo rapido, sregolato e selvaggio lungo i corsi d’acqua e sulle colline, urbanistica densa che lasciava poco spazio ai cantieri e al transito dei mezzi pesanti necessari ai lavori, due torrenti di grande portata d’acqua e numerosi rii minori, complessità logistiche nel collegamento efficiente delle quattro arterie autostradali e del porto, la quarta densità demografica per chilometro quadrato d’Italia (dopo Roma, Milano e Napoli) e, non ultima, la necessità di realizzare l’intera opera in tempi rapidi a causa delle pressioni industriali volte ad avere collegamenti ferro-gomma su ampio raggio efficienti e a causa del traffico congestionato che stava paralizzando la città[30].

Già dalla fine degli anni ’50 era risultata evidente la necessità di collegare rapidamente il Levante e il Ponente genovese realizzando due viadotti, uno soprastante il torrente Bisagno e l’altro soprastante il torrente Polcevera. Il 18 Dicembre 1967 venne inaugurato il tratto di raccordo fra la A7, proveniente da Milano, in prossimità del quartiere di Rivarolo in Val Polcevera e la A12, diretta verso la Toscana, in prossimità del quartiere di Staglieno in Val Bisagno[31]. In questo modo, tramite trafori e viadotti, si collegarono le due autostrade scavalcando il torrente Bisagno con un grande ponte autostradale in cemento armato  dotato di un lungo svincolo sopraelevato di 2,5 chilometri di lunghezza[32]. Il tratto autostradale divenne celebre nelle cronache dell’epoca anche per il costo record di realizzazione, pari a 2 miliardi e mezzo di Lire per ciascun chilometro di percorso al Dicembre 1967[33].

Genova

Il Ponte Morandi a costruzione quasi ultimata – 1966

L’inaugurazione seguiva di poco (circa tre mesi) il completamento dei lavori di quello che, all’epoca, era il più grande viadotto autostradale d’Italia e uno dei maggiori d’Europa: il Viadotto autostradale sul torrente Polcevera, noto anche come Ponte Morandi o Ponte delle Condotte[34]. Lungo 1.182 metri, alto 90, largo 18, con due carreggiate e quattro corsie il Ponte Morandi era un viadotto autostradale dotato di una struttura strallata in calcestruzzo armato e calce struzzo armato precompresso con cavalletti bilanciati e stralli, per l’epoca considerata una delle opere ingegneristiche più avanzate e all’avanguardia[35].


L’approfondimento su questi temi prosegue nell’articolo: Genova e il Ponte Morandi: dalla costruzione al crollo.


[1] Francesco Guccini, Piazza Alimonda, in “Ritratti”, EMI, 2004.

[2] Notiziario Statistico del Comune di Genova, Genova, 29 Maggio 2018.

[3] Istituto Idrografico della Marina Militare italiana, Orografia e misurazioni del Golfo di Genova e della Costa Ligure, IGM, Genova, 1998.

[4] Nino Lamboglia, Archeologia ligure – l’abitato di Genova, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Albenga, 1968.

[5] Studio Cartografico Italiano, Orografia d’Italia – Liguria, Genova, 1983.

[6] Matteo Paris, Iter de Londinio in Terram Sanctam, Abbazia di Sant’Albano, Hertfordshire (UK), 1242.

[7] Sistema Informativo Territoriale, Cartografia del Comune di Genova, SIT, Genova, 2018.

[8] Comune di Genova, Regolamento per il decentramento e la partecipazione municipale, del 6 Febbraio 2007.

[9] Legge del Regno d’Italia n° 1094 del 17 maggio 1928 – Istituzione dell’Azienda autonoma statale della strada.

[10] La SS1 prende il nome dalla Via Aurelia, arteria consolare romana costruita nel III secolo a.C. su ordine di Gaio Aurelio Cotta, console della Repubblica Romana nel 252 e nel 248 a.C.

[11] Decreto Ministeriale n° 124 del 22 Maggio 1964 – Classificazione tra le statali di una strada nelle provincie di Asti, Alessandria e Genova con la denominazione di Strada Statale n° 456 “del Turchino”.

[12] AA. VV., Le più belle strade di Genova – Volume Secondo, Nuova Editrice Genovese, 2007.

[13] Valerio Castronovo, L’ Italia del miracolo economico, Laterza, Bari, 2010.

[14] Assoporti, Porti d’Italia e porti del Mediterraneo, CSPA, Roma, 2012.

[15] ISPRA, Porti d’Italia e porti del Mediterraneo, Ministero dell’Ambiente, Roma, 2014.

[16] Valerio Castronovo, L’ Italia del miracolo economico, Laterza, Bari, 2010.

[17] Paolo Arvati ed Enrico Molettieri, I numeri e la storia del porto di Genova, Sistema Statistico Nazionale, Roma, 2005.

[18] Valerio Castronovo, Storia economica d’Italia. Dall’Ottocento ai giorni nostri, Einaudi, Torino, 2006.

[19] Fabrizio Capecchi, La via dei Giovi: un itinerario tra pianura e mare, CARIGE, in La Casana, Genova, 2000.

[20] AA. VV., Le più belle strade di Genova – Volume Secondo, Nuova Editrice Genovese, 2007.

[21] Alessio Schiavi, La chiamavano “la camionale”, CARIGE, in La Casana, Genova, 2006.

[22] Cronache autostradali, in Autostrade, anno VII, nº 2, Roma, Firema S.p.A., Febbraio 1965.

[23] Agostino Sajeva, L’autostrada Ponte S. Luigi-Savona, in Le Strade, anno XLVIII, nº 4, Milano, Touring Club Italiano, Aprile 1968.

[24] Sistema Informativo Territoriale, Cartografia del Comune di Genova, SIT, Genova, 2018.

[25] Agostino Sajeva, L’autostrada Ponte S. Luigi-Savona, in Le Strade, anno XLVIII, nº 4, Milano, Touring Club Italiano, Aprile 1968.

[26] Secolo XIX – Archivio Storico, Edizioni Genovesi, Genova, Anni 19651968.

[27] Umberto Dagnino, L’autostrada azzurra, in Le Strade, anno XLVIII, n° 1, Milano, Touring Club Italiano, Gennaio 1968.

[28] La rete della società Autostrade – Dati e notizie, in Autostrade, anno XX, nº 10, Roma, Ottobre 1978.

[29] Eugenio Merzagora, Motorways in Italy,  The World’s longest Tunnel Page – Sezione Italia, Edizione Web, 2016.

[30] Luigi Bobbio, Il caso dell’autostrada di Genova, Rivista Italiana di Politiche Pubbliche, Roma, 2009.

[31] Cronache autostradali, in Autostrade, anno VII, nº 2, Roma, Firema S.p.A., Febbraio 1965.

[32] Redazione TCI, Inaugurato il tratto Rivarolo-Nervi della “Autostrada Azzurra”, in Le Strade, anno XLVIII, nº 1, Milano, Touring Club Italiano, Gennaio 1968.

[33] Umberto Dagnino, L’autostrada azzurra, in Le Strade, anno XLVIII, n° 1, Milano, Touring Club Italiano, Gennaio 1968.

[34] Tullia Iori e Sergio Poretti (a cura di), SIXXI – Storia dell’ingegneria strutturale in Italia, Gangemi, Roma 2017.

[35] Riccardo Morandi, Il viadotto del Polcevera per l’autostrada Genova-Savona, in L’Industria Italiana del Cemento, XXXVII, Roma, Società incremento applicazioni cemento, Dicembre 1967.

Scritto da
Walter Rapetti

Nato nel 1987. Laureato in Scienze Storiche con tesi in evoluzione culturale. Master in Innovazione nella Pubblica Amministrazione. E' assistente europarlamentare e insegna presso un Liceo pubblico di Genova. Collabora con diverse associazioni e riviste nel settore culturale e politico.

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