Scritto da Luca Timponelli
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Il governatore Ignazio Visco, in occasione della pubblicazione della relazione annuale prodotta dalla Banca d’Italia, ha pronunciato un discorso in cui ribadisce la necessità per l’Italia di ridurre il rapporto debito pubblico/PIL attraverso una forte compressione della spesa pubblica. L’Italia, sostiene il governatore, dovrebbe portare il proprio saldo primario (vale a dire il bilancio dello Stato al netto della spesa sugli interessi sul debito) attorno al +4% del PIL e mantenerlo tale per dieci anni. Per rendere conto dell’entità della manovra, si tenga presente che il saldo primario è stato per il 2016 del +1,5%. Il governatore prevede che “con un tasso di crescita annuo intorno all’1 per cento, l’inflazione al 2 e con l’onere medio del debito in graduale risalita verso i valori osservati prima della crisi” sarebbe possibile in quel lasso di tempo ricondurre il rapporto tra debito e PIL al di sotto del 100% (rapporto che a fine 2016 si attestava sul 132,6%). Non solo, ma “in un quadro di riforme incisive, di ripresa degli investimenti e con una diversa composizione del bilancio pubblico”, i tempi, ci assicura il governatore, potrebbero anche essere più brevi. Visco rassicura che, per quanto i sacrifici non sarebbero esigui, pure tale politica sarebbe sostenibile: l’Italia, ci ricorda, è stata capace di mantenere un avanzo primario medio pari quasi al 5% nel periodo che va dal 1995 al 2000.
A politiche fiscali restrittive (e a programmi di privatizzazione che, “pur non risolutivi”, possono comunque contribuire) per ridurre il debito dovrebbero accompagnarsi per il governatore politiche che stimolino la crescita. Queste dovrebbero da una parte rimuovere gli ostacoli alla libertà di impresa, con l’aspettativa di aumentare il volume degli investimenti, e dall’altra parte incrementare la competizione, unico pungolo per il governatore capace di riattivare una crescita della produttività ora stagnante. Non dovrebbero inoltre mancare sgravi e agevolazioni per gli investitori privati. All’elogio delle riforme del mercato del lavoro e della pubblica amministrazione si accompagna il monito che questi sarebbero soltanto “primi passi su un sentiero ancora lungo, che è indispensabile percorrere con continuità e coerenza, controllando lo stato di attuazione degli interventi effettuati”.
Il governatore auspica così un rafforzamento delle politiche di austerità. Non solo se ne trascurano gli ingenti costi sociali, che pregiudicano, come ha ben rilevato un rapporto preparato per il Parlamento Europeo, il diritto all’istruzione, all’accesso alle cure mediche, alle pensioni, al lavoro, all’accesso alla giustizia, e, in risposta all’instabilità sociale che producono, alla libertà di espressione e di assemblea, e che per Visco saranno poi compensati nel lungo periodo, ma si ignorano anche gli effetti di un calo della domanda su crescita, inflazione e produttività. La richiesta del governatore di un incremento degli investimenti pubblici richiederebbe contrazioni della spesa corrente ancora maggiori di quelle richieste per raggiungere l’obiettivo di avanzo primario prefisso, pregiudicando ancora di più l’erogazione della previdenza sociale. Nel momento in cui si favoriscono le privatizzazioni, il modello di intervento pubblico proposto non può che essere quello dello “Stato appaltatore”, in cui il settore pubblico si limita a finanziare, ma senza esercitare un controllo diretto sull’investimento. Soluzione, questa, che non è affatto detto sia la più efficiente in termini di costi. Si ribadisce comunque la presunta insufficienza dello Stato a intervenire da solo anche dove l’intervento pubblico sarebbe più urgente: la ristrutturazione del patrimonio immobiliare volto alla prevenzione dei rischi idrogeologici e per contenere le conseguenze dei danni sismici.
La determinazione ad abbattere il debito pubblico sembra inoltre cozzare con l’elogio fatto da Visco degli sgravi contributivi per gli imprenditori.
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Indice dell’articolo
Pagina corrente: Il discorso di Visco alla Banca d’Italia
Pagina 2: Domanda, crescita, produttività e inflazione
Pagina 3: Un confronto con il periodo 1995 – 2000
Pagina 4: Consolidamento fiscale: a chi giova?