Scritto da Giacomo Bottos
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Nicolò Benini è business development manager di NPC SPACEMIND.
Come è nata New Production Concept (NPC)? Qual è la sua storia?
Nicolò Benini: NPC è stata fondata nel 2002 per sopperire a una richiesta importante di una multinazionale svedese per la costruzione di un tipo di macchina nel settore beverage. L’azienda nasce dall’ottimo rapporto che c’è sempre stato tra la famiglia Curti e mio padre, che era all’epoca direttore commerciale. La nuova avventura imprenditoriale parte con tre soci, Nabore Benini, Curti Costruzioni Meccaniche ed Ecor (Schio), puntando a creare un modello di business innovativo. La visione alla base del progetto è stata quella di sviluppare un’organizzazione snella, caratterizzata da un approccio Open Book, capace di garantire flessibilità e minimizzare i costi strutturali. La missione aziendale si è concentrata sulla fornitura di macchine complete, gruppi/moduli e ricambi, affidandosi a una selezionata e fidelizzata catena di fornitura per le lavorazioni meccaniche, mentre le attività di montaggio e test vengono gestite internamente. Fin dagli inizi, l’azienda ha seguito le linee guida del World Class Manufacturing (WCM) e della Lean Production per ottimizzare le operazioni. Questo approccio ha incontrato il favore dei clienti, consentendo un ampliamento della clientela. Negli anni, NPC ha anche supportato i propri clienti con gruppi di lavoro dedicati, offrendo attività di industrializzazione, Design to Cost, Co-Design e Co-Development. La società ha ottenuto le certificazioni ISO 9001 e ISO 14000, a testimonianza del suo impegno verso l’eccellenza e la sostenibilità. Nel 2012, grazie a un gruppo di studenti inseriti attraverso la nostra collaborazione con Curti, abbiamo conosciuto uno dei pionieri delle tecnologie satellitari CubeSat e creato nuove opportunità di lavoro abbracciando una visione più orientata allo spazio, rispetto a quella di Curti più focalizzata sulla tradizionale aeronautica. Proprio in quegli anni la nuova space economy stava emergendo, aprendo il settore spaziale ai privati, e questo cambiamento ha portato alla transizione da satelliti enormi e costosi a nanosatelliti, di dimensioni ridotte – da 1U a 16U, grandi quanto scatole da scarpe – rendendo la tecnologia satellitare molto più accessibile.
Qual è stato l’aggancio che vi ha fatto pensare di contribuire in questo ambito? Avete avuto delle difficoltà legate alle certificazioni?
Nicolò Benini: L’incontro decisivo è avvenuto quando abbiamo conosciuto il professor Jordi Puig-Suari, uno dei pionieri della tecnologia CubeSat. Esaminando questi oggetti, abbiamo capito che, a livello di produzione, potevamo realizzarli anche noi. Non c’era nulla di troppo distante dalle nostre capacità tecnologiche e industriali. Così, abbiamo iniziato dedicandoci intensamente alla ricerca, perché operare nel settore dello spazio richiede competenze avanzate e il rispetto di rigide normative, come gli standard NASA e non è possibile improvvisare: bisogna usare materiali specifici e seguire regole precise. Nel 2014 abbiamo creato la business Unit SPACEMIND, dedicata specificamente a ricerca e sviluppo (R&D) e sviluppare prodotti propri. Successivamente abbiamo sviluppato una generazione di sottosistemi per nanosatelliti, quindi per CubeSat, partecipato a diverse missioni e messo in orbita almeno una decina di satelliti, sia nostri che partecipando nel ruolo di fornitori di hardware. Rispettiamo vincoli rigorosi in termini di regolamentazione perché non è possibile utilizzare materiali non conformi o ignorare gli standard dell’European Cooperation for Space Standardization (ECSS) dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e gli standard NASA a cui abbiamo accennato prima, poiché il mancato rispetto di queste normative impedisce la collaborazione con qualsiasi carrier o partner. Nel nostro lavoro i manuali ECSS sono sempre a portata di mano per garantire il rispetto di tutte le regole. Questo tipo di approccio ha richiesto grande impegno e dispendio di risorse, ma ci ha permesso di sviluppare prodotti su scala mondiale e di affermarci nell’esclusiva community degli attori della new space economy, restando attivi in diversi ambiti. Oggi ci occupiamo principalmente di sistemi e sottosistemi satellitari, offrendo soluzioni complete dalla progettazione alla missione finale in ottica end-to-end. Il cliente ci presenta il payload, il carico utile che vuole far volare, che può essere una fotocamera, un dispositivo di comunicazione o altro, e noi costruiamo il satellite attorno a queste specifiche esigenze, eseguendo un’analisi di missione e avvalendoci della collaborazione con vari provider di lanci. In questo modo siamo in grado di gestire l’intero processo, accompagnando il cliente dall’inizio alla fine. Oltre a questo, ci siamo specializzati in sistemi di separazione, tra cui deployer e sistemi in grado di rilasciare gli stessi satelliti in orbita.
Oltre al design e alla produzione dei nanosatelliti, vi occupate anche di altre tecnologie?
Nicolò Benini: Oltre al design, alla produzione di parti dei satelliti e a tutti i test necessari, gestiamo anche l’integrazione dei componenti, su missioni che hanno finalità diverse e spesso in collaborazione con università e altri enti. Ad esempio, attualmente lavoriamo con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) al programma Alcor, basato sulla tecnologia CubeSat, che consente a vari player in Italia di sviluppare i propri satelliti con diverse missioni tecnologiche a bordo. I dimostratori tecnologici finanziati dall’ASI rappresentano potenziali innovazioni che possono portare qualcosa di diverso e a nuovi prodotti sul mercato. All’interno del programma Alcor siamo una componente importante nella filiera spaziale italiana. Inoltre, tre anni fa abbiamo incontrato la Vector Robotics di Mogliano Veneto, una realtà che sviluppa droni a energia solare in grado di volare per circa otto ore con tempo sereno. Da lì ci è venuta l’idea di contribuire finanziariamente e, dopo il consolidamento, abbiamo offerto supporto nella produzione e nell’industrializzazione. La principale funzione di questi prodotti è quella di monitorare in modo costante le aree boschive per prevenire gli incendi, grazie anche alla peculiarità di poter volare con tecnologia Beyond Line-Of-Sight (BLOS), quindi autonomamente e per ore in modo continuativo su un territorio, dopo aver stabilito una rotta. Se scatta un principio di incendio viene mandato un segnale di allarme alla protezione civile o ai vigili del fuoco e inviato un secondo drone più grande e con meno autonomia, che stiamo sviluppando, funzionale al trasporto e al lancio di un agente ritardante sul principio d’incendio. La nostra idea è sempre stata quella di fornire un servizio innovativo con un drone che avesse un’autonomia elevata per sopperire alle criticità del nostro territorio e ormai questi prodotti sono maturi e diverse Regioni li stanno acquistando. L’obiettivo è però anche quello di posizionarsi sul mercato estero, soprattutto statunitense, perché in Italia a causa di diversi problemi, anche burocratici, è difficile vendere grandi quantità di questo tipo di dispositivi.
Come vi finanziate e quali sono gli attori principali con cui collaborate?
Nicolò Benini: NPC SPACEMIND si autofinanzia completamente grazie alla solida base che abbiamo costruito negli anni, che ci ha permesso di crescere organicamente. Seppure non escludiamo altre strategie future, al momento concentriamo la nostra attenzione sullo spazio, che rappresenta ancora una piccola parte del fatturato perché spesso le missioni sono progettate e gestite singolarmente, anche se con i sistemi di separazione prevediamo di avviare una produzione che potrebbe garantire un sostentamento più stabile e diversificato e una solida crescita nei prossimi anni. La collaborazione con importanti attori del settore ci permette già di contribuire significativamente nella produzione di Mechanical Ground Support Equipment (MGSE), ovvero tutto l’equipaggiamento di supporto a terra, e la situazione attuale è particolarmente interessante per la crescita delle startup tecnologiche, con cui collaboriamo con l’obiettivo di sviluppare prodotti competitivi che potranno volare sui nostri satelliti o integrarsi nelle nostre missioni. Questa proliferazione di nuove imprese è un segnale positivo, indipendentemente da quante di esse sopravviveranno a lungo termine, perché è indicativa di una crescente attenzione e sensibilità verso il settore spaziale in Italia, che tradizionalmente è stato frammentato e dominato da pochi grandi player. Siamo molto vicini anche alle università e ai centri di ricerca, che non vediamo come concorrenti ma come partner potenziali, e desideriamo collaborare con realtà come il Tecnopolo di Bologna e il CIRI Aerospace di Forlì. Noi rappresentiamo il settore industriale, ma siamo anche un luogo aperto al dialogo con le nuove generazioni e dove i giovani del nostro territorio possono venire a visitare i laboratori e la nostra camera bianca, per comprendere come lo spazio stia evolvendo, come già oggi incida nella loro vita quotidiana e come stia diventando una sempre più concreta opportunità lavorativa. In questo senso, vogliamo anche contribuire a ridurre il fenomeno del brain drain – che spesso causa la migrazione delle menti migliori verso altre città come Torino e Milano, o verso altri Paesi – mantenendo qui le competenze locali. L’idea è quella di offrire agli abitanti del territorio, e in particolare alle nuove generazioni, la possibilità di sviluppare un interesse per questo settore e magari in futuro trovare nuove occasioni di collaborazione e di lavoro. Nel complesso, per noi è stato stimolante vedere diverse prospettive su come integrare l’aspetto più tradizionale del fare impresa con le esigenze in costante evoluzione della space economy, un settore che richiede di essere all’altezza delle principali sfide contemporanee.
La vostra realtà come si posiziona nel settore rispetto al contesto internazionale?
Nicolò Benini: Il settore della new space economy sta ricevendo ingenti investimenti da molti grandi Paesi, che hanno progetti e obiettivi a medio e lungo termine. Durante le missioni di quest’anno, abbiamo avuto l’opportunità di visitare realtà come Texas (dove si trova il NASA Johnson Space Center di Houston), Canada, Giappone e Corea del Sud. Questi Paesi stanno sviluppando ecosistemi forti per supportare le piccole e medie imprese e le startup, con il sostegno dello Stato e dei venture capitalist. In particolare, Giappone e Corea del Sud stanno facendo grandi progressi, con l’obiettivo di diventare player significativi nello spazio entro il 2045. Le tecnologie su cui si concentrano, come i CubeSat, i lanciatori e l’esplorazione spaziale profonda, sono le stesse su cui stiamo lavorando noi e, proprio in risposta a queste dinamiche, abbiamo deciso di investire fortemente nel settore spaziale acquisendo una nuova sede a Faenza, che diventerà operativa a breve e sarà dedicata esclusivamente alla produzione di satelliti e sistemi di separazione per satelliti. La nostra ambizione è di continuare a crescere e rafforzare la nostra posizione nel settore, anche a livello internazionale.
Da questa conversazione emerge una visione positiva, anche rispetto alle potenzialità che può avere il nostro Paese, e in particolare l’Emilia-Romagna, nello sviluppare un ecosistema che possa essere competitivo e significativo in quest’ambito. È così?
Nicolò Benini: Assolutamente sì. In questo senso è stato fondamentale toccare con mano le realtà estere che citavo prima e vedere il loro approccio, perché questo ha avuto un impatto significativo su figure chiave della Regione come Vincenzo Colla e Stefano Bonaccini. Gli amministratori si sono resi conto che non si tratta più solo di parlare di spazio ma di passare alla pratica; questi Paesi hanno ecosistemi concreti che lavorano in sinergia per raggiungere obiettivi specifici e questa consapevolezza si riflette anche nel disegno di legge quadro sullo spazio promosso dal Governo italiano e dal Ministro Adolfo Urso. Leggendolo, si percepisce una comunanza con le visioni dei Paesi che abbiamo visitato ed è evidente la sensibilità crescente e la presa di coscienza di un futuro in cui lo spazio sarà sempre più accessibile e quindi cruciale per settori sempre più numerosi e diversificati. L’attuale contesto normativo e la nuova legislazione indicano un inizio di visione strategica, un passo avanti importante per il nostro Paese. In Emilia-Romagna abbiamo già testimonianze concrete di questo cambiamento con aziende come Dallara, Technogym e Barilla che, pur operando in settori diversi, stanno collaborando con realtà come Axiom, dimostrando che possono diventare player importanti nel settore spaziale. Questo movimento verso una maggiore integrazione e partecipazione è un segnale positivo per il futuro dell’Italia nello spazio.
Quanto è stata importante la missione di Axiom AX-3 per promuovere la partecipazione e la collaborazione tra pubblico e privato? Siete stati direttamente coinvolti in qualche modo?
Nicolò Benini: Non siamo stati coinvolti direttamente nella missione, ma la partecipazione di altre realtà è stata fondamentale per la visibilità, l’apprendimento e la consapevolezza perché ha permesso di portare stabilmente la conversazione attorno allo spazio su una traiettoria che era già evidente: molti attori esterni al settore spaziale vogliono entrarvi, riconoscendo che è la nuova frontiera e l’area dei nuovi investimenti e delle infrastrutture strategiche del futuro. Le costellazioni di satelliti e le altre tecnologie spaziali sono già parte integrante della nostra vita quotidiana e la necessità di sistemi sempre più resilienti e di supporto è in aumento; ignorare questa traiettoria porterà inevitabilmente a degli svantaggi. Dunque, è positivo vedere come ci sia una crescente consapevolezza su più livelli e i nostri stretti rapporti con ESA e ASI mostrano che anche queste organizzazioni stanno lavorando intensamente in questa direzione, con cambiamenti significativi e positivi negli ultimi anni. Il programma Alcor dell’ASI, ad esempio, sta aprendo le porte a nuove realtà che non hanno mai operato nello spazio, permettendo loro di partecipare a consorzi per missioni specifiche e testare o validare le loro tecnologie in orbita. Questo offre una grande opportunità di collaborazione e crescita per il territorio, quindi vedo un futuro promettente, con la possibilità di costruire qualcosa di rilevante insieme, sia a livello nazionale che internazionale.
Dal punto di vista del territorio in cui operate, quali sono i punti di forza e cosa manca secondo voi?
Nicolò Benini: Sul territorio abbiamo una forte competenza nella gestione dei materiali con un’accentuata capacità nel settore manifatturiero e inoltre sta cambiando la visione imprenditoriale, soprattutto delle seconde generazioni di imprenditori, che oggi è più aperta rispetto al passato conservatore. Durante le missioni recenti abbiamo avuto modo di incontrare amministratori delegati di aziende focalizzate su altri settori ma affascinati dal campo spaziale, che desiderano contribuire, ognuno in base alle proprie competenze e disponibilità. Questa fascinazione e questo entusiasmo stanno iniziando a crescere all’interno della regione, e credo che sia importante canalizzare questo spirito in modo efficace. Sono particolarmente soddisfatto del lavoro e dell’approccio dei miei collaboratori su questo fronte, perché sono stati proattivi e hanno dimostrato una grande capacità di ascolto e di dialogo, cercando sempre di trovare modi per interagire efficacemente sul territorio. Inoltre, abbiamo un ottimo rapporto con la Regione Emilia-Romagna, caratterizzato da feedback continui in cui non si tratta solo di reciproco ascolto ma di impegnarsi nel capire cosa è possibile fare, come farlo e qual è la direzione complessiva migliore. Questo ha portato a una maggiore consapevolezza che prima mancava, anche se rimangono delle lacune culturali da colmare, soprattutto per quanto riguarda la differenza tra il settore spaziale e quello aeronautico. Alcune aziende tendono a orientarsi verso la produzione seriale e il raggiungimento di obiettivi di fatturato, mentre nel settore spaziale spesso è necessario investire in progetti complessi e a lungo termine, che richiedono tempo e risorse considerevoli. Queste sono solo alcune delle caratteristiche del nostro approccio e del nostro contesto operativo, impegnato ad affrontare delle sfide per cui è fondamentale avere una visione aperta e flessibile.
Cosa vi aspettate di realizzare in futuro? Su quali nuovi ambiti di attività e nuovi settori vorreste concentrarvi?
Nicolò Benini: Per quanto riguarda l’ambito spaziale, l’obiettivo è consolidare la nostra presenza nell’ecosistema e diventare un punto di riferimento non solo a livello regionale, ma anche nazionale, europeo e globale. Oltre a questo, ci sono varie missioni che stiamo affrontando attualmente e, guardando al futuro, abbiamo l’opportunità di entrare nell’orbita bassa terrestre (Low Earth Orbit – LEO, un’orbita attorno al nostro pianeta di un’altitudine compresa tra l’atmosfera e le Fasce di van Allen, quindi tra i 300 e i 1.000 chilometri), ma anche nello spazio profondo e nei servizi in orbita. Collaboriamo strettamente con società di brokeraggio lanci, per facilitare il contatto con SpaceX e altri vettori allo scopo di fornire loro deployer e sistemi di separazione. Nell’ultimo periodo stanno emergendo diverse opportunità significative e prevediamo un completo reshaping dell’economia spaziale europea nei prossimi due o tre anni. Inoltre, stiamo assistendo a una competizione tra i lanciatori europei, promossa dall’ESA, che sta provando a limitare il dominio attuale di SpaceX, perché è chiaro che non possiamo permetterci che tale monopolio nel settore perduri. Questo scenario sta spingendo verso un cambiamento significativo e promette di aprire nuove opportunità in un mercato attualmente consolidato. In questo senso, l’ESA ha incentivato lo sviluppo di diversi lanciatori negli anni, che attualmente si trovano in varie fasi di avanzamento, e alcuni hanno già completato i loro primi voli, mentre altri sono programmati per lanci e voli di prova nel prossimo futuro. Tutti questi lanciatori necessitano di sistemi di separazione per il posizionamento di payload in orbita, inclusi satelliti e altre apparecchiature e ci stiamo dunque orientando verso questi attori come potenziali fornitori per accelerare lo sviluppo di tali sottosistemi e un cambiamento complessivo della new space economy. È un momento emozionante perché abbiamo una prospettiva privilegiata e una stretta collaborazione con numerosi attori del settore, monitorando da vicino i progressi di questi lanciatori e dei broker di lancio tramite chiamate e incontri.
Come potrebbe diventare questo settore, nell’ecosistema dell’Emilia-Romagna, tra dieci anni?
Nicolò Benini: Nella nostra regione esiste già un solido comparto di competenze ed è essenziale mantenere questa traiettoria positiva per consentire la crescita e lo sviluppo. Soprattutto nella componentistica ci sono numerose piccole e medie imprese che rappresentano vere eccellenze, sia nel campo dell’elettronica che nella produzione industriale, e potrebbero svolgere un ruolo chiave nella filiera a livello nazionale e internazionale del settore spaziale, perché molte hanno già collaborato con noi durante le missioni dello scorso anno, ottenendo un quadro chiaro della direzione verso cui ci stiamo dirigendo. Guardando avanti di dieci anni, prevedo un aumento del coinvolgimento di aziende che potrebbero realizzare innovazioni significative, non solo nel campo satellitare ma nella vasta gamma di opportunità del settore spaziale, che vanno dalle grandi strutture ai segmenti di downstream e upstream. Ma è essenziale una visione a lungo termine, perché lo scenario potrebbe cambiare radicalmente se ci fosse un cambio di leadership. L’Italia è tradizionalmente forte nel settore spaziale ma ciò che ci è sempre mancato è stata la visione complessiva e il sostegno adeguato. I francesi, ad esempio, sono sempre stati un passo avanti a noi, proprio in virtù di una pianificazione dettagliata a medio e lungo termine, con una strategia chiara per gli asset e le infrastrutture spaziali. Tuttavia, a oggi non mancano casi virtuosi di cambio di visione in Italia, che mi rendono ottimista verso il futuro, come il programma delle Space Factory 4.0 guidato dall’ASI. Questa iniziativa coinvolge i grandi attori del settore per sviluppare nuove facility e condividere insieme a startup e piccole e medie imprese le infrastrutture necessarie, ad esempio per i test di vuoto e vibrazione, a costi accessibili, ponendosi l’obiettivo di costruire una filiera collaborativa. Sono convinto che questa nuova direzione sia quella giusta, tanto che abbiamo investito anche noi in una nuova facility.