Recensione a: Prisca Amoroso, Pensiero terrestre e spazio di gioco. L’orizzonte ecologico dell’esperienza a partire da Merleau-Ponty, Mimesis Edizioni, Milano 2019, pp. 244, 20 euro (scheda libro).
Scritto da Paolo Missiroli
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A partire dal settembre 2018, la questione ecologica è tornata prepotentemente, da protagonista, nel dibattito pubblico, dopo un periodo – coincidente più o meno con la grande crisi del capitalismo globale di inizio secolo – di incredibile e ingiustificata assenza. Questo non significa certo che tale questione fosse completamente sparita da ogni discussione, ma che la sua centralità, del tutto evidente a chi abbia affrontato la questione (come questa rivista quando, qualche anno fa, pubblicò un numero speciale dedicato all’ecologia, scaricabile liberamente qui), quasi mai fosse riconosciuta tale se non da soggetti considerati “estremisti verdi” o che addirittura, come sosteneva il presidente americano J.W. Bush, «vogliono mettere in discussione il nostro stile di vita» (cosa di cui erano accusati, proprio negli stessi anni, anche i terroristi di Al-Qaeda).
Sebbene tali accuse di estremismo e anche di totalitarismo non siano assolutamente venute meno (basti pensare al vero e proprio terrore di alcuni settori della destra conservatrice statunitense per il noto Green New Deal proposto dall’ala sinistra del Partito Democratico per il prossimo mandato presidenziale, ma anche a importanti esponenti delle destre – vecchie e “nuove” – europee), è però del tutto evidente che almeno in questo ultimo anno il tema dell’ecologia sia per così dire “uscito dall’angolo” in cui era stato relegato dalla destra e spesso purtroppo anche dalla sinistra, per raggiungere un ampio pubblico, specialmente giovanile se non addirittura adolescenziale. Ne sono prova le grandi mobilitazioni del movimento di FridaysforFuture dell’anno scorso e di quest’anno, che hanno fatto scendere in piazza per la giustizia climatica molti milioni di persone in tutto il pianeta. Ne è prova anche una rinnovata sensibilità (almeno a parole) di molte forze politiche; e quelle tra queste che non manifestano un sentimento positivo, sono state nell’ultimo anno comunque costrette a confrontarsi con il tema, non fosse altro che per relegarlo a prospettiva “ideologica”. Che questo sia dovuto all’avvicinarsi delle scadenze “ultime” per far fronte alla crisi climatica in modo da evitare un aumento oggettivamente devastante delle temperature, o all’affacciarsi sulla scena politica di nuove generazioni, o all’inizio di problemi oggettivi (desertificazione, distruzione delle barriere coralline, sesta estinzione di massa) legati al disastro ambientale, non è il caso di indagarlo ora. Fatto sta che la tematica ecologica è letteralmente “esplosa”, nelle menti e nei cuori degli Occidentali, nel corso dell’ultimo anno. Naturalmente tutto questo non è avvenuto senza contraddizioni, ma al momento non è questo che conta.
Per comprendere un libro che solo ad uno sguardo estremamente superficiale potrebbe apparire di “filosofia pura” era necessario contestualizzarlo nel suo tempo storico. Parlare di “pensiero terreste” sarebbe infatti risultato molto strano anche solo trenta o peggio quaranta anni fa, mentre non lo è oggi. La filosofia ed in generale il pensiero non sono concatenazioni pure di argomenti che attraversano intatte i millenni. Se è sicuro che il compito della filosofia non possa ridursi ad una mera descrizione dell’immediata attualità ed abbia il senso di una conquista che in qualche modo la superi, è anche vero che il pensiero scaturisce dal mondo in cui si colloca ed acquisisce senso da esso. Il testo di Prisca Amoroso è comprensibile ed apprezzabile solo in una simile ottica storica, che però non riduca il libro stesso ad un movimento politico, per quanto vasto. Esso, o meglio la crisi ecologica come crisi politico/culturale generale, è lo sfondo a partire dal quale il libro acquisisce senso, ma il libro si staglia su quello sfondo come qualcosa che, appunto, non è quello sfondo.
Il testo di cui si scrive è Pensiero terrestre e spazio di gioco. L’orizzonte ecologico dell’esperienza a partire da Merleau-Ponty, scritto da Prisca Amoroso e pubblicato da Mimesis Edizioni nella collana Itinerari filosofici. Non è troppo frequente, purtroppo, che un libro che nel suo sottotitolo recita «a partire da…» sia davvero pensato come “a partire da”. In generale, quello che accade è che si dona un titolo abbastanza accattivante a quello che è, né più, né meno, un volume monografico; lo si sottotitola con quella perifrasi e poi si dedica tutto il testo, appunto, a commentare o un autore o le interpretazioni di quell’autore. Questo rende la maggior parte dei saggi di questo genere, quando va bene, decisamente specialistici, adatti ad un pubblico di interessati a priori alla ricerca filologica; quando va male, contenitori di ripetizioni di cose già dette in testi migliori.
Il libro di Prisca Amoroso, invece, dà davvero ragione del suo sottotitolo: è un testo che parla “a partire” da Merleau-Ponty (importante fenomenologo francese, attivo tra i secondi anni Trenta e il 1961, anno della sua morte precoce), più che “di” Merleau-Ponty. Esso è strutturato a raggiera: Merleau-Ponty è solo al centro di riflessioni che lo presuppongono ma lo superano, che tengono dentro non solo il filosofo francese ma vasti campi della cultura antropologica, biologica, etnologica e semiotica (nonché, ovviamente, quella filosofica) occidentale, in un senso vasto del termine.
L’idea di fondo del libro (e forse anche del pensiero di Merleau-Ponty) è che noi non pensiamo abbastanza radicalmente il nostro rapporto con ciò che ci circonda. Detto altrimenti noi, o molti tra noi, sono cartesiani: noi occidentali abbiamo cioè nel nostro agire e nel nostro pensare l’idea che il corpo è una macchina, parte di un mondo di oggetti che sono tutti macchine, che sono illuminati dalla nostra “mente”, che invece sarebbe qualcosa di completamente diverso dal corpo, di puramente spirituale. Questo è quello che l’autrice chiama «il peccato originale della filosofia». La prima parte del libro, quella sul Corpo prova proprio a confutare questa idea ingenua e però così pervasiva nella cultura e nel modo di vedere le cose dei moderni. Le altre tre, titolate rispettivamente Terra, Gioco, Essere, trattano una molteplicità di temi che però sono riconducibili alla volontà di pensare in un altro modo, meno ingenuo, il nostro rapporto con il mondo.
Affrontare tutti questi temi renderebbe questa recensione dispersiva e poco utile. Meglio provare invece a leggere questo percorso teorico da un punto di vista specifico, per così dire “etico-politico”. Cosa significa infatti ripensare il rapporto dell’“uomo” con il mondo se non ripensare le nostre società, la forma che hanno assunto, e valorizzare altre forme, sempre interne a queste società, ma minoritarie?
Per pensare di nuovo questo rapporto servono nuovi concetti. Amoroso rinviene uno di questi in quello di “Terra”. Cosa è la Terra? Riagganciandosi ad Husserl, Amoroso ci dice che la Terra non è un pianeta. La Terra è prima di tutto l’insieme delle cose senza le quali non è possibile una vita. Essa è il suolo originario da cui non possiamo distaccarci. Husserl diceva che anche se poi colonizzassimo altri pianeti, non potremmo che farlo costruendo altre Terre. La Terra è la nostra casa e il senso di questa frase va ben al di là del fatto che da essa l’umano provenga. Essa è “la casa” poiché è ciò che, solo, può essere abitato da un umano. Le astronavi cosa sono, se non pallide copie di una Terra? Husserl ha chiamato in questo senso la Terra «l’Arca». In questo senso (e non per una volontà anti-scientifica) Amoroso ci ricorda la profonda volontà anti-copernicana di Merleau-Ponty. Essere contro Copernico non significa voler negare la sua scoperta. Significa voler ricordare che questo pianeta non è qualcosa che si può oggettivare, ma è l’orizzonte in cui noi siamo. Un orizzonte che è anche un limite; e allo stesso tempo un limite che fa da orizzonte. In questo senso Amoroso con Merleau-Ponty critica una parte importante del pensiero del Novecento, per il quale l’apertura dell’umano è data da un vuoto originario, da un “di meno”, un essere non-adatto, un essere spostato rispetto al mondo, un suo non essere nel mondo: per lei l’apertura è data dall’essere-nel-mondo, dall’essere terrestre.
Questo significa forse che il compito politico-etico all’altezza del nostro tempo, che è un tempo di crisi ecologica, sia quello di tornare ad una natura vergine, incontaminata? Non significa forse questo fare professione di fedeltà ad un dato originario, un suolo che è sempre uguale a sé stesso? Noi sappiamo bene che il termine “suolo”, nel Novecento, ha avuto dei significati oscuri, è stato il mezzo con cui Adolf Hitler e i suoi ideologi difendevano e giustificavano il loro agire. Lo stemma del Ministero per l’alimentazione e l’agricoltura del Terzo Reich recava scritto, appunto, «Blut und Boden»: suolo e sangue.
Come si sfugge a questa forma di pensiero della Terra come suolo assolutamente originario, come essenza assoluta a cui ritornare e che ci indica e impone un destino da seguire? Non ci saremmo liberati da molto, infatti, se dall’ingenuità di una nostra indipendenza dal mondo ricadremmo in quella di una nostra fusione assoluta con esso. Saremmo sfuggiti semplicemente dal nostro proposito iniziale: pensare più radicalmente il nostro rapporto con il mondo; ne avremmo, per così dire, semplicemente invertito il segno: da “nessun rapporto” saremmo passati a “completa fusione”.
Amoroso tenta di superare questa impasse mediante il concetto di “gioco”. Nel gioco noi abbiamo un rapporto con ciò che ci circonda che non è né di libertà assoluta (giacché ogni gioco stabilisce dei limiti, delle regole) né di vincolo totale (ogni gioco in quanto tale presuppone una certa libertà). Quando giochiamo, noi stabiliamo dei limiti, che sono però anche gli orizzonti di ogni azione possibile nel gioco. Questa azione in quanto tale è libera, ma può esserlo solo perché si dà dentro questo spazio di gioco. Un azione fuori da quello spazio romperebbe il gioco: sarebbe un’azione guastafeste, letteralmente. Questi ragionamenti, a prima vista un po’ complessi e anche fuori luogo, sono in realtà decisivi all’argomentazione di Amoroso a proposito dei temi che qui ci interessano: abitare la Terra significa precisamente avere con essa questo tipo di rapporto, di limite che è allo stesso tempo un orizzonte, di limite che costituisce l’unico spazio possibile di libertà. La Terra non è più, qui, il suolo originario, il nostro destino. Essa è piuttosto lo spazio di quel gioco che è la nostra vita, il cui senso è interno a sé stessa e non la trascende mai.
Cosa sarebbe dunque questa natura di cui tanto si parla oggi, per tornare alla nostra premessa iniziale? Per Amoroso non conviene parlare di ibrido, di continuità natura-cultura, dire che l’uomo è natura, porli in uno spazio di continuità assoluta. Sono note agli esperti le difficoltà di tale approccio, frequente in chi si occupa di ecologia filosofica fin dagli anni Novanta. Per l’autrice del testo, invece, «la natura è differente dall’uomo, perché l’uomo ne è, non perché vi si opponga». L’uomo è parte della natura, ma essa è qualcosa di inesauribile che rimane come orizzonte. Il fatto che l’uomo non sia altro rispetto alla natura non porta a considerare la natura come ciò che è l’uomo: è sempre l’idea dello sfondo che si afferma in questo tipo di concettualità. Noi non abbiamo mai accesso alla totalità: ciò che vi è di più proprio dell’umano è la sua parzialità. In Merleau-Ponty c’è davvero la possibilità di una diversa antropologia rispetto ad esempio a quella di Kojéve, citato criticamente da Amoroso in poche occasioni ma evidentemente presente come obbiettivo polemico lungo tutto il testo.
Solo a partire da questa consapevolezza (più che dai ragionamenti a proposito dell’ibridazione natura-cultura) sarebbe possibile pensare una politica ecologica. Che tale compito di pensare l’ecologia politicamente sia ancora tutto da compiere e che questo lavoro non possa che essere svolto a partire da una rivalutazione complessiva di quasi tutte le categorie che animano il pensiero occidentale, è l’idea,c tra tante altre di cui non abbiamo avuto lo spazio di scrivere, che ci consegna questo libro; che non manchino gli strumenti teorici per farlo (su quelli pratici, al lettore la valutazione), è certezza che si imprime in chi legga il testo di Amoroso senza pregiudizi.