Scritto da Enrico Comini
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Continua da qui: Podemos: nascita e sviluppo di un nuovo partito – prima parte
Dopo il successo delle Europee Podemos ha deciso di tenere un congresso per meglio definirsi, per strutturarsi a livello organizzativo con un gruppo dirigente definito. Dopo il lungo congresso, durato due mesi, dal settembre 2014 al novembre 2014, ha vinto l’idea di un partito “leggero” e, di fatto, “leaderistico”.
Si sta assistendo in questi ultimi mesi a un calo di partecipazione in Podemos. Dei 314mila iscritti sono sempre meno coloro che partecipano esprimendosi nelle votazioni interne. Alcuni politologi spagnoli denunciano la personalizzazione eccessiva di Podemos. Un “cerchio magico” con a capo Iglesias deciderebbe sempre più senza confrontarsi con la base. I circoli di Podemos, nati in questi mesi, discutono molto ma nei fatti a livello decisionale sono ininfluenti. Come nei partiti tradizionali.
Pablo Iglesias è stato eletto segretario generale di Podemos con un voto online e, su 107mila votanti, 95mila hanno scelto lui. E’ il “Consiglio ciudadano”, composto da 62 componenti, metà uomini e metà donne, che costituisce l’organo politico con funzioni esecutive del partito.
Dal gruppo dirigente di Podemos, nel corso del 2014, sono emerse, oltre a Iglesias, altre figure degne di nota:
Molti giornalisti italiani hanno paragonato Podemos al Movimento 5 Stelle sostenendo come ci sia una forte somiglianza se non una comunanza pressoché totale tra i due partiti. In effetti ci sono molti elementi comuni: nascita e successo per la crisi del bipolarismo e dei partiti tradizionali, carica antisistema post-ideologica. Comune è anche il richiamo alla democrazia diretta, all’“uno vale uno”e alla polemica anticasta. Simile è l’anima giustizialista e il ricorso a tecniche di politica-marketing.
Però è anche evidente come non si possa liquidare Podemos come una versione spagnola del grillismo. Vi sono una serie di elementi che distinguono nettamente i due partiti: Podemos si dichiara antifascista e non anticomunista. Il comune “né di destra né di sinistra” per Podemos significa non far parte di “questa” sinistra, identificata col Psoe; l’ideologia non è rifiutata di per sé, ma è propugnata in chiave innovativa (nel linguaggio, nel metodo e nella capacità attrattiva); Podemos ha creato un rapporto reale con le associazioni locali e ambientaliste non esorcizzando la “solitudine” come il M5S; Podemos vuole la riduzione del finanziamento pubblico, non la sua abolizione; il rapporto con TV e i media è diverso, come l’approccio a Internet; in Podemos c’è la presenza di gruppi dirigenti che non dipendono (anche se si sta accentuando la tendenza leaderistica) da un capo-padrone del partito come è, viceversa, il rapporto Grillo-parlamentare penta-stellato.
La capacità di Iglesias di plasmare Podemos come un partito “pigliatutto” è evidente: non importa definirsi per forza di sinistra poiché tale termine può suscitare un’avversione, anche solo per ragioni famigliari, che limita la capacità di consenso. La spregiudicatezza e la volontà di vittoria accomunano Iglesias ad altri giovani leader come Renzi e Tsipras, seppur vi siano notevoli differenze politico-antropologiche con il primo.
Iglesias, come Renzi e Tsipras, essendo leader politico nell’attuale società “liquida” post-moderna, sa come il consenso sia sempre più mobile, non solo a livello intra-blocco (cioè all’interno dello schieramento dei partiti di sinistra o di destra), fenomeno già molto accentuato in Italia nella Seconda Repubblica, ma sempre più anche inter-blocco (da sinistra a destra e viceversa), sancendo, di fatto, la fine dell’elettorato ideologico tipico del Novecento. Tale fluidità di consenso porta con sé vantaggi (vittorie inaspettate per partiti da sempre minoritari) e dei rischi che possono portare al crollo di consensi anche quei partiti che solo pochi mesi prima avevano conosciuto importanti successi elettorali (vedi M5S).
Un partito anti-sistema come Podemos si trova davanti ulteriori rischi. In caso di una futura responsabilità di governo deve riuscire a portare avanti riforme coraggiose con la prevedibile avversione del potente establishment finanziario-politico-editoriale nazionale ed europeo. Se fallisse nella sua azione è prevedibile immaginare una crisi di Podemos con l’apertura di scenari ancora inediti. In Grecia una situazione analoga rischia di profilarsi già nei prossimi mesi in un contesto ancora più pericoloso. Se fallisse il governo Tsipras non è irrealistica la prospettiva dell’ascesa della destra neo-nazista di Alba Dorata. Mai come nei prossimi mesi/anni le istituzioni europee e la Germania avranno l’onere di definire il futuro dell’ Unione e dei paesi al nord del Mediterraneo: speriamo che prevalga una visione pragmatica e solidale.
Inoltre c’è un ulteriore elemento di rischio per il futuro del partito di Iglesias. Podemos è nato come partito interclassista, volutamente depuratosi da termini come “lotta di classe”. Le lotte del XXI secolo non sono più quelle della classe operaia vs classe borghese, ma del 99% vs 1%. In realtà nel 99% della popolazione le rivendicazioni sono diverse. Il 99% non è una massa omogenea con le stesse aspirazioni. La negazione del conflitto sociale, che nella realtà della società non si limita alla critica al mondo bancario e finanziario, è la negazione della realtà stessa poiché il conflitto sociale è naturale che vi sia in un’ economia capitalista come quella spagnola. La volontà di essere a tutti i costi interclassisti senza puntare a radicarsi principalmente in un elettorato specifico (ad esempio il lavoro dipendente) può portare certamente a una più ampia vittoria elettorale, ma anche ad ambiguità, a un’identità fumosa e indecifrabile dietro la polemica contro la Casta, a contrasti interni e, soprattutto, a una frustrazione e all’ allontanamento di una parte dell’elettorato che vede le sue speranze sfumare nel momento dell’azione riformatrice portata avanti dopo la vittoria alle elezioni.
La strada è però ancora tutta in salita per Podemos. In vista delle prossime elezioni politiche, che saranno decisive per il futuro della Spagna, del dicembre 2015, Pp e Psoe hanno firmato un” accordo “per rafforzare l’unità in difesa della libertà e della lotta contro il terrorismo”. Podemos e la corrente di sinistra del Psoe temono che esso si tradurrà in un futuro patto elettorale delle forze pro-Sistema in chiave anti-Podemos. El Pais sostiene, non a caso, che il vero avversario per Rajoy non è il Psoe, ma Podemos. Sembra strutturarsi così un “Patto del Nazareno” in salsa iberica con anche finalità elettorali. Si realizzerebbe quel “Grande Centro”, costituito da socialisti e popolari che governa da sempre l’UE e contro il quale Podemos ha impostato la campagna elettorale delle Europee.
Una sfida del blocco dei partiti del Sistema contro Podemos in anni passati avrebbe avuto un esito scontato, a vantaggio del primo, ma la Crisi apre scenari così aperti che è azzardato fare previsioni sulle future elezioni spagnole. Staremo a vedere.