Populismo come mentalità. “L’Italia populista” di Marco Tarchi
- 25 Aprile 2016

Populismo come mentalità. “L’Italia populista” di Marco Tarchi

Recensione a: Marco Tarchi, Italia populista. Dal qualunquismo a Beppe Grillo, il Mulino, Bologna 2015, pp. 379, 20 euro (scheda libro)

Scritto da Matteo Rossi

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L’ultimo lavoro di Marco Tarchi, Italia populista. Dal qualunquismo a Beppe Grillo, rappresenta la conclusione di un lavoro decennale di riflessione sul populismo, maturato in numerosi articoli e in una prima edizione del libro nel 2003, ora ampiamente rivista e modificata. Gli scritti di Tarchi si inseriscono nella vasta ondata di interesse accademico per il populismo suscitata, a partire dagli anni Novanta, dal prepotente ritorno del fenomeno sulla scena politica italiana ed europea, ma se ne distinguono per un maggiore rigore teorico e analitico, per la vasta documentazione sui casi studiati e per l’uso strettamente avalutativo del concetto.

Sono due gli obiettivi dell’autore. Il primo consiste nel confrontarsi con la sterminata letteratura disponibile e valutarla criticamente, per fornire una definizione del populismo, che ne indichi la natura di mentalità e ne specifichi gli elementi essenziali e ricorrenti. Il secondo consiste in una ricognizione delle manifestazioni italiane della mentalità populista, per risalire alle origini del suo successo nel nostro Paese. Compiendo queste due operazioni, in un costante corpo a corpo con la letteratura recente e con la realtà empirica, l’autore riesce a rendere conto di molte caratteristiche della politica dei nostri tempi.

Le definizioni del fenomeno populista proposte negli ultimi anni da politologi, sociologi e filosofi sono svariate, e sono pochi gli elementi su cui si sia consolidato un accordo unanime. Il primo passo nel definire il populismo consiste nell’identificarne la natura. Alcuni considerano il populismo come un’ideologia, un sistema di pensiero, per quanto con connotati più deboli e laschi delle ideologie tradizionali1. Al contrario, secondo altri, la povertà contenutistica degli appelli populisti non permette di identificare nulla di riconducibile a una coerente visione del mondo e della società, ma permette soltanto di parlare di uno stile populista2. Tarchi rifiuta entrambe le proposte, ritenendo l’ideologia un contenitore troppo rigido (e rispetto al quale i populisti manifestano una forte ostilità) e lo stile un contenitore troppo ampio3: la natura del populismo consiste, per l’autore, nell’essere una mentalità caratteristica.

L’essenza del populismo è identificabile in una specifica forma mentis, dipendente da una visione dell’ordine sociale alla cui base sta la credenza nelle virtù innate del popolo, il cui primato quale fonte di legittimazione dell’azione politica e di governo è ampiamente rivendicato. Questa mentalità può assumere una molteplicità di espressioni e può essere alla base di uno schema ideologico di interpretazione della dinamica sociale, dello stile di comportamento politico di soggetti individuali o collettivi (…), di una formula di legittimazione che può fare da base a un regime, e, per il suo carattere fluido, non si manifesta in forma monolitica ma presenta gradi di intensità diversi a seconda dei contesti e delle circostanze.4

Le mentalità, secondo la definizione fornita da Juan José Linz, sono “modi di pensare e di sentire più emotivi che razionali”5 e si distinguono dalle ideologie per essere atteggiamenti intellettuali, non contenuti intellettuali6. Da una parte, la mentalità populista sarà quindi compatibile con diversi contenuti ideologici, e di conseguenza adattabile a forze politiche estremamente lontane tra loro, confermando la “trasversalità del populismo rispetto alla linea divisoria sinistra/destra”7. Dall’altra, il populismo potrà presentarsi anche come mero stile politico, utilizzato strumentalmente da attori che non condividano interamente la forma mentis populista.

Anche il concetto di mentalità risulta un contenitore ampio, ma è il populismo stesso a ricercare vaghezza e generalità, in quanto politicizza lo scontro più generale (e generico) di tutti: la contrapposizione governati-governanti. L’abito del populismo non può che essere sufficientemente ampio da contenere le diverse manifestazioni di un fenomeno eterogeneo e cangiante. La definizione del populismo come forma mentis resta quindi la migliore e la più convincente tra quelle disponibili.

Definiamo perciò il populismo come la mentalità che individua il popolo come una totalità organica artificiosamente divisa da forze ostili, gli attribuisce naturali qualità etiche, ne contrappone il realismo, la laboriosità e l’integrità all’ipocrisia, all’inefficienza e alla corruzione delle oligarchie politiche, economiche, sociali e culturali e ne rivendica il primato come fonte di legittimazione del potere, al di sopra di ogni forma di rappresentanza e di mediazione.8

Possiamo isolare tre elementi di questa definizione:

  1. un’idea di popolo come comunità organica e omogenea dotata di intrinseche qualità etiche e pratiche, considerato come unica fonte legittima del potere;
  2. la contrapposizione tra popolo e oligarchie moralmente corrotte e incapaci;
  3. l’ostilità verso le forme di mediazione e rappresentanza.9

Il popolo dei populisti non è riconducibile a un unico modello10, ma è possibile individuarne alcune caratteristiche ricorrenti e costanti. Il popolo è considerato il depositario di tutte le virtù (dignità, laboriosità, onestà, spirito di sacrificio), in contrasto con i vizi delle classi dirigenti: rappresenta il mito della “società civile” sana in opposizione alla politica corrotta. Il populismo ipostatizza una comunità coesa, una totalità organica di cui si valorizzano, in modo illusorio, “l’unità, l’omogeneità e l’unicità”11, fatte salve le differenze di condizione dovute al “merito” o a qualche dote particolare. E’ un insieme che non può e non deve essere separato da conflitti interni. In questo senso è marcata l’ostilità dei populisti nei confronti di chi propugna la lotta di classe12, ma anche, più in generale, nei confronti del pluralismo13.

Il popolo dei populisti (…) è infatti sempre e comunque una totalità fondamentalmente omogenea ma non indifferenziata né egualitaria, perché accetta e valorizza le gerarchie e le funzioni ritenute naturali14

Si tratta di un popolo fatto di “gente comune”, di persone “normali” dotate di un generico buonsenso e di etica del lavoro, di anonimi eroi quotidiani, di “uomini qualunque” oppressi dai potenti corrotti, di piccoli imprenditori vessati dal fisco15. E’ un popolo che reagisce a una sensazione di sgretolamento della comunità, cui il populismo rivolge in primo luogo un messaggio di rassicurazione, con l’idea che si possano superare le difficoltà insieme, eliminando fratture e conflitti16.

Da questo popolo immaginato deve derivare ogni forma di potere politico legittimo, tramite strumenti di democrazia diretta e spesso plebiscitaria (referendum, mandato imperativo, recall degli eletti) che vincolino la classe politica alla volontà popolare. In questo senso è coerente con la mentalità populista anche l’insofferenza nei confronti delle mediazioni istituzionali tipiche del parlamentarismo, che impediscono un rapporto diretto tra rappresentanti e rappresentati, tra leader e popolo, l’ostilità “verso tutto ciò che non può essere racchiuso nella dimensione dell’immediatezza, della semplicità, del rapporto diretto e visibile con la realtà, delle abitudini e delle tradizioni.”17

L’elemento più appariscente e persistente degli appelli populisti resta comunque l’opposizione nei confronti dell’oligarchia. In prima battuta il nemico dei populisti è la classe politica, nella sua interezza, in quanto traditrice del legame di subordinazione che la dovrebbe legare al popolo, suo mandante.

Nel pantheon populista dei nemici del popolo il posto d’onore spetta al mondo della politica, popolato esclusivamente di parassiti, che sfruttano i sacrifici della gente semplice per il proprio esclusivo tornaconto, e da usurpatori, che hanno sottratto al popolo la sovranità che gli spetterebbe.18

Così, la polemica nei confronti della classe politica diventa il vero marchio di fabbrica di movimenti che, più che essere ostili alla democrazia, sono ostili alla degenerazione che essa avrebbe subito, proponendone una rigenerazione. A questo proposito, Tarchi contesta la sovrapposizione dei termini “populismo” e “antipolitica”, in quanto il primo è spesso impegnato contro una politica che considera degenerata, non contro la politica tout-court. Ne è prova evidente il fatto che i movimenti populisti non rifiutano quasi mai la competizione elettorale contro gli avversari, impegnandosi in azioni strettamente politiche, e in molti casi fungendo da valvola di sfogo di una protesta potenzialmente violenta19.

Il progetto populista è bonificare la politica, non sconvolgere l’ordine sociale.20

La classe politica è solo il più visibile tra gli avversari dei populisti, che rivolgono le proprie accuse più in generale a tutti i settori della classe dirigente, in particolare contro l’alta finanza, la burocrazia statale, gli intellettuali e le agenzie internazionali, l’Unione Europea in particolare. In altre parole, la dimensione di conflitto privilegiata dalla logica manichea della mentalità populista è quella che contrappone la parte bassa alla parte alta della società, i governati ai governanti, considerando entrambi i lati della dicotomia come omogenei e compatti, il primo nella virtù, il secondo nel vizio, con tutto ciò che ne discende in termini di semplificazione della realtà.

Infine un accenno alle caratteristiche ricorrenti della leadership populista. Il capo populista deve essere fatto della stessa pasta dei suoi seguaci (“uno di loro”), ma al tempo stesso deve essere dotato in misura straordinaria di doti ordinarie21. Il leader populista è spesso un personaggio noto che ha costruito il proprio successo in settori sociali o economici lontani dalla politica, che dichiara di entrare in politica con riluttanza, controvoglia, costretto dal proprio senso del dovere e dal grido di dolore proveniente dal popolo, e di farlo solo temporaneamente.

Il quadro definitorio proposto da Tarchi risulta quindi, a nostro avviso, sufficientemente dettagliato da distinguere il populismo da fenomeni diversi, ma al tempo stesso sufficientemente elastico da contenere l’eterogeneità delle sue differenti manifestazioni, riuscendo a “rendere ragione, a un tempo, dell’unitarietà e della polisemia che lo contraddistinguono.”22

I capitoli successivi del libro si occupano di indagare le manifestazioni del populismo nel caso italiano23. In essi l’autore riesce a fornire un’ampia interpretazione delle cause storiche della predisposizione italiana al populismo, delle condizioni strutturali che lo hanno frenato o favorito. Non è questa la sede per riassumere le approfondite descrizioni dei maggiori movimenti populisti, che spiegano per ognuno le caratteristiche distintive e a che titolo possa essere definito tale. Ci limiteremo a prendere in considerazione i momenti storici che l’Autore ritiene decisivi per la diffusione del populismo nell’Italia contemporanea.

La descrizione storica di Tarchi, come si diceva, è accurata e dettagliata. L’unico rilievo che ci permettiamo di sollevare riguarda la tendenza, che emerge a più riprese, a definire populista ogni appello a forme di democrazia diretta e di rivendicazione dal basso di un rinnovamento della politica: per quanto sia spesso invocata dai populisti come tecnica decisionale necessaria e vincolante, la democrazia diretta non può essere confusa con il populismo, e può essere l’obiettivo anche di soggetti politici diversi.

Al di là dei casi indiscutibilmente populisti del Fronte dell’Uomo Qualunque, della Lega Nord, di Silvio Berlusconi e del Movimento 5 Stelle, Tarchi individua tendenze più profonde e nascoste, nella forte dose di populismo lasciata in eredità dal fascismo e in tutti i “profeti dell’inquietudine”24 che, non sempre con successo, hanno alimentato la mentalità populista nell’Italia repubblicana. Ne sono esempi l’esperienza di Achille Lauro, il Movimento Sociale Italiano25, il Partito Radicale di Marco Pannella, le “picconate” del Presidente Cossiga e la meteorica Rete di Leoluca Orlando.

Nonostante sia costante, in tutta la storia repubblicana, una diffusa sfiducia nei confronti delle istituzioni, per Tarchi, il potenziale populista latente non emerge fino agli anni Settanta a causa di quattro fattori che permettono la tenuta del sistema: il forte controllo dei partiti di massa sulla società; il diffuso clientelismo; il sostegno della Chiesa cattolica alla Democrazia Cristiana; il timore dei ceti medi nei confronti del comunismo, che li spinge a limitare le proteste contro la classe politica di governo26.

È con la crescente delegittimazione del sistema, la caduta dei vincoli internazionali e la fine del consociativismo clientelare interno, accelerata dalle inchieste di Tangentopoli, che l’Italia vive un ritorno travolgente della retorica populista. In questa fase la crisi di fiducia nel sistema politico può esprimersi liberamente e coagularsi nel sostegno a nuovi movimenti politici. Tangentopoli rappresenta così il momento di massima diffusione della mentalità populista, in quanto appare come una conferma della fondatezza della sfiducia nei confronti del sistema e dei partiti.

La trasversalità della corruzione rispetto all’asse destra/sinistra completa il quadro, favorendo la “convinzione tanto diffusa quanto ipocrita in base alla quale l’Italia sarebbe un paese a due facce nettamente distinte, in cui la società politica, corrotta e sleale, è responsabile di tutti i guasti, le arretratezze, le ingiustizie, le disfunzioni di cui la società civile, operosa e onesta, è la vittima incolpevole.”27

Non è necessario sottolineare quale straordinario terreno di coltura rappresentino tali convinzioni per il populismo. In una prima fase è la Lega Nord a capitalizzare lo scontento dei ceti medi, poi sorpassata da Silvio Berlusconi che, con la sua proposta genuinamente antipolitica, riesce a rappresentare la reazione dell’elettorato conservatore alla crisi del sistema, con un populismo intriso di neoliberismo. Sempre in questo contesto si genera l’avventura politica, di portata ben inferiore, di Antonio Di Pietro, e ha origine, in chiave antiberlusconiana, il movimento dei girotondi.

L’ultima ondata populista coincide con una nuova crisi, insieme economica e politica, con il dilagare di nuovi scandali di corruzione trasversali alle appartenenze politiche, tra il 2008 e il 2011. In quella fase recente, che vede la caduta dell’ultimo governo Berlusconi e la sua sostituzione con il governo tecnico di coalizione guidato da Mario Monti, si preparano tutte le condizioni per l’insorgere del Movimento 5 Stelle, che per molti aspetti rappresenta “la quintessenza della mentalità populista”28, con l’appello all’onestà e alla legalità dei cittadini, la leadership “agitatoria”29 di Beppe Grillo e l’esaltazione della “democrazia del web” come superamento delle vecchie forme di partecipazione.

È evidente come, nella visione di Tarchi, l’ascesa di movimenti populisti sia da ricondurre alle crisi di legittimazione del sistema politico italiano, non nel senso che siano esse a generare il populismo, ma nel senso che, sconfessando la credibilità degli attori politici tradizionali e dei comportamenti politici consolidati, permettono l’emergere carsico di una mentalità populista sempre diffusa e latente tra la popolazione italiana.

Per queste vie si arriva alla situazione politica attuale, in cui ogni argine a un populismo dilagante è stato abbattuto.

Nella storia dell’Italia repubblicana, il populismo ha lasciato una traccia visibile e profonda. Prima del recente exploit del movimento ispirato e guidato da Beppe Grillo, soltanto in due occasioni, prima con il Fronte dell’Uomo qualunque e poi con la Lega Nord, si è presentato sotto forma di un movimento di massa, cioè come espressione di tendenze politiche e culturali radicate nella società e capaci di garantire a chi se ne faceva portavoce un ampio consenso (…); la sua influenza come stile politico e come concezione della politica è stata però molto più costante e cospicua.30

In questo senso va interpretato, secondo Tarchi, il populismo di Matteo Renzi. Il suo è stato un registro stilistico utilizzato consapevolmente, che ha fatto ampio uso della retorica, delle parole d’ordine e degli atteggiamenti populisti, ma che non derivava da una mentalità integralmente populista. Renzi non ha potuto essere populista fino in fondo perché della classe politica e dell’establishment fa parte da sempre e a pieno titolo, per quanto la (ormai superata) retorica della “rottamazione” cercasse di nasconderlo.

Inaugurando una tattica che è probabilmente destinata a fare proseliti (…), Renzi parla il linguaggio dei populisti nelle sedi istituzionali, facendone paradossalmente uno strumento dell’élite per prendere in contropiede i contestatori.31

Così, tra stile e mentalità, il populismo è un fenomeno politico centrale nel nostro presente e destinato a durare, proprio per le solide radici che affonda nella cultura politica italiana: il lavoro di Tarchi è uno strumento imprescindibile per comprenderlo. Quali forme assumerà il populismo in futuro è difficile prevederlo, ma è ragionevole pensare che ormai nessun attore politico – di governo o di opposizione – potrà fare a meno di confrontarsi con esso e di affrontarlo sul suo stesso piano.

L’Italia populista è quella che viviamo.


1# M. Tarchi, Italia populista. Dal qualunquismo a Beppe Grillo, Bologna, Il Mulino, 2015, pp. 36-40. Si possono far rientrare in questa categoria le riflessioni di Yves Mény e Yves Surel, di Cas Mudde e di Margaret Canovan.

2# Ibid., pp. 40-46. A questo secondo filone di pensiero si possono ricondurre a vario titolo studiosi come Ernesto Laclau e Pierre-André Taguieff.

3# Ibid., p. 48.

4# Ibid., p. 52.

5# Citato Ibid., p. 50.

6# Ibid., p. 51.

7# Ibid., p. 71.

8# Ibid., p. 77.

9# Segnaliamo la compatibilità di questi elementi con la definizione triadica del populismo fornita da Flavio Chiapponi in Il populismo nella prospettiva della scienza politica, Genova, Erga Edizioni, 2014, pp. 75-81, in cui le caratteristiche cruciali sono: 1 il popolo come portatore di dignità etica e fonte della legittimità politica, 2 la protesta politica contro l’establishment e le élites, 3 il rifiuto delle istituzioni e della loro mediazione, per permettere un contatto diretto tra leader e seguaci.

10# Ibid., p. 56. Tarchi ricorda le distinzioni di Meny e Surel tra popolo sovrano, popolo classe e popolo nazione, e di Canovan tra united people, common people e ordinary people, ma la più interessante resta quella proposta da Taguieff, che distingue il popolo come demos, a cui si riferirebbe il “populismo di protesta” e il popolo come ethnos, riferimento del “populismo identitario” (ibid., pp. 52-56).

11# Ibid., p. 58.

12# Ibid., p. 66.

13# Ibid., p. 81.

14# Ibid., p. 57.

15# Ibid., p. 61.

16# Ibid., p. 73.

17# Ibid., p. 61.

18# Ibid., p. 62.

19# Ibid., p. 65.

20# Ibid., p. 61.

21# In questo senso Tarchi concorda con altri studiosi, tra cui Flavio Chiapponi, sulla difficoltà di definire “carismatica” la leadership populista, in quanto sarebbe una grave mancanza, per un populista, essere considerato “diverso”, anche solo in senso migliorativo, da coloro a cui vuole dare voce.

22# Ibid., p. 25.

23# Con una parentesi sui populismi europei nel secondo capitolo.

24# Ibid., p.195.

25# Che per Tarchi non può essere definito populista, ma che fa un ampio uso dello stile populista.

26# Ibid., p. 205.

27# Ibid., p. 236.

28# Ibid., p. 338.

29# F. Chiapponi, Il populismo 2.0. Note preliminari sulla “leadership” e sul modello organizzativo del Movimento 5 Stelle, in “Quaderni piacentini”, 3, 2012, p. 308.

30# Ibid., p. 365.

31# Ibid., p. 370.

Scritto da
Matteo Rossi

Nato a Genova nel 1993, si è laureato in Scienze Politiche presso l’Università di Pavia, con una tesi sul rapporto tra esclusione e violenza politica, e si è diplomato in Scienze Sociali presso l’Istituto di Studi Superiori (IUSS) di Pavia. Attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università di Bologna.

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