“Populismo. Teorie e problemi” di Manuel Anselmi
- 09 Agosto 2017

“Populismo. Teorie e problemi” di Manuel Anselmi

Recensione a: Manuel Anselmi, Populismo. Teorie e problemi, Mondadori Università, Milano 2017, pp. 112, 9 euro (scheda libro)

Scritto da Paolo Missiroli

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Non esistono, probabilmente, concetti più diffusi nel dibattito pubblico quotidiano di quello di “populismo”. Spesso associato ad una connotazione negativa, ma ultimamente rivendicato da più attori del campo politico come sintomo di “purezza” e di vicinanza ad un “popolo” contro un “élite”, è considerato da molti come arma di distrazione di massa, portatore di confusione costruito ad hoc dalle stesse élite per confondere le acque di chiunque critichi il sistema.

In questo marasma, il libro di Manuel Anselmi prova a portare un po’ di chiarezza, sia teorica (con il fenomeno) che definitoria (con il concetto). L’agile volume di cui qui trattiamo si costituisce di due parti: una prima in cui vengono esposte brevemente le principali teorizzazioni nel corso del Novecento riguardo al populismo, una seconda in cui vengono analizzati alcuni dei problemi principali da affrontare se si vuole dare una definizione operativa del populismo. Proprio questo è infatti l’obbiettivo del libro: fornire una definizione stringata, funzionale e quindi utilizzabile del populismo.

La prima parte non può essere riassunta, in quanto tale operazione richiederebbe la presentazione di ogni autore (si va da Germani a Laclau). Si tratta di uno strumento utile per conoscere i tratti salienti in merito a ciascuna prestazione concettuale ed anche per approfondire i singoli autori. Emerge una pluralità di posizioni che chiarisce in effetti la necessità dell’operazione editoriale retrostante alla pubblicazione del libro di Manuel Anselmi, che ha certamente a che fare con la sociologia politica ma prova a collocarsi in un’ottica di chiarificazione di un concetto tanto vasto quanto utilizzato, tanto confuso nel suo utilizzo quanto potenzialmente (almeno a parere di Anselmi) utile per descrivere processi oggettivi.

Della seconda parte è invece bene dire qualche parola in più. In questa Anselmi si occupa appunto di problemi. In primo luogo della periodizzazione del populismo come fenomeno. Dwayne Woods ha proposto una schematizzazione che identifica tre ondate del populismo: una prima del populismo agrario russo e dell’Est Europa; una seconda di quello latinoamericano degli anni Quaranta e Cinquanta e una terza ondata rappresentata dai populismi europei degli anni Novanta di orientamento conservatore.

Anselmi suggerisce di integrare questa terza ondata con i nuovi populismi contemporanei. Una tale operazione consentirebbe a suo parere la messa in luce più chiara dell’origine più evidente del populismo come fenomeno: la democrazia occidentale medesima.

È opinione di Anselmi infatti che il populismo sia la manifestazione sociale della sovranità popolare in particolari condizioni di crisi del regime politico. Il populismo non è una malattia della democrazia, è semmai l’emergere della sovranità popolare, cioè del cuore pulsante delle democrazia occidentali, in momenti in cui i regimi politici non garantiscono più quanto avevano promesso, ciò per cui veniva tollerato il loro esistere.

 

L’analisi del populismo di Manuel Anselmi

Questo significa forse che abbiamo trovato una definizione stabile e sicura per questo problema? Ci sono, a questo proposito, due strade da percorrere. O si tratta il populismo come categoria definita, precisa, o lo si tratta come un concetto aperto.

Si può, nel primo caso, dire che il populismo è un’ideologia (un discorso falso che contrappone molti a pochi, entrambi inesistenti); un puro discorso che crea le soggettività politiche in quanto discorso, un modo di parlare e di comunicare; una strategia delle classi più deboli per reagire. Queste alternative sono per Anselmi però eccessivamente rigide e nessuna di esse consente di comprendere fino in fondo tutti quei fenomeni che vengono definiti populisti.

Anselmi quindi, molto intelligentemente, non si accontenta di dire che, banalmente, tutti questi aspetti andrebbero considerati; passa piuttosto, riprendendo l’idea del filosofo Ludwig Wittgenstein, a parlare di concetto aperto fondantesi non su una definizione stabile ma su somiglianze di famiglia.

Il populismo non deve essere concepito come un’idea scientifica chiusa e rigidamente definita, quasi fosse un ente statico e isolabile dal contesto, piuttosto è un termine che indica una rete di elementi teorici le cui proprietà sono sovrapposte ma non coincidenti e altamente caratterizzate dalla vaghezza. Questi elementi teorici possono anche essere naturalmente quelli delle categorie sopra riportate, a patto che non si voglia, insomma, mai dare una definizione dogmatica e chiusa in sé stessa.

Questo non significa naturalmente che non si possa parlare di populismo. Al contrario, è utile fare analisi concrete sui processi storici per cercare di trarne una minima valutazione operativa sempre aperta però a quella rete (il paradigma, al fondo, è proprio questo) che costituisce un concetto aperto.

Ritornando a quanto detto sopra, per Anselmi il punto è legare il populismo alla democrazia ed in particolar modo al ritornare in forma disintermediata della sovranità popolare. Per questo egli ritiene che sia necessario sottolineare il fondarsi sociale di tale fenomeno che può però strutturarsi solo a partire da discorsi e da ideologie particolari, che risocializzino politicamente soggetti in apatia e scontenti in direzioni peculiari e fortemente differenti l’una dall’altra.

Da questo punto di vista, il caso  italiano è decisivo secondo Anselmi, sia perché raccoglie tipi molto diversi di populismo, da Berlusconi a Bossi a Grillo, sia perché consente di provare la sua tesi secondo cui cuore del populismo è la crisi di un regime politico e la rivendicazione di una capacità decisionale del popolo al di là delle mediazioni tipiche della democrazia rappresentativa e del sistema liberale dei corpi intermedi.

Da questo punto di vista, possiamo dire che per Manuel Anselmi il populismo non sia mai contro la democrazia (non certo nei suoi esiti, quanto nella sua struttura concettuale politica di partenza) ma una modalità di volontà di esercizio della democrazia critico della democrazia liberale e rappresentativa.

In conclusione, Anselmi ci fornisce una definizione minima ed operativa del populismo strutturata in tre punti, che riportiamo senza ulteriori commenti, secondo cui ogni fenomeno populista presuppone e si fonda su:

  • una comunità-popolo omogenea, interclassista che si percepisce come detentrice assoluta della sovranità popolare. La comunità popolo esprime un atteggiamento anti-establishment. La comunità popolo si impone come alternativa alle élite preesistenti, accusate di esclusione e decadenza del sistema politico.
  • Un leader carismatico in connessione diretta con la comunità popolo. A eccezione del caso del populismo penale.

Uno stile discorsivo, argomentativo e comunicativo sempre manicheo dove il noi è coincidente con la comunità popolo e il loro con tutto ciò che è esterno a essa. Lo stile discorsivo è teso a promuovere una polarizzazione politica.

Scritto da
Paolo Missiroli

Dottore di ricerca in Filosofia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa e l’Université Paris Nanterre. È docente a contratto di Filosofia teoretica presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia e cultore della materia presso il Dipartimento di Filosofia dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, dove collabora con la cattedra di Storia della filosofia francese contemporanea. Membro del comitato editoriale dell’“Almanacco di Filosofia e Politica” e del gruppo di ricerca “Officine Filosofiche”, studioso del pensiero filosofico francese contemporaneo, in particolare di Merleau-Ponty e della filosofia francese degli anni Trenta, si interessa di Antropocene, del rapporto uomo-mondo, dell’ecologia e di una sua possibile declinazione in termini politici.

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