Porta e porto dell’impero: Trieste e l’Italia tra logistica e portualità
- 26 Aprile 2018

Porta e porto dell’impero: Trieste e l’Italia tra logistica e portualità

Scritto da Tommaso Brollo, Luca Picotti

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Grazie alla sua peculiare posizione geografica, l’Italia è sempre stata, nei secoli, porta e porto d’Europa per le merci del Levante. Proiettata nel Mediterraneo, la penisola è un tassello fondamentale della rotta tra l’Asia e l’Europa, vieppiù a seguito della rinnovata centralità del nostro mare nei commerci internazionali: circa il 10% del traffico mondiale passa attraverso il Canale di Suez, specie a seguito del raddoppio del 2015[1]; inoltre, il Mediterraneo rimane uno dei maggiori vettori di trasporto delle merci tra il sistema produttivo italiano e i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa (più la Turchia), con un interscambio via mare (l’80% del peso complessivo)  che ha raggiunto nel 2016 il valore di 40 miliardi di euro[2].

Diviene quindi imprescindibile, per un paese come il nostro, il fattore della logistica portuale o, più in generale, dell’elaborazione di una comprensiva strategia di portualità che miri a governare la circolazione via mare delle merci e i suoi cambiamenti. Il settore marittimo è cresciuto notevolmente e continuativamente negli ultimi anni, seguendo la ripresa del commercio mondiale a seguito della crisi, che ha portato il traffico marittimo dell’Unione Europea a toccare, nel 2015, i 3,77 miliardi di tonnellate movimentate, trend confermato dai primi dati disponibili sui due primi quarti del 2016[3].

In una prospettiva di medio periodo, inoltre, le dinamiche produttive peculiari della globalizzazione (quali, ad esempio, le delocalizzazioni e lo spezzettamento del ciclo produttivo) hanno indotto anche il trasporto marittimo ad adattarsi a questa nuova realtà: ad esempio, è stato necessario passare dal tradizionale approccio port-to-port, ovvero la semplice gestione del collegamento marittimo, ad una gestione door-to-door, caratterizzata da una profonda integrazione del ciclo intermodale – vale a dire attraverso l’utilizzo di quelli che vengono comunemente chiamati container – dal luogo di produzione al luogo di destinazione finale[4].

 

La portualità italiana

In Italia la strategia portuale è stata riorganizzata dalla recente Riforma della Portualità e della Logistica promossa dal Ministro Graziano Delrio. Il nostro Paese aveva infatti accumulato negli anni un gap logistico preoccupante[5]: uno studio di Confcommercio del 2015 registrava un costo pari a circa quarantadue miliardi di euro l’anno di PIL riconducibile a ritardi logistici. Questo ritardo è fotografato anche dal Logistic Performance Index della Banca Mondiale, indice che riassume l’efficienza integrata del sistema intermodale: il nostro Paese ottiene un risultato complessivo di 3,76 punti, pari alla ventunesima posizione mondiale, trascinato verso il basso in particolare dal laborioso esperimento delle formalità doganali richieste (3,45) e da un certo deficit nella competizione di prezzo sui trasporti internazionali. Se prendiamo in considerazione i principali avversari in Europa, possiamo notare come gli scali del Nord, quali quelli di Germania e Olanda, giochino in un’altra serie, mentre il nostro Paese offre una valida alternativa alla Francia e alla Spagna (cfr. Figura 1); in prospettiva storica, il nostro Paese ha visto un sensibile miglioramento dal 2007, con un aumento dell’indice del 7% (da un punteggio complessivo di 3,51), incremento dovuto in specie a migliorie infrastrutturali e ad un alleggerimento del peso burocratico[6].

 

Trieste

Figura 1 – Il Logistic Performance Index nei principali Paesi europei

 

La recente attenzione verso la logistica, accompagnata dalla congiuntura internazionale favorevole, ha contribuito ad una promettente crescita dei porti italiani. Come scrive Raoul de Forcade sul Sole 24 Ore, «I porti italiani hanno raggiunto, nell’ultimo anno, un traffico di 484 milioni di tonnellate movimentate: il valore più elevato dal 2009 […] Il traffico ro-ro (rotabili) ha, inoltre, sfiorato i 94 milioni di tonnellate; si tratta di un record, considerando gli ultimi 12 anni»[7]. A seguito della riforma, i 58 principali porti italiani sono coordinati in quindici nuove Autorità di Sistema Portuale: il focus della nuova organizzazione risiede nella rete logistica che integra trasporto marittimo, terrestre e aereo – con l’obiettivo di recuperare in competitività e abbattere i costi. Il nuovo modello di governo prevede un super-ente, l’Autorità di Sistema Portuale (AdSP), con competenza su un intero territorio costiero e non più solo sul singolo porto: si passa dalla dimensione mono-scalo ad un assetto di governo di sistemi portuali multi-scalo, allo scopo di favorire maggiori connessioni ed infrastrutture.

Il sistema portuale italiano nel suo complesso, nonostante la primavera felice per quanto riguarda la crescita degli scambi, si trova proprio in questi giorni sotto i riflettori della Commissione Europea, organo comunitario competente anche in tema di concorrenza. «Con l’esenzione delle tasse alle Autorità portuali italiane, che sono coinvolte in attività economiche, l’Italia rinuncia a una parte di entrate che costituiscono risorse economiche per lo Stato»: così la Direzione Generale per la Competizione motiva la minaccia di apertura di una procedura di infrazione contro i porti italiani per aiuti di Stato indebiti. La richiesta di Bruxelles è di sottoporre le tasse portuali e i canoni delle Autorità alle imposte sui redditi; per Bruxelles «il vantaggio fiscale ai porti rafforza la posizione finanziaria di alcune imprese in concorrenza con altre che non beneficiano di vantaggi similari e le autorità portuali italiane godono di vantaggi che possono essere utilizzati per offrire tariffe più basse rispetto ai porti non sussidiati»[8]. Questo comporterebbe un aumento delle tasse del 30-40%, cifra che, secondo quanto dichiarato dalla Federazione del mare e da Assoporti, rischierebbe di ridurre seriamente la competitività degli scali italiani e l’attrattività per le compagnie armatoriali, minando alla radice gli sforzi degli ultimi anni. Secondo Nereo Marcucci, presidente di Confetra, la Commissione, accusando aiuti da parte dello Stato italiano, sta confondendo strutture pubbliche con imprese private: «Le AdSP sono pubblica amministrazione centrale dello Stato, detengono poteri tipicamente pubblici di regolazione, ordinanza e vigilanza. Quale articolazione amministrativa dello Stato svolgono attività di riscossione canoni e diritti, hanno una governance interamente istituzionale nominata da Governo ed Enti Locali. Considerarle alla stregua di imprese private, assoggettandole così alla fiscalità generale, mi pare un esercizio davvero fantasioso»[9]. La questione, riemersa in questi giorni, va avanti da circa cinque anni (2013), senza che Roma e Bruxelles siano mai riuscite a chiarire l’equivoco del «pubblico-privato». Un equivoco che costerebbe 100 milioni di nuove tasse, un macigno per la crescita dei porti italiani, che a fatica stanno erodendo quote di mercato agli scali tedeschi ed olandesi del Nord Europa. Un caso? A pensar male si commette peccato, ma spesso ci si azzecca; rimane il fatto che Bruxelles abbia gli avversari della portualità alemanna nel mirino: alla medesima pressione sono state sottoposte anche la Francia, il Belgio e la Spagna, i cui porti di Marsiglia, Anversa e Valencia stanno sperimentando un periodo felice quanto quelli italiani[10].

 

Da Carlo VI a Xi Jinping: il porto franco di Trieste

Il porto di Trieste, nonostante una lunga storia che va dalla conquista romana al rapporto con Venezia nel XIII-XIV secolo, comincia ad emergere in modo sostanziale solo dopo essere caduto sotto la protezione dell’aquila bicipite. Più precisamente, sarà la politica carolina (1711-1740) a porre le premesse per il suo futuro sviluppo, con il miglioramento della rete stradale connessa al porto e la promulgazione nel 1717 della Patente di Commercio, passando infine per la Patente di Porto Franco nel 1719. La fama internazionale verrà raggiunta nel primo decennio del XIX secolo, come primo porto dell’Imperialregia monarchia: settimo porto del mondo e il secondo del Mediterraneo dopo Marsiglia per movimentazione di merci.

La notevole crescita in questi ultimi anni del porto di Trieste, oggi primo in Italia quanto a tonnellaggio (per 49 milioni di tonnellate movimentate nel 2016[11]), sta riportando alla centralità l’ex città asburgica e la regione Friuli Venezia Giulia. I dati provvisori di traffico del 2017, divulgati dall’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, documentano una crescita del +4,58% in tonnellate e del +13,76% nel numero di treni – 8.681 in totale, primo porto italiano per traffico ferroviario – sul 2016[12]. Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità portuale, commenta questi numeri con ottimismo: «Il porto sta tornando ad essere il volano di sviluppo economico per Trieste, il Friuli Venezia Giulia e il nostro paese, nonché su scala internazionale»[13].

 

Trieste

Figura 2 – Tonnellate di merce imbarcate e sbarcate, in migliaia, nei principali porti italiani

 

Per comprendere questi dati bisogna considerare i fattori esogeni ed endogeni che hanno favorito la crescita del porto. Da un lato c’è la ripresa economica mondiale – e di conseguenza l’aumentare della domanda e degli scambi commerciali, dall’altro vi sono delle dinamiche più squisitamente industriali che hanno permesso al porto di Trieste di sviluppare una notevole efficienza nella propria organizzazione interna. Il segreto si nasconde nel terreno della logistica, cioè il trasporto delle merci e il sistema delle infrastrutture al suo servizio (porti marittimi, aeroporti, ferrovie, strade e autostrade), per anni sottovalutato dalla cultura industriale italiana. Le parole di D’Agostino indicano con chiarezza il nucleo di questo successo e le ambizioni dell’ex scalo asburgico: «Il valore si fa con l’attività logistica e la manipolazione delle merci. Il mio sogno è portare lo scalo di Trieste fuori dalla competizione tradizionale, ad esempio quella sulla movimentazione dei container, alla quale comunque partecipiamo. Stiamo cercando di crearci un nostro oceano per dare tranquillità sia al porto che ai lavoratori»[14]. Il percorso intrapreso dall’Autorità ci viene presentato con estrema ma lucida sintesi da de Forcade: «Un percorso che passa attraverso lo sviluppo dell’intermodalità, con un sempre maggiore utilizzo della ferrovia, e dei punti franchi, ovvero zone dell’area portuale triestina dove si può operare, e fare attività industriali, in regime extradoganale»[15].

Tra i punti di forza dello scalo giuliano è da segnalare la leadership del porto per traffico ferroviario e intermodale e, soprattutto, la quantità di attori del mercato ferroviario che operano nello scalo: al gruppo Fs si aggiungono compagnie private (Cfi e Inrail), alcune società (Rail Cargo Carrier Italy, ad esempio) e la dinamicità di Adriafer (controllata al 100% dall’AdsP giuliana). Un’altra carta fondamentale nello sviluppo del porto di Trieste è stata «l’attribuzione all’AdSP del Mare Adriatico Orientale del potere di modificare l’area dei punti franchi», resa possibile dal decreto attuativo 368/2017 del Governo. In questo modo, l’Autorità può usufruire dei punti franchi, autorizzando attività di manipolazione e trasformazione industriale delle merci e, inoltre, può anche riorganizzare le aree del Porto Franco – tra cui i circa 700mila metri quadrati di porto vecchio sdemanializzati che, restando come spazio di zona franca, sono in capo all’AdSP. Alcune statistiche sono necessarie per far comprendere l’anno record del porto triestino: 61.955.405 tonnellate di merce movimentata, con un +14,11% delle merci varie, +2.33% delle rinfuse liquide, +26.66% di numero di container (totale di TEUs: 1.314.953 TEU, +13.52%). Un successo che ribadisce l’importanza del porto triestino, nodo fondamentale del mercato del Centro-Est Europa.

In conclusione, notiamo come il porto di Trieste potrebbe vedere un’ulteriore opportunità nello sviluppo dell’iniziativa cinese della Belt and Road Initiative, lo sforzo infrastrutturale che mira a migliorare i collegamenti tra il colosso cinese e l’Occidente. L’interscambio marittimo del nostro Paese con la Cina ammonta a 20,9 miliardi di euro[16], rappresentando un settore promettente per un rinnovato ruolo della portualità italiana, non solo come luogo di destinazione, ma altresì come hub nel Mediterraneo. L’acquisizione del 67% del porto greco del Pireo da parte del gigante della logistica marittima cinese COSCO è prova necessaria e sufficiente dell’interesse di Pechino nel potenziare le tratte marittime e appoggiarsi sull’Europa del sud. Il porto greco, sesto al mondo e terzo nel Mediterraneo, oggetto di un piano di investimenti di più di duecento milioni, è stato ampliato per ospitare le prime super-navi portacontainer da ventimila TEU. Ora, oltre al traffico marittimo da Guangzhou via Suez, il Mediterraneo assumerà ulteriore importanza in quanto terminale delle vie di terra dell’Asia centrale – a Istanbul e, in prospettiva, in Siria – e del progetto israelo-cinese di potenziare l’asse ferroviario tra il porto israeliano di Eliat sul Mar Rosso e la costa mediterranea, offrendo un’alternativa integrata al Canale egiziano e potenziando ulteriormente i collegamenti attraverso la via meridionale.

La primazia italiana nel settore dello Short Sea Shipping nel Mediterraneo lascia intravedere la prospettiva di una felice complementarietà tra il potenziamento a trazione cinese di questi scali levantini e i principali porti italiani: il nostro Paese si potrebbe proporre come anello di trasmissione fondamentale tra questi grandi scali, mal collegati con l’Europa occidentale – basti pensare al pietoso stato delle ferrovie elleniche, recentemente acquisite dalle nostre Ferrovie dello Stato, e dei collegamenti balcanici – e la destinazione finale delle merci cinesi o, viceversa, di quelle europee. In questo senso Trieste, porta e porto dell’Impero, potrebbe essere un polo attrattivo naturale. Anche per un altro impero, quello Celeste.


[1] SRM, Assoporti, Port Indicators, Osservatorio Permanente di SRM sull’Economia dei Trasporti Marittimi e della Logistica, Roma 2017, p. 16.

[2] Ibidem, pp. 25-27.

[3] Dati elaborati da Eurostat.

[4] Porceddu A., Evoluzione del porto commerciale di Trieste e dei suoi rapporti con il territorio di riferimento, Università di Trieste, Tesi di Dottorato, Trieste 2007/2008

<https://www.openstarts.units.it/bitstream/10077/3117/1/PORCEDDU%20PhD%20Dissertation.pdf>

[5] Morino M., Logistica, connessione porti-ferrovie, Il Sole 24 Ore, Milano, 31 dicembre 2015 <http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2015-12-31/logistica-connessione-porti-ferrovie-063726.shtml>

[6] Dati elaborati dal database della World Bank < https://lpi.worldbank.org/>

[7] De Forcade R., Porti, l’Italia torna a crescere e il Mediterraneo incalza il Nord Europa, Il Sole 24 Ore, Milano 20 giugno 2017 <http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2017-06-19/porti-l-italia-torna-crescere-e-mediterraneo-incalza-nord-europa-143141_PRV.shtml>

[8] Cit. ex Gallotti S., L’Europa ammonisce l’Italia: i porti devono pagare le tasse, La Stampa, Torino 15 aprile 2018 < http://www.lastampa.it/2018/04/15/economia/leuropa-ammonisce-litalia-i-porti-devono-pagare-le-tasse-aVNDmDtu2hR2plCEVrwXlK/pagina.html>

[9] Trasporto Europa, Scontro sulle tasse dei porti italiani, 16 aprile 2018 <http://www.trasportoeuropa.it.cloud.seeweb.it/index.php/home/archvio/14-marittimo/18091-scontro-sulle-tasse-dei-porti-italiani>

[10] Secondo i dati elaborati da Port Economics, limitandosi al comparto dei containers, il porto di Amburgo registra il peggior risultato in Europa tra il 2007 e il 2017, con una perdita di più di 800.000 TEU, mentre Genova, Algesiras, Valencia, Malta, Anversa e il Pireo continuano a crescere; dei porti tedeschi, solo Bremerhaven continua a registrare una certa crescita. Rotterdam conferma il suo primato. <http://www.porteconomics.eu/2018/03/27/portgraphic-european-container-port-traffic-gains-and-losses-2007-2017/>

[11] Dati elaborati da Istat.

[12] http://www.porto.trieste.it/wp-content/uploads/2018/01/CS-AdSP_AO-24-01-2015-pRIMATO.pdf

[13] http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2018/01/24/news/record-per-il-porto-di-trieste-tre-primati-in-un-sol-colpo-1.16391040

[14] De Forcade R., Così Trieste rinasce con il suo porto, «Cambiata l’identità», Il Sole 24 Ore, Milano 15 novembre 2017 <http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2017-11-14/cosi-trieste-rinasce-il-suo-porto-cambiata-l-identita-130135.shtml>

[15] Ivi.

[16] Dati elaborati da Coeweb.

Scritto da
Tommaso Brollo

Nato nel 1993 a Tolmezzo (UD). Ha conseguito la laurea magistrale in Economia e Scienze Sociali all'Università Bocconi di Milano. Si interessa principalmente di storia economica e del pensiero economico, ma non disdegna di spaziare all'attualità.

Scritto da
Luca Picotti

Avvocato e dottorando di ricerca presso l’Università di Udine nel campo del Diritto dei trasporti e commerciale. Autore di “La legge del più forte. Il diritto come strumento di competizione tra Stati” (Luiss University Press 2023). Su «Pandora Rivista» si occupa soprattutto di temi giuridico-economici, scenari politici e internazionali.

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