Recensione a: Maria Rosaria Ferrarese, Poteri nuovi. Privati, penetranti, opachi, il Mulino, Bologna 2022, pp. 176, 14 euro (scheda libro)
Scritto da Luca Picotti
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In Poteri nuovi Maria Rosaria Ferrarese, sociologa del diritto, analizza le trasformazioni che hanno interessato il concetto di potere negli ultimi decenni. Una metamorfosi che necessita di uno sguardo capace di andare in profondità nel complesso panorama globale, ove sempre più attori recitano un proprio ruolo fondamentale. È difficile ricondurre oggi il volto del potere, sostiene l’autrice, alla sola dimensione statale, come profilatasi a seguito dell’emergere del paradigma vestfaliano (1648) e racchiusa nel trinomio governo-popolo-territorio, sotto le vesti verticali e decifrabili del government. Il potere è andato, invece, sfumandosi, assumendo nuovi volti sotto la veste della governance, più orizzontale e dispersa, tra organismi internazionali, attori finanziari e tecnologici, autorità indipendenti, burocrazie poco visibili; un connubio che rende più difficile individuare un unico centro decisionale, un unico potere, costringendo gli studiosi della materia a interfacciarsi con nuove e maggiormente articolate architetture. Una tesi, questa, costretta a confrontarsi con gli eventi degli ultimi due anni, che sembrano avere riportato, ammesso e non concesso, a parere di chi scrive, che se ne sia mai andato, lo Stato al centro dello scacchiere, in quello che si potrebbe definire un vero e proprio momento schmittiano: tra pandemia e guerra, molti si sono resi conto dell’importanza della territorialità, della materialità, della sovranità e delle relative prerogative. L’illusione di un mondo pacifico perché economicamente interdipendente era, per l’appunto, un’illusione. Come si muovono quindi tutti questi attori non statali e nuovi poteri (che pure esistono) in un simile contesto? Che rapporto hanno con il potere sovrano? Quali sono, quanto contano e come sono emersi? La lettura del libro di Maria Rosaria Ferrarese consente di approfondire la complessità del reale, senza cadere in un eccessivo (seppure sovente necessario) essenzialismo. Un volume importante, anche solo per mettere a confronto le tesi ivi riportate con l’attuale congiuntura storica.
«La svolta verso la governance si inserisce in un trend di profonda innovazione delle tecniche di governo: un progetto precocemente identificato da Michel Foucault come una “autolimitazione della ragione di governo”, che riduce la presa del potere pubblico nei confronti delle società e tende non solo ad assecondare criteri di laissez-faire, ma, più in generale, a premiare una certa spontaneità e presunta naturalità delle forme di vita, dando spazio agli interessi e alla possibilità che essi si autorappresentino» (p. 44). Sono diversi i fattori che hanno condotto a questa metamorfosi, con il passaggio da un potere più verticale ad uno più orizzontale. Innanzitutto, l’internazionalizzazione: si pensi alle organizzazioni internazionali, sia intergovernative – ossia formate esclusivamente da Stati sulla base di accordi vincolanti – che ibride pubblico-private, che hanno raggiunto un numero di circa 70.000 ad oggi. Entità sempre più presenti nelle dinamiche decisionali e nei dossier globali (cambiamento climatico ecc.), agendo perlopiù con gli strumenti del diritto internazionale e del soft law, tra raccomandazioni, studi, pareri, assistenza. Dopodiché, un ruolo fondamentale va individuato nella stagione delle privatizzazioni, svoltesi sotto l’egida del cosiddetto Washington Consensus, che hanno reso sempre più settori dell’economia contendibili e, di conseguenza, hanno condotto ad una ritrazione del potere statale, che ha fatto spazio ad altri poteri economici e finanziari privati.
Un panorama sicuramente differente rispetto a quello in cui lo Stato, nella sua veste di “imprenditore”, deteneva tutti gli asset principali del sistema-Paese, a partire da quelli strategici come trasporti, energia, comunicazioni, public utility in generale. Un altro elemento degno di nota in questo contesto è l’emergere delle relazioni transfrontaliere tra imprese, sempre più internazionalizzate e dedite a rapporti commerciali con controparti non localizzate nello stesso paese e, di conseguenza, non soggette alla stessa giurisdizione. Per regolare tali transazioni cross-border sono stati adottati diversi formulari, prassi e condizioni generali di contratto direttamente dagli organismi privati, allo scopo di creare, in via autonoma, una cornice legale adatta alle loro esigenze, con l’aiuto non irrilevante delle grandi law firm anglosassoni, come evidenziato con raffinatezza dalla giurista Katharina Pistor nel libro Il codice del capitale. Questo piano giuridico parallelo privato ha preso il nome di lex mercatoria, intesa come la (quasi) codificazione dei rapporti commerciali tra le imprese in un mondo globalizzato; un altro tassello fondamentale della metamorfosi del potere, sempre in una direzione più orizzontale e a-territoriale. Infine, sottolinea Maria Rosaria Ferrarese, un ulteriore elemento essenziale, motore di tale metamorfosi, è stata l’innovazione tecnologica. Sovente promossa dallo Stato stesso – si pensi alle pagine dell’economista Mariana Mazzucato in Lo Stato innovatore sulla creazione di Internet – ha poi permesso a realtà private di accumulare un potere quasi monopolistico, costituito da rendite di posizione, accumulo di dati e capacità di sfuggire all’azione antitrust. L’autrice menziona Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft. Società con fatturati superiori ai PIL di diversi paesi e in grado di muoversi oltre i confini territoriali beneficiando anche dell’arbitraggio fiscale. La tecnologia permette a soggetti privati di avere un’influenza decisiva sulla società e anche sui governi. Tra i nuovi poteri, vi sono e saranno sicuramente i possessori di determinate tecnologie, dall’intelligenza artificiale alle tecniche hacker per fare breccia, senza eserciti o armi, nei sistemi interconnessi delle infrastrutture statali.
«Dopo l’internazionalizzazione, i diffusi processi di privatizzazione e l’avvento delle tecnologie digitali, anche se gli Stati continuano a detenere il “monopolio della forza”, e dunque una risorsa strategica, e anche se il “condominio” negli ultimi decenni si è persino allargato, fino a raggiungere 208 presenze statali riconosciute internazionalmente, l’immagine del potere mondiale tende ad allontanarsi dalla struttura “condominiale” del passato, e dunque anche dall’idea di una stabile “architettura”, con un preciso radicamento territoriale. Varie altre presenze e nuovi protagonisti, pubblici e privati, nazionali e internazionali, con diverse ascendenze e tradizioni, sono diventati altrettanto decisivi dei soggetti statali. La scena non solo è più affollata, ma è anche più mossa, soggetta a continui cambiamenti, e piuttosto instabile. Le varie presenze si pongono come i fili di una complessa e variegata trama geopolitica in cui ogni filo tirato da una parte si ripercuote sull’insieme. D’altra parte, tale trama non persegue più fini di stabilità ed è soggetta a continui mutamenti, aggiustamenti, scossoni e riequilibri» (p. 77).
Non si può certo negare che il panorama globale abbia raggiunto una complessità tale da costringere coloro che intendono descriverlo a dare atto del proliferare di nuovi attori affianco ai tradizionali soggetti statali. Non si può prescindere dall’influenza del fondo BlackRock o delle agenzie di rating, o dall’importanza per il regolare funzionamento di Internet dell’ibrido giuridico pubblico-privato ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) o, ancora, del potere accumulato da giganti digitali come Google. I diversi esempi riportati da Maria Rosaria Ferrarese colgono perfettamente nel segno.
Tuttavia, bisogna anche considerare che molto spesso tutti questi attori sono legati, in un modo o nell’altro, al relativo Stato di appartenenza. I legami tra imprese digitali della Silicon Valley e gli apparati di intelligence statunitensi sono stati ben descritti da Shoshana Zuboff in Il capitalismo della sorveglianza. Allo stesso tempo, è altrettanto evidente lo scudo giuridico che gli Stati Uniti hanno alzato nei confronti delle imprese digitali cinesi. Il mondo del mercato è continuamente invaso dai poteri pubblici, in grado di modificarlo, ampliarlo o restringerlo. L’attuale fase storica, tra sanzioni, congelamento di riserve, blocchi all’import-export, ne è un esempio lampante. La pandemia prima e la guerra poi (ma, in realtà, il panorama internazionale si stava congelando già prima di questi due eventi) hanno riportato al centro lo Stato, quale attore principale dello scacchiere. Non è solo il detentore del monopolio legittimo della forza, ma è anche l’ente che crea (e può disfare) gli organismi internazionali (che sono creati e partecipati da Stati, senza mai trascenderli), così come il soggetto che può limitare le libertà degli individui per fronteggiare una pandemia o intervenire sul mercato per colpire un Paese rivale (si pensi alle sanzioni alla Russia). In questo contesto, gli altri attori non statali tendono a sopravvivere e agire soprattutto in relazione al proprio Stato di appartenenza. L’illusione dell’extra territorialità, di un mondo immateriale, senza confini, guidato da logiche di interdipendenza economica, è sempre stata un’illusione, che poteva ingannare qualcuno in tempi più sereni, ma destinata a dissolversi in tempi inquieti come quelli attuali. Lo Stato si muove certamente in un panorama più complesso, ma tale panorama è stato innanzitutto costruito dallo Stato medesimo: è lo Stato che decide di partecipare ad una organizzazione internazionale, o di privatizzare determinati settori, o di lasciare ampi margini di manovra ai giganti digitali o agenzie di rating. Così come può concedere spazi agli operatori privati, può restringerli (misure protettive, azione antitrust etc.). Sulla centralità e primazia dello Stato nello scacchiere globale non vi sono, a parere di chi scrive, ancora validi elementi in senso contrario. Piuttosto, va sicuramente analizzata la composizione del potere statale: ossia, cosa è lo Stato, quali sono i processi decisionali e gli apparati determinanti, quanto questi ultimi sono influenzati da soggetti privati, lobbisti e via dicendo. Dall’altro lato, va monitorata la realtà di tutti gli attori ulteriori, per comprendere quanta influenza hanno raggiunto, come si muovono in relazione agli Stati, quando possono rappresentare un mero braccio della politica estera statale e quando invece diventano un problema per la stessa. Da questo punto di vista, Poteri nuovi di Maria Rosaria Ferrarese ha il merito di riconoscere la complessità del reale, sì da descrivere con raffinatezza le metamorfosi del potere degli ultimi decenni. Un volume utile, anche per non cadere tra le braccia di certe sirene dell’essenzialismo. Allo stesso tempo, utile per stimolare una dialettica sul tema, specie alla luce dell’attuale congiuntura storica.