“Poveri d’energia” di Pippo Ranci, Matteo Leonardi e Laura Susani
- 23 Dicembre 2016

“Poveri d’energia” di Pippo Ranci, Matteo Leonardi e Laura Susani

Recensione a: Pippo Ranci, Matteo Leonardi e Laura Susani, Poveri d’energia, il Mulino, Bologna 2016, pp. 240, 15 euro (scheda libro)

Scritto da Giuseppe Palazzo

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L’energia determina il nostro stile di vita. Grandi svolte epocali sono state provocate da efficaci combinazioni tra innovazioni tecnologiche e risorse energetiche, come la macchina a vapore e il carbone o il motore a combustione interna e il petrolio. Senza le scoperte legate alla produzione e all’uso dell’energia non avremmo avuto la rivoluzione industriale e la catena di montaggioi. Ma il ruolo rivoluzionario dell’energia lo si può apprezzare anche nella vita quotidiana. In Occidente oggi tendiamo a dare per scontati la luce elettrica e il gas in cucina. Tuttavia l’arrivo della rete elettrica nelle nostre abitazioni e del gas ai nostri fornelli ha cambiato la qualità della nostra vita in modo straordinario.

“Poveri d’energia”, scritto da Pippo Ranci, Matteo Leonardi e Laura Susani per il Mulino, fornisce dati e descrizioni di come è invece la vita quotidiana senza l’accesso all’energia come la conosciamo. Un lavoro stimolante che spiega come quello energetico sia un ambito in cui la cooperazione allo sviluppo possa (e debba) assumere nuovi approcci, traendo lezioni utili anche per altri ambiti.

Il libro inizia subito con dati tristemente rilevanti. 1,1 miliardi di persone – il 16% della popolazione mondiale – vivono senza energia elettrica, particolarmente in contesti rurali e remoti in Africa subsahariana e Asia meridionale. 2,9 miliardi – il 38% – non hanno accesso al cosiddetto clean cooking, ovvero la possibilità di cucinare con mezzi moderni che inquinano meno e proteggono la salute e la sicurezza delle famiglie e dell’ambiente domestico. In parole povere, più di un terzo della popolazione del pianeta cucina con un fuoco all’aperto o dentro casa.

La prima conseguenza del mancato accesso all’energia elettrica è il non avere la luce artificiale. Può sembrare poco ma non lo è affatto. In alternativa vengono usate candele e lampade a cherosene, costose e fonti di ustioni, che costituiscono un comune incidente domestico in questi contesti. La luce elettrica implica poter protrarre attività oltre le ore diurne, quindi lavorare di più ma anche leggere e studiare. “Non averla nella propria casa significa non avere opportunità per emanciparsi dalla quotidianità della propria condizione di povertà” (p. 55).
Ma le implicazioni vanno oltre l’illuminazione. Senza elettricità non vi sono telecomunicazioni, determinando l’isolamento dall’informazione. Non si ha energia per refrigerare e conservare il cibo. Non si possono conservare vaccini, far funzionare riscaldamento, acqua corrente e strumenti diagnostici, con implicazioni sanitarie terribili.
Le scuole senza elettricità non hanno strumenti tecnologici (un proiettore o un computer), non hanno servizi sanitari, non conservano cibo, non fanno studiare i bambini dopo le lezioni, quando il sole tramonta, non tengono corsi serali. Gli insegnanti tendono a non voler insegnare in questi luoghi e i genitori a non volerci mandare i figli.
Un’attività economica efficiente e competitiva è impossibile senza l’energia per i macchinari. Senza elettricità si ricorre a generatori diesel, inquinanti e costosi da mantenere, perciò utilizzabili per poche ore al giorno.

Le implicazioni legate all’assenza di clean cooking sono altrettanto significative. Il fuoco usato per cuocere il cibo è causa di inalazione di fumo, ustioni e incendi. Alla mancanza di clean cooking si attribuiscono più morti che a malaria, tubercolosi e HIV messi insieme. Le donne e le bambine sono le più colpite da questi problemi, avendo il dovere di procurare il combustibile per cucinare e di occuparsi della lunga ed inefficiente cottura. Inoltre non hanno tempo per studiare e per usare appieno il loro potenziale, con una perdita per tutta la comunità. Senza gas e altri combustibili meno inquinanti si ricorre per lo più alla legna, che è anche reperibile senza costi nei contesti rurali. Tuttavia questo consumo di legna, crescente insieme all’aumento demografico, aggrava il problema della deforestazione, importante fonte di inquinamento a livello globale.

Grazie all’attività sul campo delle ONG si è arrivati a comprendere quanto sia centrale il mancato accesso all’energia, quanto questo non sia un semplice aspetto della povertà, bensì costituisca sia una causa sia un effetto del mancato sviluppo.

Gli autori forniscono un dettagliato esame delle possibili soluzioni a questi problemi, soppesando i vari pro e contro. Per aumentare l’accesso all’elettricità vi sono vari tipi di sistemi. Tra questi sono molto interessanti le piccole reti isolate o minigrid, utili per portare energia a comunità poco accessibili dalla rete nazionale. Si tratta di progetti molto importanti per i quali si stanno affermando le fonti rinnovabili, sfruttabili in modo decentrato. Un’opportunità per dare energia pulita e sostenere uno sviluppo che produca meno emissioni, così da risparmiare alla crescita economica di questi Paesi la fase più inquinante che hanno vissuto invece i Paesi occidentali, che non disponevano da subito di tecnologie greenii. Quanto i Paesi africani riusciranno a sfruttare le fonti rinnovabili peserà inoltre sul rispetto dei vincoli degli accordi di Kyoto e Parigi sul climaiii.

Per diffondere il clean cooking il libro passa a rassegna diversi tipi di stufe, con le loro potenzialità e limiti, e diversi tipi di carburanti, dal GPL agli olii vegetali fino al biogas prodotto con escrementi animali. Ma in particolare per il clean cooking emerge il fatto che gli interventi non devono portare alle comunità qualcosa che non c’è, come l’elettricità, bensì devono sostituire qualcosa che già c’è. Devono indurre le persone ad abbandonare abitudini e tradizioni legate al modo di cucinare.

La migliore soluzione per portare elettricità e clean cooking dipende dal contesto ma, da un punto di vista di politiche per lo sviluppo più vasto, queste alternative vanno portate avanti insieme in un modo il più possibile armonico che consenta un’integrazione tra di esse. Si tratta di progetti sia “dall’alto” (opera di istituzioni e grandi donatori) sia “dal basso” (opera di ONG e imprese locali), entrambi necessari. Quindi i vari attori coinvolti devono agire sempre più in cooperazione. Per l’elettricità sono molto importanti anche i regolatori locali, quegli enti che si occupano di gestire la rete e le cui normative possono incoraggiare il coordinamento dei diversi interventi. La sfida non è semplicemente fornire energia, ma fornirne in quantità e qualità sufficienti a permettere attività economica locale e a far partire davvero lo sviluppo.

Gli autori forniscono vari esempi interessanti di piccole attività commerciali e imprenditoriali che già nascono in diversi Paesi proprio attorno ai progetti energetici, con un importante ruolo delle donne. E il libro sottolinea come le azioni dal basso siano incoraggiate in particolare dal solare, una fonte particolarmente sfruttabile in molti Paesi poveri e che è caratterizzata da un significativo abbattimento dei costi. I pannelli solari infatti ogni anno costano tra l’8 e il 12% in meno, con un calo complessivo del prezzo dell’80% dal 2005iv. Anche le batterie, necessarie per conservare l’energia raccolta durante le ore diurne e usarla dopo il tramonto, dovrebbero costare sempre meno grazie al lavoro di Panasonic e Teslav.

Questo libro fornisce dati e svariati esempi per raccontare il problema della povertà di energia e per analizzare diverse soluzioni possibili. Facendo ciò solleva, direttamente e indirettamente, varie tematiche legate allo sviluppo, dai nodi economico-finanziari a quelli gestionali, dalle implicazioni sociali e di genere al ruolo delle istituzioni. Ad esempio, parlando dei diversi contesti emerge chiaramente come non esiste un singolo modo di operare adatto in ogni occasione. Il lavoro sul campo lo dimostra e, come dice l’economista William Easterly, non bisogna cadere nella “illusione tecnocratica” di una cooperazione basata su denaro e tecnologie che sottovaluta le società e cultura locali (p. 12). Sulla stessa lunghezza d’onda si pone un altro economista, Mushtaq Khan. Nei suoi lavori spiega come l’efficacia di un programma di sviluppo dipende da alcune variabili. Tra queste vi è la qualità dell’organizzazione delle imprese locali che si vogliono aiutare, che solitamente non hanno esperienza. Importante è anche la forza delle istituzioni e agenzie governative, come i regolatori, che devono creare l’ambiente migliore per gli investimenti che incoraggi un uso efficiente delle risorse. Ma la variabile più insidiosa indicata da Khan è il political settlement, ovvero la distribuzione del potere tra mondo economico, politico e burocrazia. I gruppi di potere possono usare la propria influenza per distorcere le politiche di attuazione previste dal piano di sviluppo. Possono farlo per proteggere il proprio potere (si pensi alle compagnie energetiche di Stato) e per dirottare parte degli investimentivi. Altre domande sorgono. Come la corruzione diffusa in molti Paesi africani ostacolerà l’accesso all’energia? Quali le conseguenze, nel lungo termine, riguardo spinte autonomiste o la stabilità di regimi, molti non democratici?

Si tratta quindi di un libro stimolante, che ha il grande pregio di basarsi su molte esperienze e lavoro sul campo e che invita i lettori a non dimenticare mai le condizioni di vita concrete delle persone più povere del pianeta. Troppo spesso si tende a semplificare e a non tenere veramente in considerazione come si vive in questi contesti e come funzionano le società di questi Paesi. È un invito a non dare per scontata la valenza di principi generali, generalmente frutto di un punto di vista meramente occidentale, la cui applicazione standard si scontra con la realtà locale. Non bisogna sprecare il lavoro e lo studio che sta alla base dei progetti di cooperazione il cui obiettivo di fondamentale importanza è combattere la disuguaglianza.


i# Ruggieri Gianluca, Monforti Fabio “Civiltà solare”, Altra Economia, Settembre 2016

ii# Idem

iii# Professoressa Emanuela Colombo del Politecnico di Milano in occasione della presentazione del libro il 20/11/2016 presso il Museo nazionale della scienza e della tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano

iv# Pinner Dickon, Rogers Matt, “Solar panel comes of age”, Foreign Affairs 94, pp. 111-8, Marzo/Aprile 2015

v# LeVine Steve, “Battery powered”, Foreign Affairs 94, pp. 119-24, Marzo/Aprile 2015

vi# Khan Mushtaq H., “Political Settlements and the Design of Technology Policy”, in Stiglitz Joseph, Justin Yifu Lin and Ebrahim Patel (eds) The Industrial Policy Revolution II. Africa in the Twenty-First Century, pp. 243-80, London: Palgrave 2013

Scritto da
Giuseppe Palazzo

Laureato in Scienze Internazionali e Istituzioni Europee presso l’Università degli Studi di Milano, si è poi specializzato nel settore energetico, conseguendo un MSc in Global Energy and Climate Policy presso la SOAS University of London e un master in Energy Management presso il MIP Politecnico di Milano. Ha intrapreso percorsi legati alle politiche pubbliche ed europee, presso ISPI e Scuola di Politiche, e legati alla regolazione del settore energetico italiano presso l’Università di Siena. Ha lavorato come consulente in BIP, ora è project manager per le attività internazionali di RSE (Ricerca sul Sistema Energetico), dipartimento Sviluppo sostenibile e Fonti energetiche.

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