Recensione a: Niklas Luhmann, Protesta. Teoria dei sistemi e movimenti sociali, Milano-Udine, Mimesis 2017, pp. 210, 18 euro (scheda libro)
Scritto da Andrea Baldazzini
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Guardando ad alcuni tra gli avvenimenti più significativi che hanno marcato in maniera indelebile lo spazio socio-politico degli ultimi anni: dalla crisi economica alle primavere arabe, dalla comparsa di nuove forze politiche alle lotte contro l’austerità e gli attacchi ai diritti dei lavoratori, diventa subito chiaro perché il tema dei movimenti sociali e delle proteste sia tornato ad occupare il centro di molti dibattiti e studi. Sempre di più si acquista la consapevolezza di stare vivendo in un momento di profonda trasformazione, dove i punti di riferimento tradizionali vengono meno e il futuro si rende totalmente incerto. Il dissenso e le rivendicazioni tornano così ad essere tra i gesti e le pratiche più diffuse, modalità di orientamento e selezione dei desideri, nonché sperimentazioni di nuove forme di aggregazione ed organizzazione collettiva. Come si vedrà più avanti nel dettaglio, per Luhmann è fondamentale considerare fin da subito i movimenti nei termini di portatori di istanze affermative: non sono mai la semplice espressione di un rifiuto, essi dichiarano, rivendicano, aggiungono, ma soprattutto costituiscono una delle risposte immunitarie più importanti dell’intero sistema sociale.
La teoria dei sistemi in Luhmann
Il valore di questo libro risulta dunque essere doppio: da un lato propone uno sguardo differente con il quale tentare di osservare le varie forme e tipologie di movimenti sociali, dall’altra permette al pubblico italiano l’accesso ad una serie di testi luhmanniani mai tradotti prima, che restituiscono un’immagine dell’autore e della sua teoria tutt’altro che conservatrice. Per comprendere però qual è l’effettiva particolarità del contributo offerto da Luhmann, bisogna innanzitutto considerare in maniera più dettagliata la Teoria dei sistemi sociali poiché essa costituisce il quadro di riferimento primario, l’architettura generale, che fa da sfondo alle diverse riflessioni dell’autore.
Secondo il sociologo vi sono almeno due principali aspetti che caratterizzano in maniera del tutto peculiare la società contemporanea: il primo riguarda la modalità attraverso cui essa si evolve, identificata nel processo di differenziazione funzionale, ovvero, i sistemi (politica, economia, religione, scienza, arte, famiglia, ecc.) si distinguono gli uni dagli altri in base alla funzione da loro stessi svolta, funzione che a sua volta deriva dall’identificazione di un preciso problema (es. la politica deve produrre potere, cioè trasmettere in forme codificate decisioni vincolanti per la collettività). Il secondo riguarda invece l’organizzazione tra sistemi, che è diretta conseguenza dell’affermarsi di un tale processo di differenziazione. L’immagine che ne risulta è infatti quella di una società senza centro, poliarchica, dove la politica ha perso il primato dell’organizzazione sull’intero ambiente e dove i sistemi stanno tra loro in un rapporto rizomatico e non gerarchico. Nessuno di essi è in grado di intervenire direttamente all’interno di un altro, ognuno può solo esercitare quelle che l’autore chiama delle «irritazioni», ovvero delle comunicazioni che diventano stimoli per la trasformazione dell’ambiente sistemico altrui (es. una decisione presa dal sistema della politica relativamente alla tassazione delle imprese, si traduce in un’irritazione per il sistema economico il quale è costretto a rispondere intervenendo al suo interno). «Non c’è nessun primus inter pares, nessun centro di controllo o di guida per la differenziazione funzionale, e quindi neppure per la società moderna, ma solo una molteplicità di sistemi funzionali che rappresentano la società moderna entro l’unità della differenziazione. Non può quindi esservi alcuna autodescrizione unitaria della società moderna» (p. 24).
Ovviamente queste sono solo alcune indicazioni generali che non è possibile approfondire ulteriormente, ma risultano fondamentali poiché rappresentano i presupposti teorici a partire dai quali Luhmann considera la questione relativa alle proteste e ai movimenti sociali. Secondo l’autore il loro emergere è infatti direttamente proporzionale all’intensificarsi del processo di differenziazione funzionale, più la società diventa policentrica e più i sistemi incrementano la loro autoreferenzialità, maggiori sono i rischi che minacciano l’autopoiesi dell’intero ambiente societario. Per dirla in termini luhmanniani: «questi movimenti contengono la possibilità di una critica radicale della società che va molto oltre quello che Marx aveva osato e visto. Si occupano, su un fronte più ampio, dell’enorme numero di conseguenze della differenziazione dei sistemi funzionali e, se è possibile attribuirgli un’intenzione radicale, è proprio quella della critica alla differenziazione funzionale» (p. 100).
Mancando un centro di controllo nella società contemporanea, i problemi che continuamente sorgono non trovano un referente appropriato capace di occuparsene in maniera adeguata, solo i movimenti sociali trovano la loro funzione nell’identificazione e trattazione di tali problematiche. In questo modo essi non solo risolvono un grave deficit funzionale del processo di sviluppo societario, ma forniscono anche diverse autodescrizioni colmando l’altro deficit di carattere teorico (cfr. p. 25).
Identità e differenze di un movimento
Volendo però entrare più nei dettagli, qual è la definizione che Luhmann dà dei i movimenti e delle proteste? Innanzitutto si deve precisare che i movimenti sociali costituiscono un unicum all’interno della riflessione sistemica dell’autore, essi sono certamente dei sistemi autopoietici, ma non possono venire ridotti né a semplici interazioni spontanee e precarie, né essere assimilati ad organizzazioni come ad esempio un partito o un’impresa. I movimenti sono infatti sistemi ibridi la cui peculiarità risiede non tanto nella strutturazione interna, ma nella capacità di auto-trasformazione, ovvero, nel rispondere al problema individuato adottando la forma organizzativa più efficace, nello sperimentare modalità decisionali, nell’essere aggregazioni trasversali che uniscono differenti individualità e soprattutto nell’abilità «di osservare le contingenze della differenziazione funzionale» (p. 38). Quest’ultima affermazione mette poi in evidenza uno degli aspetti più importanti dell’intera riflessione luhmanniana: i movimenti sociali costruiscono un’auto-descrizione della società alternativa a quella presente, mostrano come ciò che è dato non sia in alcun modo necessario, operano insomma nel lato del virtuale, riabilitando la possibilità del cambiamento, della costruzione di un’altra forma di auto-referenza sistemica. Se i sistemi, per loro stessa costituzione e operatività, tendono ad auto-riprodursi in maniera identica fino a che un determinato processo non mette in pericolo la propria autopoiesi, i movimenti sociali concepiscono invece il rischio come occasione per l’inizio di un processo trasformativo volto alla risoluzione del problema funzionale e più in generale alla salvaguardia dell’equilibrio societario.
A partire dal tema relativo alla capacità dei movimenti sociali di osservare le contingenze della differenziazione funzionale, e di sfruttarle per dare vita a processi trasformativi in grado di modificare l’autopoiesi dei relativi sistemi di funzione, diviene poi possibile individuare altri due importanti aspetti che per Luhmann rappresentano il punto di inizio per qualunque analisi sistemica relativa a questo fenomeno:
Dalle proteste alle proposte
Queste poche osservazioni sono comunque sufficienti per mostrare quanto l’approccio luhmanniano allo studio dei movimenti sociali sia molto differente delle tradizionali analisi proprie della sociologia dell’azione o della sociologia culturale. Prima di concludere però è doveroso evidenziare anche il ruolo della teoria in Luhmann, poiché se in un primo momento essa si presenta come semplice descrizione dei fatti, la stessa descrizione diviene immediatamente affermazione della contingenza, cioè riconoscimento dell’illusione dell’oggettività (preferenza per un approccio costruttivista) e della persistenza di pieghe, scarti, contraddizioni, che si traducono in occasioni per la creazione di differenti modi di osservazione. Quella luhmanniana è tutt’altro che un’epistemologia votata alla ripetizione del presente e della sua identità, dunque non è un caso che proprio concetti quali quelli di differenza, policentrismo, complessità, distinzione, costruttivismo e sistema, costituiscano la base di tutta la sua opera matura.
Allo stesso modo, i movimenti sociali fanno della descrizione il momento fondativo volto all’individuazione e all’articolazione del problema sistemico; da lì cominciano il loro percorso evolutivo che li porterà a strutturarsi o a dissolversi, un percorso comunque perennemente rivolto alla valorizzazione della contingenza come unica possibilità per trasformare l’autoriproduzione dei singoli sistemi e l’auto-descrizione dell’intera società. Per riuscire in questa impresa, essi devono però riuscire a produrre irritazioni sufficientemente potenti da divenire fattori di cambiamento per i sistemi, e la protesta rimane uno degli strumenti certamente più efficace. Come ricorda bene Luhmann: «la protesta vive del confine che essa traccia come modo di osservazione. Ma l’alternativa può varcare il suo confine. In quanto alternativa si è, e non si è, dall’altra parte. Si pensa in senso proprio nella società, per la società, contro la società» (p. 128).