Le proteste in Algeria e la fine di un’era
- 17 Aprile 2019

Le proteste in Algeria e la fine di un’era

Scritto da Federico Rossi

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Le proteste e le dimissioni di Bouteflika

Le proteste scoppiate quest’anno si pongono però su un piano molto diverso rispetto a quello del biennio 2011-2012. Ciò è possibile soprattutto perché sono diversi i soggetti che le portano avanti, trattandosi perlopiù di giovani che non hanno né vissuto il “decennio nero” né goduto dei benefici economici degli anni precedenti alla crisi economica. Questi giovani infatti, pur avendo livelli di istruzione mediamente più alti rispetto alla generazione precedente, si trovano esclusi dal mondo del lavoro e costretti spesso a diventare harraga, termine dialettale che definisce coloro che emigrano clandestinamente verso la Spagna, la Francia e la Sardegna, una rotta spesso dimenticata nel dibattito generale sulle migrazioni.

L’Algeria insomma era già da qualche anno una bomba ad orologeria, che attendeva solo il crollo di Bouteflika per esplodere. È bastata così la semplice voce della ricandidatura del presidente uscente a far montare rapidamente tramite i social network la mobilitazione, poi culminata nella prima grande manifestazione di Algeri del 22 febbraio. Dopo il lancio della rivolta gli eventi si sviluppano molto rapidamente e il governo mostra subito tutta la sua precarietà e impreparazione ad un evento del genere.

Algeria

Sotto la spinta delle proteste infatti la candidatura di Bouteflika, ufficializzata il 3 marzo, è ritirata appena otto giorni dopo, in concomitanza con il rinvio delle elezioni, inizialmente previste per il 18 aprile poi fissate al 4 luglio. Il 12 marzo il Primo Ministro Ahmed Ouyahia rassegna le dimissioni e viene sostituito da Noureddine Bedoui, fedelissimo di Bouteflika che viene in seguito incaricato di formare un governo provvisorio. Infine il 2 aprile il presidente annuncia tramite una lettera ad Algérie Presse Service di aver rassegnato le dimissioni.

La ritirata di Bouteflika è preceduta di qualche giorno dalla dichiarazione del capo dell’esercito algerino, Ahmed Gaid Salah, che chiedeva al presidente di fare un passo indietro. Il comunicato arriva appena in tempo insomma perché l’esercito mantenga la sua posizione di garante dell’ordine in Algeria, ponendolo come un attore centrale anche nella nuova transizione. Quella di Salah è però anche una posizione estremamente ambigua, che riflette un tentativo di presentare l’esercito come difensore della Costituzione, riportandolo allo stesso tempo al centro del sistema istituzionale. Salah ha infatti più volte insistito perché il processo costituzionale fosse rispettato e Bouteflika venisse sostituito con Abdelkader Bensalah, Presidente del Senato molto vicino al regime, il quale stando alla Costituzione può ricoprire l’incarico ad interim per un massimo di novanta giorni.

Come prevedibile, tuttavia, le dimissioni di Bouteflika e la sua sostituzione con Bensalah non sono state sufficienti a fermare la protesta, che ha continuato e continua tuttora per le strade delle principali città algerine. Agli occhi della piazza infatti il regime di Bouteflika continua a perdurare attraverso coloro che prima erano accusati di controllare la presidenza e in particolare attraverso i tre nuovi soggetti a cui è stata per ora affidata la transizione, le “tre B”, vale a dire Bensalah, Bedoui, e il presidente del Consiglio Costituzionale Belaiz, ultimo per adesso a dimettersi sulla spinta delle proteste.

Le proteste scoppiate quest’anno non sono infatti semplicemente un movimento anti-Bouteflika, che si oppone ad un leader ormai quasi inesistente a livello politico, ma piuttosto una vera e propria rivolta contro un sistema di potere gerontocratico e basato sulla corruzione. L’oggetto del contendere è proprio quella “criptocrazia” a lungo nascosta dietro l’immagine di Bouteflika e perlopiù oscura, che, se da un lato appare disposta a trasformarsi per rimanere salda al potere, dall’altro sta cominciando anche a perdere pezzi importanti, come dimostra l’arresto di Ali Haddad, imprenditore fra i più ricchi d’Algeria ed ex capo del sindacato patronale nonché uno dei maggiori finanziatori del regime.

Attorno a questa situazione si trova però un contesto in cui le alternative politiche non sembrano però essere molte. Il principale avversario elettorale di Bouteflika è stato negli ultimi anni Ali Benflis, ex membro del FLN e già capo di governo con Bouteflika fino al 2003, che per l’ex presidente non ha mai rappresentato un reale pericolo. Lo stesso si può dire inoltre per le varie formazioni centriste e liberali, finite quasi tutte nella rete clientelare del regime.

Parallelamente alla cooptazione dell’opposizione laica, le forze islamiste sono state invece progressivamente marginalizzate a partire dalla guerra civile. Tuttavia, malgrado la repressione che ha colpito questi ambienti, non è da sottovalutare la possibilità che ad una liberalizzazione del campo politico possa corrispondere una loro crescita come avvenuto in Tunisia ed Egitto dopo il 2011. Il panorama dei partiti islamisti moderati algerini è infatti molto vario e queste formazioni, come l’Alleanza per l’Algeria Verde (AAV) o il Movimento della Società per la Pace (MSP), vicino ai Fratelli Musulmani, si sono sempre collocate subito dietro i due partiti filo-presidenziali (FLN e RND) in elezioni legislative non immuni da brogli.

Inoltre, i movimenti islamisti possono far leva su una rete di organizzazioni sociali e di carità extra-politiche che negli anni hanno fatto molta presa nei contesti rurali, in alcuni casi sostituendosi allo stato sociale dopo la crisi. Una crescita dell’islamismo nel post-Bouteflika è quindi probabile soprattutto fra la popolazione non urbana, uno strato silenzioso poco presente nelle piazze, ma da non sottovalutare. Resta tuttavia difficile prevedere l’entità di questa rinascita, anche per il peso che continua ad avere lo spettro degli anni Novanta, e quale possa essere la reazione dell’esercito di fronte ad una simile situazione.

I militari continuano infatti a mantenere un ruolo chiave all’interno dello Stato algerino e molte figure che provengono da questo ambiente si stanno muovendo per approfittare della situazione. Fra questi personaggi, oltre a Salah, il generale Toufik continua a mantenere un peso notevole, come testimonia il suo ruolo di mediatore nelle trattative fallite fra Said Bouteflika e Zéroual, e possiede i contatti necessari per influire sulla fase attuale.

L’ultimo degli attori in gioco è la piazza stessa, chiamata a rappresentare un’intera generazione di esclusi che non si riconosce neppure nelle attuali formazioni islamiste, poco presenti nelle manifestazioni giovanili. Si tratta anzitutto di una generazione senza rappresentanza politica e attualmente priva anche di leader o di un programma coerente, da cui è difficile prevedere se possa originarsi un movimento organico nel breve periodo.

La rivolta sembra in ogni caso non fermarsi, ma anzi appare intenzionata a portare a compimento una vera e propria rivoluzione, già iniziata in un certo senso con l’uscita di Bouteflika dalla scena politica. L’evoluzione politica dell’Algeria è appena cominciata ed è difficile dire ad oggi dove potrà fermarsi, così come appare avventato azzardare paragoni con gli altri paesi nordafricani, soprattutto per la particolarissima situazione storica, sociale ed economica algerina rispetto a paesi come la Tunisia o l’Egitto.

Le dimissioni di Bouteflika segnano, in definitiva, la fine di un’era di immobilismo durata vent’anni. Lo scongelamento di questo stato di sospensione porterà, però, necessariamente alla luce anche tutti quei problemi che finora erano rimasti sepolti, a partire dalla questione giovanile e della riconversione economica fino al ripensamento dell’identità nazionale, processo in cui un ruolo centrale dovrà probabilmente essere giocato anche dalle rivendicazioni degli islamisti e degli autonomisti berberi.

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BIBLIOGRAFIA

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Tamburini, F., Il Maghreb dalle indipendenze alle rivolte arabe, Pisa University Press, 2016.


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Scritto da
Federico Rossi

Nato nel 1995, attualmente studente di Scienze Politiche e Sociali presso la Scuola Superiore Sant’Anna e di Governance delle Migrazioni presso l’Università di Pisa, dopo aver conseguito la laurea triennale in Scienze Politiche Internazionali nello stesso ateneo. Attivo in alcune associazioni di volontariato e sportello legale per le migrazioni, tiene una rubrica a tema immigrazione per la rivista online “Il Fuochista”.

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