Scritto da Federico D'Ambrosio
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Questa storia comincia nel 1974, quando ad una cena l’economista Arthur Laffer disegna su un tovagliolo una semplice parabola per illustrare una relazione tra livello di tassazione e gettito: ad un aumento di tassazione, sostiene, potrebbe non coincidere un aumento del gettito ma anzi una sua diminuzione. Non è un’idea nuova (lo stesso Laffer la attribuisce ad Ibn Khaldun, del XIV Secolo, e a John Maynard Keynes), anzi qualitativamente ha senso, ma a questa Laffer, attraverso delle ipotesi molto forti e molto discutibili, dà una forma abbastanza semplice da essere tracciata su un tovagliolo e soprattutto mette gli Stati Uniti sul lato destro della curva: riducendo abbastanza le tasse, può aumentare il gettito!
Al suo tavolo siedono, tra gli altri, Dick Cheney e Donald Rumsfeld, parte del cerchio stretto attorno al futuro presidente Reagan, nonché ai futuri presidenti Bush. Molto velocemente l’idea che gli Stati Uniti possano ridurre la tassazione senza dover tagliare la spesa pubblica diventa uno dei punti centrali della cosiddetta Reaganomics, l’insieme delle politiche economiche della presidenza Reagan che hanno sovvertito e destabilizzato il fragile equilibrio dell’America post-Depressione.
In questa maniera una scelta fortemente politica, il taglio della tassazione ai redditi più alti a carico della fiscalità generale e dunque anche dei molti con reddito più basso, è stata propagandata come una necessità oggettiva, scientificamente supportata.
Ma così non è. La curva di Laffer, così come utilizzata da Reagan e, più o meno esplicitamente, dalle destre di tutto il mondo, è pseudoscienza. Infatti, mentre utilizza le forme ed il linguaggio della comunicazione scientifica per darsi autorità, trascura i meccanismi che servono ad accreditare una teoria nel mondo scientifico: evidenze sperimentali, rigore e discussione in ambito accademico.
Non è un caso, infatti, che questo miracoloso aumento del gettito non c’è stato. Anzi, i tagli alla tassazione insieme all’aumento della spesa militare hanno provocato l’esplosione del debito pubblico americano. Non un errore ma parte del piano.
Il piano, infatti, è “Starve the beast” (letteralmente “affamare la bestia”): l’unica maniera per ridurre il peso dello Stato è ridurne arbitrariamente le dimensioni riducendo il gettito per essere quindi costretti ad operare ai tagli. E quindi, ancora una volta, trasformare una scelta politica in una dura e difficile necessità oggettiva, non soggetta a dibattito.
Reagan e la destra liberista hanno vinto. Attraverso affermazioni pseudoscientifiche hanno forzato e rotto un equilibrio costruito nei decenni precedenti attraverso dure lotte. Non solo lo status quo è cambiato profondamente ma anche la visione economica della destra liberista americana è diventata egemone.
Nemmeno nei sogni della sinistra americana si parla di un ritorno ad un’aliquota del 70% per i redditi più alti, che pure era la normalità negli Stati Uniti pre-Reagan.
Questo profondo mutamento culturale e politico, questa vittoria culturale della destra è passata attraverso la pseudoscienza (non solo la curva di Laffer ma anche la cosiddetta “trickle-down economics”, ovvero l’idea che benefici economici per i redditi più alti si ridistribuiranno su quelli più bassi) e a “factoid”, affermazioni presentate come fatti senza esserlo (come “il privato è sempre più efficiente del pubblico”).
La pretesa di oggettività del liberismo spesso, come in questo caso, è basata su affermazioni indimostrate se non addirittura false. E se vogliamo superarlo bisogna anche ristabilire i confini oggettivi del dibattito, impedendo che le legittime opinioni e ideologie vengano travestite da fatto.