Scritto da Cosimo Francesco Fiori
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Il regime dei divieti di attività fasciste, sostanzialmente stabile da decenni, è recentemente tornato in discussione per via della proposta di legge Fiano[1], approvata alla Camera, che istituisce un reato di propaganda fascista. L’analisi di tale proposta sarà preceduta da una sintesi della normativa vigente, che consente di illustrare meglio i problemi posti dal nuovo testo. Traendo spunto dalla vicenda, infine, si esporranno alcune considerazioni generali sull’antifascismo.
Il quadro normativo dei divieti di attività fasciste
Tra le disposizioni transitorie e finali della Costituzione la XII, al primo comma, recita: «è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». La formula fu proposta da Togliatti nel 1946[2], ma non era una novità: si trattava, per l’Italia, di un obbligo di diritto internazionale[3] ed era già vigente la prima legge eccezionale, approvata all’indomani della Liberazione[4]. Dal punto di vista legislativo l’attuazione è venuta dalla cd. legge Scelba del 1952, tuttora in vigore con le modifiche del 1975[5]. Ciò che interessa qui non è la fattispecie più grave – la condotta associativa di ricostituzione del partito, che ha sempre posto problemi di determinatezza e di applicazione – ma le condotte individuali, divise in due ipotesi di diversa gravità (anche se l’intervento del 1975 ha sostanzialmente invertito la gradazione, e un emendamento alla pdl Fiano alza la pena nel minimo):
1) apologia di fascismo (art. 4), che si sostanzia in:
2) manifestazioni fasciste (art. 5), consistenti nel compimento, in pubbliche riunioni (prima del 1975: «pubblicamente»), di manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste.
Rispetto al bene giuridico protetto (la democrazia) le condotte in esame non sono immediatamente lesive: si tratta di reati di pericolo. Si ha, come in tutti reati di questo tipo, un’anticipazione della soglia della punibilità: non si deve aspettare, per intervenire, che vi sia un partito fascista già al potere. In tal senso, la Corte costituzionale ha ritenuto che questi articoli non esorbitino dal disposto della XII disp. Cost.[6]. Nondimeno, proprio perciò le condotte assumono rilevanza penale solo se generano il pericolo di ricostituzione: per la Corte l’interpretazione non deve essere strettamente letterale ma sistematica, e risalire alla ratio dell’intervento normativo, esplicita fin nel titolo della legge («Norme di attuazione della XII disposizione […]»). Interpretazione, dunque, adeguatrice. Sono pertanto punibili le condotte che, «in relazione alle circostanze di tempo, di luogo e ambiente in cui si svolgono e per le loro obiettive caratteristiche, siano comunque idonee a far sorgere la situazione di pericolo di ricostituzione del partito»[7] (pericolo concreto); la condotta «deve essere considerata non già in sé e per sé, ma in rapporto a quella riorganizzazione»[8], in quanto è idonea «a provocare adesioni e consensi e a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste»[9]. Letti così, i reati suddetti non contrastano con la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.): non sono reati di mera opinione[10]. La valutazione in concreto della pericolosità, la cui necessità riduce l’area delle condotte punibili, è effettuata dal giudice di merito, caso per caso, e può portare anche ad assoluzioni per ritenuta inidoneità ricostruttiva[11].
La proposta di legge Fiano
L’inevitabile diversità in punto di valutazione fattuale di casi diversi da parte di giudici diversi è definita, nella relazione introduttiva della proposta Fiano, una mancanza di uniformità giurisprudenziale (quando invece l’interpretazione degli articoli è abbastanza pacifica dalle prime sentenze della Consulta di circa sessant’anni fa): la doglianza si riduce al saluto romano, punito o no in base alle circostanze di tempo, di luogo, etc. Si mostra, cioè, di ritenere accidente ciò che invece è sostanza. In generale i proponenti vogliono «colpire solo alcune condotte che individualmente considerate sfuggono alle normative vigenti»: oltre al saluto, la diffusione di materiale (gadget, ninnoli vari) di carattere e con immagini e simboli fascisti (perché, tra l’altro, «sconcerta i turisti»).
La proposta di legge prevede l’introduzione di un art. 293-bis nel codice penale, rubricato «Propaganda del regime fascista e nazifascista». Esso, oltre a introdurre l’aggravante del mezzo informatico, nel testo approvato, con emendamenti, alla Camera punisce «chiunque propaganda i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero dei relativi metodi sovversivi del sistema democratico, anche attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne fa comunque propaganda richiamandone pubblicamente la simbologia o la gestualità».
Il testo pone una serie di problemi, tra cui i seguenti.
1) La condotta in senso proprio è la propaganda dei «contenuti propri» e dei «metodi sovversivi», rispetto alla quale la diffusione etc. di materiale e il richiamo pubblico della simbologia o della gestualità sono modalità esemplificative della condotta. Su cosa sia un contenuto proprio del partito fascista si pone un problema di determinatezza (che, del resto, si pone in modo analogo per la legge Scelba): è contenuto proprio la bonifica delle paludi? Ovviamente si intende un concetto di fascismo a uso della legge penale, ristretto al suo nocciolo antidemocratico (si veda l’art. 1 della legge Scelba), che dovrebbe tendere a escludere tutto ciò che, in quest’ottica, nel fascismo fu accidente.
2) Assenza di coordinamento sistematico con la normativa vigente: anziché, ove necessario, modificare la legge del 1952 che norma l’intera materia, si aggiunge un articolo al codice penale, cioè in altra sede.
3) Problemi di coordinamento sostanziale e di sovrapposizione con le norme esistenti: le condotte punite possono facilmente rientrare negli artt. 4 e 5 della legge Scelba (per esempio, non si vede in che cosa la «propaganda» differisca dalla «pubblica esaltazione»). La diffusione etc. di materiale può ben costituire modalità di apologia di fascismo già punibile, o di concorso in essa (così come costituirebbe solo una modalità della propaganda, sicché il dolo, seppur generico, dovrebbe estendersi al fatto della propaganda); mentre la «gestualità» può ben essere (e sovente è ritenuta) una manifestazione usuale del disciolto partito fascista. Per dirimere il concorso apparente di norme (oltre all’art. 15 c.p.) vi è la clausola, introdotta in commissione, «salvo che il fatto costituisca più grave reato». Essa aiuta fino a un certo punto, e nella misura in cui aiuta rende inoperante la legge proposta (a favore della legge Scelba, e persino della legge Mancino[12]). Il rischio è che la legge sia ridondante e inapplicabile: l’auspicio di un coordinamento, anche sotto il profilo delle aggravanti, era stato formulato da varie parti.
4) Cosa resta, quindi, della proposta Fiano? Essa si propone di colpire comportamenti «più semplici o estemporanei», dichiaratamente slegati dalla ricostituzione del partito. Quale è, però, il suo contenuto innovativo, trattandosi di comportamenti astrattamente sussumibili sotto le norme già in vigore? Questo: il tentativo di ribaltare l’uniforme linea interpretativa giurisprudenziale (adeguatrice alla Costituzione) della legge Scelba. Un nuovo articolo del codice penale, inserito con legge che non è espressa attuazione della XII disp. Cost., non avrebbe bisogno di essere interpretato conformemente a essa e potrebbe perciò ben fare a meno, per essere applicato, del pericolo concreto di ricostituzione (non a caso sono stati respinti due emendamenti, tendenti a introdurre l’uno il dolo specifico di ricostituzione, l’altro il pericolo concreto di essa).
5) I casi sono due. Se si desse la condotta con pericolo di ricostituzione vi sarebbe sovrapposizione tra legge Scelba e legge Fiano: in tal caso, come detto sub 3), si applicherebbe verosimilmente la legge Scelba. Ove la stessa condotta, invece, non desse pericolo di ricostituzione (e solo in questo caso), si applicherebbe la nuova fattispecie. Essa, dunque, sarebbe circoscritta necessariamente ai soli casi che non recano offesa o pericolo alla democrazia, perché diversamente interverrebbe la legge attuale. Si punirebbe cioè una manifestazione di pensiero, con probabili profili di incostituzionalità per violazione dell’art. 21 Cost.
6) Potrebbe soccorrere un’altra considerazione a non rendere la legge incostituzionale: nuovamente, l’interpretazione adeguatrice alla Costituzione. Se è pur vero che il legislatore intende andare oltre la legge Scelba (ma invero anche “completarla”), nondimeno, anche per evidente identità di materia, la nuova legge non può non ricadere nel dominio della XII disp. Cost., alla cui luce andrebbe letta; anche perché, altrimenti, si porrebbe il problema sopra evidenziato. Tale interpretazione, nel salvare la legge dall’incostituzionalità, la salverebbe però anche dalla fatica di dire qualcosa di nuovo, rendendola tamquam non esset.
Si tratta, insomma, di un esempio tra gli altri di legge penale simbolica, destinata a non trovare applicazione: efficace per qualche giorno sulla stampa, ma non in tribunale[13]. Un conto è una disposizione costituzionale dal valore anche simbolico (come la XII), altro conto è se il valore simbolico lo assume la legge penale. La superficialità è testimoniata anche da confusioni terminologiche (si usano «regime» e «partito» come fossero termini intercambiabili) e stranezze storiografiche (si parla di «nazionalsocialismo tedesco», ma allora ci si chiede: perché solo quello tedesco, e non anche i vari collaborazionismi europei? Sarebbe punibile la diffusione di santini di Quisling? Se la legge l’avesse voluto, l’avrebbe detto). Nel caso in cui chi scrive avesse torto su tutto, infine, vi sarebbe un paradosso notevole: esisterebbe una legge capace di punire sempre e comunque il saluto romano, ma nessuna che sia realmente in grado di far sciogliere movimenti neofascisti esistenti (vedere il caso del vecchio Msi: i dirigenti furono sempre assolti dall’accusa di ricostituzione[14]. Le condanne e gli scioglimenti vi furono, però, per Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale – organizzazioni apertamente sovversive – negli anni ‘70). È allora il caso di allargare il discorso.
Antifascismo oggi: considerazioni generali
La questione concerne la vecchia massima dell’intolleranza per gli intolleranti, che pure necessita, in un ordinamento democratico costituzionale, dell’individuazione di un equilibrio quale è quello, al limite opinabile, trovato dalla Consulta. Il suo superamento potrebbe essere fisiologico nell’emergenza, che crea il suo diritto (posto che la situazione attuale sia tale): le cose andrebbero solo chiamate col loro nome. Posto che per gli atti violenti esiste già il codice penale, la domanda è: è efficace attribuire alla magistratura un compito, di fatto, politico? Si può combattere una realtà politica nei tribunali (ordinari, non speciali)?
A giudicare dalla stessa legge Scelba, parrebbe di no. Dei motivi si discute fin dagli anni Cinquanta: problemi nel definire in termini legislativi il fascismo che rinasce sotto qualsiasi forma; pene troppo elevate; timore dei giudici di prendere decisioni in materia politica, tanto più quando sentono che la loro decisione non riposerebbe sulla coscienza comune; atteggiamento corrivo dei governi Dc verso l’estrema destra (anche dentro le strutture dello Stato), per via della prevalente strategia anticomunista in ossequio alla politica atlantista, etc. Nei dibattiti parlamentari del 1952, e anche prima, da parte delle sinistre ci si chiedeva: perché non procedere senz’altro con legge (attuativa della XII disp. Cost.) a sciogliere direttamente il Msi, senza aspettare i giudici e assumendosene la responsabilità politica anziché scaricarla su altri? Ma, anche così e a meno delle grandi purghe, non sarebbe rinato anch’esso in altra forma? E che fare delle migliaia e migliaia di iscritti (punibili a tenore della legge), e come comportarsi coi suoi elettori (che superarono abbondantemente i due milioni: quarta forza del Paese)? Si riporti la questione sull’oggi e si pensi negli stessi termini alle varie organizzazioni di destra esistenti, prima ancora che ai saluti romani esibiti.
Ricordiamo che il consenso di massa al fascismo nel Ventennio suggerì, nell’immediato dopoguerra, la politica di pacificazione; e la corrività Dc c’entra poco, poiché la prima amnistia porta il nome del ministro di grazia e giustizia Togliatti. Fatta la Repubblica antifascista, insomma, bisognava fare gli antifascisti (gli ex confinati ed esiliati non erano sufficienti). Ma come? In ogni dibattito parlamentare sulle leggi antifasciste si è reclamata, oltre alla repressione, l’educazione. Una grande opera di pedagogia fu svolta dalla guerra e dalla Resistenza, che tuttavia non fu sufficiente, non essendo l’epopea resistenziale e antifascista mai diventata, davvero, memoria di massa condivisa e sentita, ma più che altro memoria “di parte”, volta a sostenere un’idea progressiva di democrazia da altri avversata: gli ex partigiani non ebbero sempre vita facile all’inizio della Repubblica. Non mito fondativo, quindi, ma idea polemica, identità debole, come già il Risorgimento. Se fu utile solo in parte la pedagogia della storia, di quale educazione parlare: dei convegni nelle scuole? Diceva di ciò Antonio Banfi nel dibattito sulla legge Scelba: «se la democrazia non è attiva nel Paese, se questi giovani non la ritrovano nella serietà dei loro studi, nelle libertà delle loro azioni, nella sicurezza del loro lavoro, nella quotidiana realtà della vita, la propaganda non servirà a nulla»[15]. Sterile è allora un antifascismo meramente liturgico-convegnistico.
Per evitare da un lato un antifascismo formale capace solo di reagire all’etichetta “fascismo” ben visibile, e dall’altro generalizzazioni «Ur-fasciste», si dovrebbero considerare le situazioni sociali che aprono a taluni quella via di fuga; la risposta a valle ha un’utilità limitata, e può persino generare mistificazioni. Sarebbe utile una riflessione su provenienza e condizione di chi volge a destra e di chi, invece, volge al bene, per capire come l’oblio dell’esistenza delle classi sociali renda i discorsi del tutto astratti. Se è indubbio che il senso comune si sia spostato a destra, altrettanto vero è che vi è una risposta ottusa, capace spesso di solo bon ton ma che non disdegna di propugnare misure reazionarie, come la restrizione del diritto di voto. Valga ricordare una banalità: «quando noi parliamo di avversari non abbiamo in vista le masse […]: sono delle masse di lavoratori che noi dobbiamo far tutti gli sforzi per conquistare»; «non abbiamo compreso che non si poteva semplicemente mandarli al diavolo»[16].
Ora come in passato l’indebolimento dei lavoratori è la più sicura garanzia di evoluzioni a destra. Il fascismo è l’altra faccia, la finta opposizione del liberismo egemone dall’abito buono. Non c’è bisogno che arrivino le camicie nere, oggi, per dire che la democrazia è fiacca: delegittimati partiti, sindacati e istituzioni, disorientate e disoccupate le masse, mentre lo Stato dipende vieppiù dai mercati finanziari e da «vincoli esterni». L’indignazione delle anime belle non servirà a salvare la democrazia, dopo che le forze del lavoro, che hanno contribuito a preservarla in anni difficili, sono state debilitate. Sovente la critica antifascista si arresta a un piano liberale e, riducendo il fascismo alle sole leggi razziali, che giunsero solo nel 1938, dimentica che esso fu originariamente la repressione della questione sociale esplosa dopo il 1918. L’unione tra elemento piccolo-borghese ed elemento organizzatore agrario e industriale[17] si tradusse nell’«asservimento completo dei lavoratori di ogni categoria e ceto ai padroni imprenditori. […] È specialmente sotto questo aspetto che dovrà essere riconsiderato il problema della lotta contro la resurrezione del fascismo»[18].
Lotta essenzialmente politica, al di là della repressione penale. Se le ragioni dell’antifascismo sono ancora attuali, esse vanno rinvenute nella Costituzione antifascista, che non avversa il fascismo con le sole garanzie liberali, ma con la tutela dei lavoratori. La Costituzione non si presta al canto della sua bellezza, ma alla lotta per il suo inveramento, che oggi sta invece regredendo. Nessun antifascismo che sia di sostanza e non di maniera è possibile, senza la lotta per il lavoro, la sua dignità, i suoi diritti.
[1] Pdl Camera n. 3343, Fiano e altri, presentata il 2 ottobre 2015 e approvata il 12 settembre 2017.
[2] Atti dell’Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Prima Sottocommissione, seduta del 19 novembre 1946, pp. 403 ss. La discussione verteva sull’attuale art. 49 sui partiti. La disposizione fu votata all’unanimità; venne infine approvata in assemblea il 5 dicembre 1947, transitando nella sede attuale.
[3] Contenuto dapprima nell’art. 30 dell’armistizio “lungo” (firmato a Malta il 29 settembre 1943), poi nell’art. 17 del trattato di pace (firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, ma i cui contenuti erano già noti).
[4] D.Lgs.Lgt. 26 aprile 1945, n. 195, cui seguì la legge 3 dicembre 1947, n. 1546 (sempre temporanea ma non propriamente eccezionale: può essere ritenuta la prima attuazione della XII disp. Cost.). Pur con modifiche e specificazioni, la legge attuale ripropone condotte punite già a tenore di queste leggi.
[5] Legge 20 giugno 1952, n. 645, come modificata dalla legge cd. Reale (22 maggio 1975, n. 152). Il quadro è stato poi completato dalla cd. legge Mancino (d.l. n. 122/1993, convertito con l. n. 205/1993) sulla discriminazione razziale, che prevede condotte in parte sovrapponibili a quelle della legge Scelba (nella misura in cui il razzismo risulti un aspetto qualificante dell’ideologia fascista) e ha introdotto un’aggravante all’art. 4 della stessa.
[6] Vd. in particolare Corte cost., sentenza n. 74/1958 (sull’art. 5). Questa e le altre sentenze sulla legge Scelba sono tutte interpretative di rigetto.
[7] Corte cost., sent. n. 15/1973 (che ribadisce i contenuti della sentenza del 1958).
[8] Corte cost., sent. n. 1/1957 (sull’art. 4).
[9] Corte cost., sent. n. 74/1958, cit.
[10] Il ragionamento è analogo a quello che la Corte svolge per l’apologia di delitto (art. 414, comma terzo, c.p.): vd. sent. n. 65/1970.
[11] Vd. da ultimo, ad esempio, Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 11038/2017: si trattava in questo caso di una manifestazione commemorativa di tre defunti, con compimento del saluto romano, grida di “presente”, esposizione di striscioni e croci celtiche. Mera commemorazione, nessuna idoneità ricostruttiva: per lo stesso motivo, per i fatti di Milano del 29 aprile scorso la Procura ha chiesto l’archiviazione.
[12] Cit., vd. nota 5.
[13] Al proposito, non si può fare a meno di notare le coincidenze temporali. Le polemiche sulla proposta di legge si sono accese, in particolare, a luglio dopo l’articolo di Repubblica sulla nota vicenda dello stabilimento balneare di Chioggia. La pubblicazione è avvenuta tre giorni dopo la fine dell’esame in Commissione e la presentazione della relazione critica del M5S, e alla vigilia dell’approdo in Aula. Fino ad allora, il cammino parlamentare era stato piuttosto placido (oltre un anno e mezzo, con ampie interruzioni: e dà l’impressione di mantenere quel ritmo) e la spiaggia di Chioggia pare esponesse immagini e scritte da anni.
[14] L’Italia è in buona compagnia: in Germania, il 17 gennaio scorso, è stata respinta dal Bundesverfassungsgericht la richiesta del Bundesrat di mettere al bando il partito neonazista Npd, per l’assenza di prove della sua capacità di realizzare i suoi stessi obiettivi anticostituzionali.
[15] Atti del Senato della Repubblica, seduta del 24 gennaio 1952, p. 30078.
[16] Palmiro Togliatti, Corso sugli avversari. Le lezioni sul fascismo, Einaudi 2010, pp. 3 e 8.
[17] Se poi prevalse, negli indirizzi, la grande borghesia o il «ceto medio emergente» (Renzo De Felice, Intervista sul fascismo, Laterza 2013, p. 30) è altra questione.
[18] Umberto Terracini, Atti del Senato della Repubblica, seduta del 25 gennaio 1952, p. 30125.