Recensione a: Alessandro Coppola, Matteo Del Fabbro, Arturo Lanzani, Gloria Pessina e Federico Zanfi (a cura di), Ricomporre i divari. Politiche e progetti territoriali contro le disuguaglianze e per la transizione ecologica, il Mulino, Bologna 2021, pp. 392, euro 28 (scheda libro)
Scritto da Alberto Bortolotti
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Ricomporre i divari (il Mulino 2021) è un libro che restituisce un lungo percorso di ricerca incubato nel progetto accademico Dipartimento d’Eccellenza Fragilità Territoriali coordinato da Gabriele Pasqui all’interno del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani (DAStU) del Politecnico di Milano. Il volume, nato in occasione di un incontro nel 2019 tra urbanisti, docenti, esponenti del Forum Disuguaglianze e Diversità con il DAStU, si articola attraverso 26 proposte operative, molto concrete e praticabili, da rivolgere ad un pubblico ampio, per poter attivare una discussione non esclusivamente rivolta ai policy maker. Ricomporre i divari costituisce dunque il tentativo di mettere a disposizione delle politiche pubbliche ipotesi di lavoro operativo che gravitano intorno a tre considerazioni principali:
Alla luce di questi tre pilastri, la ricerca si propone di utilizzare una metodologia fondata sulla radicalità delle proposte accompagnata da una concretezza attuativa, ovvero profilare politiche pubbliche come connessioni di settori diversi di intervento, integrate nei luoghi e mirate alla produzione di conoscenza utilizzabile per l’elaborazione delle stesse. Il volume è suddiviso in quattro parti che trattano rispettivamente: le strategie territoriali, i patrimoni abitativi, le infrastrutture della vita quotidiana, le reti e i servizi della mobilità. Ognuno di questi ambiti è costituito da capitoli scritti da uno o più autori, 70 in totale, restituendo a pieno il carattere interdisciplinare necessario per trattare una questione così complessa e articolata come quella dei divari territoriali.
Il carattere fondante del libro è legato alla considerazione che, durante il cosiddetto Secolo Breve[1], l’urbanistica sia intervenuta «riequilibrando condizioni di contesto e materiali – nello spazio del quartiere, della città, della regione – che hanno influenza sia sulla qualità della vita non meno dei differenziali di reddito, sia sulla equalizzazione di quelle condizioni abilitanti che rappresentano fattori decisivi nella traiettoria di individui e gruppi sociali» (p. 13), accompagnando a questo riassetto di equilibrio un intervento sulla produzione e sulla regolazione della rendita urbana. Tuttavia, il peso variabile di queste ultime due tipologie d’intervento, relative soprattutto al controllo dei processi urbani, si è progressivamente indebolito in un Paese come l’Italia nel quale il “riformismo radicale” ha sempre avuto significative difficoltà di affermazione, spostando le dinamiche di disposizione del territorio a favore dei gruppi sociali più forti. In altre parole, a differenza delle aree oggetto di valorizzazione e finanziarizzazione della rendita urbana, nei territori marginali «si è assistito a una progressiva stagnazione se non svalutazione del capitale» (p. 15), mettendo in discussione il patto sociale legato al diritto all’abitazione sancito dalla Costituzione Repubblicana. Sicché proposte come quella di una più equa e progressiva imposizione fiscale o la riforma del regime dei suoli, nonché il riequilibrio della disponibilità di dotazioni urbane o la redistribuzione di spesa pubblica a favore delle aree urbane a basso reddito, costituiscono, secondo Alessandro Coppola, Arturo Lanzani e Federico Zanfi, il perno per l’identificazione della cosiddetta “città giusta”[2].
L’approccio territoriale che abbraccia le proposte contenute nel volume poggia infatti sia sullo sfondo di uno scenario di investimenti pubblici capaci di pensare per grandi progetti partendo da quel che c’è, evitando tanto la frammentazione di provvedimenti a pioggia quanto la solitudine di grandi opere, sia sul rilancio e sulla rinnovata centralità del ruolo dello Stato il quale, coniugando le politiche nazionali all’attivazione degli attori locali, potrà costituire l’elemento decisivo per attuare modelli di governance innovativi per l’organizzazione del territorio.
Infine, già nel saggio introduttivo al volume, si fa un esplicito richiamo alla questione della transizione socio-ecologica dell’urbanistica, una responsabilità civile che non può più affidarsi esclusivamente alla mera modernizzazione ecologica, ovvero la decarbonizzazione del modello di sviluppo così com’è attraverso l’innovazione tecnologica, bensì deve puntare ad «una più generale trasformazione dei modelli di vita e di un’equa distribuzione dei costi di tale trasformazione fra i diversi gruppi sociali e territori» (p. 18)[3] attraverso alcuni principali orientamenti: il riconoscimento dell’interdipendenza della varietà di scale e territori; la ricerca di modelli insediativi diversi da quelli attuali in considerazione dell’arresto del consumo di suolo, del ripensamento della mobilità e la rilocalizzazione selettiva di alcuni processi e filiere produttive; la centralità e ridefinizione del lavoro in quanto elemento decisivo per una diversa organizzazione del territorio.
In questa recensione ci si propone di esemplificare l’approccio del volume con riferimento a una delle proposte, dedicata ai quartieri in difficoltà delle aree metropolitane.
Le aree metropolitane
Una questione importante che ha caratterizzato la vita e le prospettive delle aree metropolitane è rappresentata dall’istanza di una significativa rigenerazione ecologica supportata dallo sviluppo di nuove economie per i quartieri fragili. Nelle 14 Città Metropolitane individuate dal legislatore, le condizioni di difficoltà demografica, economico-sociale e materiale nelle quali versano i quartieri periferici sono state ulteriormente accentuate dalla pandemia.
Il capitolo 7 del volume, a cura di Gabriele Pasqui, Alessandro Balducci, Alessandro Coppola, Giovanni Laino e Agostino Petrillo, propone l’azione pubblica come matrice d’intervento per la rigenerazione urbana e ambientale dei “quartieri fragili” posti nelle aree metropolitane, accompagnando a questo processo la creazione di nuovo (e buon) lavoro mediante l’assunzione di giovani, NEET[4] e donne disoccupate o fuoriuscite dal mercato del lavoro nelle aziende che eseguiranno la transizione, in una prospettiva tesa all’empowerment e al miglioramento sostanziale delle condizioni di vita di determinati gruppi sociali.
Tra gli interventi individuati dagli autori nell’ambito della manutenzione straordinaria e in quello della riqualificazione di edifici e spazi pubblici, si propone in particolare: l’efficientamento energetico degli edifici residenziali (pubblici e privati) e degli edifici che ospitano servizi pubblici (scuole, servizi sociali, impianti sportivi); il ridisegno e la manutenzione straordinaria degli spazi e dei servizi pubblici (parchi, attrezzature sportive, aree esterne degli edifici scolastici, spazi multifunzionali) e la rigenerazione di edifici o spazi pubblici abbandonati; il potenziamento delle connessioni internet per residenze, scuole e altri servizi pubblici; il ridisegno di sistemi di raccolta, trattamento e riciclo dei rifiuti con il potenziamento di opportunità locali di trasformazione; la riqualificazione e rifunzionalizzazione del patrimonio residenziale sottoutilizzato e abbandonato al fine del potenziamento dell’offerta abitativa e/o dei servizi.
L’attuazione delle proposte presentate poc’anzi e descritte, per fasi, nel capitolo, è intrinsecamente legata alla definizione di un programma su scala nazionale che metta al centro la cooperazione tra città metropolitane e comuni nella definizione e gestione di ogni progetto attraverso la qualificazione di autorità di gestione identificate nei partenariati locali sulla scorta del modello Local Action Plan, configurato nel programma Urbact e, successivamente, evoluto nel programma Urban Innovative Actions (UIA). Ai partenariati andrà comunque accompagnato un rafforzamento delle “capacità” del personale afferente alle varie istituzioni e degli attori locali coinvolti nei processi e un ruolo proattivo delle università e di alcune grandi imprese pubbliche nazionali, in particolare, per sostenere gli interventi sia sul piano tecnico sia, in parte, sul piano finanziario.
Una conoscenza utilizzabile
Ricomporre i divari è anche un tentativo di riflettere sul possibile ruolo dell’università non solo nella produzione di analisi, ma anche nell’ingaggio concreto nei processi di policy making.
L’ultimo capitolo del volume, a cura di Gabriele Pasqui, è dedicato proprio al ruolo civile dell’università nel produrre una «conoscenza utilizzabile» (p. 377). Il progressivo processo di distaccamento e astrazione delle pratiche di problem solving legate all’elaborazione di politiche pubbliche del territorio ha prodotto nel corso degli anni un mancato coinvolgimento della collettività nei processi di decision making. Tuttavia, come suggerisce Charles Lindblom, una prospettiva tesa al problem setting potrebbe restituire centralità alla discussione pubblica delle decisioni strategiche di carattere urbano mettendo al lavoro «l’intelligenza della democrazia». Questo tema è profondamente legato a quello dei divari territoriali, in quanto «le fragilità dei territori, dei paesaggi, delle ecologie, degli insediamenti umani e della natura, sono strettamente connesse al fare dell’uomo, ai modelli di sviluppo che ci siamo dati e che sempre più mostrano la loro insostenibilità» (p. 378).
In altre parole, secondo l’autore “ricomporre i divari” consiste nel «mettere in discussione un modello di sviluppo a scala nazionale e internazionale, sospendere la fiducia nelle possibilità autoregolative di una formazione economico-sociale, quella del capitalismo globalizzato a trazione finanziaria, che ha sempre più omologato luoghi e spazi» (p. 378) e, in questo senso, il volume ci ricorda che le politiche sono inefficaci se non vengono concepite in chiave territoriale. Per poter ideare politiche realmente “territoriali” risulta necessario sovvertire una cultura dominante, tra le forze sociali e politiche e nelle istituzioni, e offrire ai policy maker e agli stakeholder strumenti in grado di restituire allo stesso tempo efficacia, efficienza e appropriatezza.
Nel suo complesso Ricomporre i divari sottolinea, infine, come vi sia una grande necessità di costruire una piattaforma di lavoro per le istituzioni e gli attori economici e sociali interessati a rompere con equilibri e relazioni di potere consolidate, nel solco di una visione e di una concretezza che staranno insieme solo assumendo la convinzione che il tema delle disuguaglianze sia “la” questione intorno a cui sviluppare conoscenza e ricerca utilizzabile, nella prospettiva di un diverso modello di sviluppo multi-scalare.
[1] Hobsbawm E., Il Secolo Breve 1914-1991: l’era dei cataclismi, Rizzoli, Milano 1995 (trad. it. Lotti B., The Age of Extremes: The Short Twentieth Century, 1914-1991, Pantheon Books-Random House, New York, 1994).
[2] Fainstein S., The Just City, Cornell University Press, Ithaca, NY, 2010; Soja E. Seeking Spatial Justice, University of Minnesota Press, Minneapolis-London 2010; Secchi B., La città dei ricchi e la città dei poveri, Laterza, Roma-Bari 2013.
[3] Rif. Georgescu-Roegen N., Bioeconomia. Verso un’altra economia ecologicamente e socialmente sostenibile, Bollati Boringhieri, Torino 2003; Latour B., Tracciare la rotta. Come orientarsi in politica, Raffaello Cortina, Milano 2018; Barca F., Luongo P. (a cura di), Un futuro più giusto. Rabbia, conflitto e giustizia sociale, il Mulino, Bologna 2020.
[4] Neither in Employment or in Education or Training, ovvero giovani né occupati né in formazione.