La riforma europea del copyright. Intervista a Brando Benifei
- 05 Luglio 2018

La riforma europea del copyright. Intervista a Brando Benifei

Scritto da Raffaele Danna, Francesco Rustichelli

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Oggi a Strasburgo è previsto il voto finale sulla riforma della direttiva copyright, la plenaria del Parlamento Europeo voterà gli oltre duecento emendamenti formulati al testo bocciato il 5 luglio e rimandato appunto a settembre. Attorno alla direttiva è sorta una discussione sempre più accesa: ad attirare le maggiori attenzioni sono in particolare due articoli, definiti dalla stampa – sotto alcuni aspetti impropriamente – link tax (articolo 11) e upload filter, o censorship machine, (articolo 13). Attorno a questi due nodi hanno preso posizione i giganti del mercato digitale, i grandi editori, professionisti del digitale e padri nobili della rete come Sir Tim Berners Lee, creatore del World Wide Web.  L’azione più clamorosa è stata quella intrapresa da Wikipedia, che a luglio ha oscurato tutte le sue pagine per sensibilizzare gli utenti sugli effetti e i rischi della riforma, azione ripetuta anche oggi – in occasione del voto – con l’oscuramento di tutte le immagini del portale.

Ma il provvedimento che viene discusso oggi ha in realtà un lungo iter, durante il quale si è sviluppato un dibattito articolato e una dialettica in merito. Per approfondire la questione riproponiamo l’intervista realizzata il 5 luglio, alla viglia del primo voto che ha dato esito negativo, all’europarlamentare Brando Benifei del gruppo S&D. L’intervista, che affronta i principali punti critici della riforma e alcune delle questioni di fondo che essa solleva, è a cura di Raffaele Danna e Francesco Rustichelli.


La direttiva sulla riforma del copyright è arrivata al voto del Parlamento accompagnata da una discussione sempre più accesa. Ad attirare le maggiori attenzioni sono due articoli, definiti dalla stampa – sotto alcuni aspetti impropriamente – link tax (articolo 11) e upload filter, o censorship machine, (articolo 13). Cosa prevedono questi due punti critici?

Brando Benifei: L’articolo 11 introduce sostanzialmente un’estensione dei diritti di proprietà intellettuale sulle news e sugli articoli linkati che allarga moltissimo il copyright, in una maniera che rende difficile continuare a immaginare una circolazione semplice come è stata fino ad oggi dei link agli articoli o degli snippet su Google News. L’approvazione dell’articolo 11 creerebbe inoltre un obbligo di licenza preventiva per poter linkare articoli protetti da diritto d’autore, peraltro non spiegando esattamente come si dovrebbe strutturare questo sistema di licenze, col rischio che ogni Paese si muova singolarmente in un clima molto vago e con un problema di incertezza legale. Ad oggi non esiste infatti nessun sistema del genere ed il rischio è che, banalmente, si limiti fortemente o si rinunci all’uso di link per evitare di incorrere in contenziosi legali oppure che siano solo le grandi realtà, Facebook o Google, a continuare ad usarli mentre realtà più piccole o startup che sfruttano aggregazioni di news siano costrette a rinunciarvi.

In Spagna, quando a livello nazionale è stato introdotto un regime simile, questa decisione ha portato alla chiusura di Google News. Per quanto riguarda l’aspetto della remunerazione degli autori, nei Paesi dove questa misura è stata applicata, come appunto in Spagna e in misura ridotta in Germania, ci sono dati che dimostrano come il modesto incremento di introiti percepito dagli editori non sia poi ricaduto sugli autori. Il rischio di un diritto di proprietà intellettuale allargato al diritto ancillare del link, non è quindi il divieto di usare collegamenti ipertestuale ma piuttosto quello di creare una sorta di tassazione implicita. Un ulteriore punto critico è quello delle salvaguardie che anche per soggetti non a scopo di lucro sono purtroppo molto labili ed è anche per questo che realtà come Wikipedia, all’apparenza esenti perché appunto non a fini commerciali, rischiano di essere pesantemente colpite a causa dell’incerta struttura legale.

L’articolo 13 è invece quello che pone il problema del filtraggio, introducendo un onere di controllo non successivo, com’è ora, ma preventivo, dei contenuti coperti da copyright, con meccanismi di filtraggio automatici. Si prefigura quindi uno scenario in cui “l’onere della prova” si è ribaltato. Non è più il titolare del copyright a dover dimostrare la violazione del suo diritto ma la verifica spetta, preventivamente, a chi pubblica ogni singolo contributo. In realtà le grandi piattaforme già hanno dei sistemi di filtraggio. Youtube ha un filtro molto sofisticato e costoso che poche altre realtà potrebbero permettersi, mentre l’estensione dell’articolo è molto vasta e soffre della difficoltà di distinguere concretamente tra internet e piattaforma, perché ogni volta che c’è un’azione dell’utente si può definire il contesto in cui avviene come piattaforma. Non è chiaro se una piattaforma si può escludere dalla necessità di un filtraggio. Algoritmi-filtro di questo tipo esistono già e sono diffusi sulle principali piattaforme ma presentano diverse criticità, a cominciare dal ristretto numero di realtà che ne controllano lo sviluppo, per non dire della dubbia affidabilità del loro funzionamento. I filtri che già esistono (ad esempio Youtube Content ID), non funzionano in maniera preventiva e sono abbinati ad un sistema di verifica umana nei casi incerti. Stando alla proposta di riforma si tratterebbe di introdurre filtri preventivi ed automatici. Il problema è che oggi non esiste un’intelligenza artificiale che abbia la capacità di distinguere se un contenuto è usato per fare una citazione o in chiave parodica, ed è difficile quindi immaginare un’azione che non sia in realtà di riduzione del contenuto pubblicato anche quando è legittimo, perché se una piattaforma, per quanto ricca e sofisticata e in grado di contare sui migliori sistemi, non vuole correre un rischio semplicemente non pubblica. Il discorso poi diventa ancora più grave per le realtà minori. Se c’è incertezza, cosa frequente per determinati usi o se ci sono eccezioni (ad esempio i meme, che sono stati anche oggetto di una animata discussione sui social), l’Articolo 13 rischia di risultare poco funzionale e di essere usato involontariamente, o magari volontariamente e con finalità politiche, per forme di censura.

 

I rischi della riforma secondo Brando Benifei

In che modo impatterebbe questa riforma del copyright sulla struttura aperta del web? Sono giustificati i numerosi appelli contrari arrivati da personalità e realtà di spicco della rete a partire da Tim Berners-Lee – il “padre di Internet” – che parla esplicitamente di “una minaccia imminente al futuro della rete globale”?

Brando Benifei: In sintesi, esiste un problema ed era giusto intervenire, ma lo si è fatto attraverso una normativa poco chiara che rischia di creare solo grandi contenziosi legali che solo le maggiori piattaforme come Google e Facebook possono sostenere, mentre gli altri operatori potrebbero essere costretti a chiudere o a mettere in campo strumenti di censura molto forti per paura delle sanzioni. Un ulteriore rischio è quello di dotarsi di un apparato di norme difficile da applicare nel concreto. Detto ciò io non mi sento di aderire ad atteggiamenti apocalittici per cui se domani la riforma dovesse passare sarà la “fine di Internet”. Intanto perché ci sarà un negoziato comunque con gli stati membri e ci sarà la possibilità di lavorare e di correggere i punti maggiormente problematici. Alle criticità che ho evidenziato sopra andrebbe però data risposta.

Cosa si intende con “text and data mining” e quale sarebbe l’impatto della riforma? Esistono potenziali ricadute negative anche nel campo della ricerca?

Brando Benifei: Si intende sostanzialmente il processare grandi quantità di dati mediante schemi che evidenziano associazioni e strutture ricorrenti (pattern) per arrivare all’estrazione di informazioni utili e sfruttabili in molteplici campi scientifici, industriali e nella ricerca medica. Si tratta di un’attività fondamentale nella ricerca così come per le imprese innovative. La capacità di scansione degli algoritmi affiancata al lavoro umano permette infatti di dominare enormi quantità di informazioni e fornisce la capacità di vedere nei dati e nei testi preziosi elementi. Si tratta di tecniche largamente utilizzate nella ricerca scientifica e anche nella gestione dei grandi patrimoni bibliografici, tanto che su questo tema sono le università e biblioteche ad aver posto il problema. Text e data mining così come li conosciamo, nonostante alcune eccezioni inserite nella direttiva, corrono il rischio di esser resi impossibili o per nuovi diritti di proprietà legati all’articolo 11 o per filtraggio di contenuti che non sarebbero più disponibili per l’articolo 13 – oltre al fatto che il punto relativo al text mining è uno dei passaggi più confusi dell’intero testo. Si tratta di un grosso tema, che non va dimenticato e che colgo l’occasione di sottolineare perché spesso si parla solo della questione delle piattaforme e degli editori ma in realtà esiste anche questo aspetto legato al mondo della ricerca e delle grandi biblioteche che appunto si sono mobilitate contro la riforma.

Qual è stato l’iter legislativo che ha portato all’elaborazione di una simile proposta di riforma? Quali forze politiche hanno promosso la direttiva?

Brando Benifei: L’iter legislativo ha visto una discussione in cinque commissioni, IMCO (Mercato interno e protezione dei consumatori), LIBE (Libertà civili, giustizia e affari interni), CULT (Cultura e istruzione), ITRE (Industria, ricerca e energia) e poi la commissione finale competente in merito (la Commissione Giuridica, JURI), responsabile della bozza finale, che è il testo che stiamo esaminando e su cui voteremo. Io voterò per bloccarlo. I testi delle commissioni IMCO e LIBE erano entrambi testi che evidenziavano le criticità degli articoli 11 e 13 e ne attenuavano gli effetti problematici, creando maggiori salvaguardie. Queste modifiche sono purtroppo state abbandonate nel testo finale della commissione JURI e quindi il testo è molto negativo come ho spiegato prima, sia per rischi evidenti sia per l’incertezza dal punto di vista dell’applicabilità. Se il testo non sarà respinto, come invece mi auguro, ci sarà comunque margine per negoziare, non più in Parlamento, ma sarà tra il relatore e gli stati membri. Il relatore parlamentare Axel Voss ha una posizione favorevole al pieno mantenimento del testo attuale ma da parte degli stati membri è prevedibile un atteggiamento più critico che permetterà di riaprire la discussione su alcuni punti per arrivare alla legge finale che richiede l’accordo del Parlamento e degli stati membri in Consiglio. Rimane chiaro che una approvazione oggi del testo limiterà fortemente la possibilità di modifiche.

Le forze politiche sono molto frammentate da sinistra a destra su questo tema, che ha diviso moltissimo perché gli interessi in gioco sono così numerosi e variegati da portare ad una divisione trasversale dei gruppi politici. Allo stesso tempo esiste un elemento generazionale: i parlamentari più giovani sono mediamente più sfavorevoli alla riforma, quelli più anziani più favorevoli, probabilmente anche perché hanno meno dimestichezza con la rete.

 

I mutamenti del mondo della comunicazione

La direttiva nasce dal problema della remunerazione di chi crea contenuti e della sostenibilità del settore editoriale nell’era digitale, ma la soluzione presentata dalla Commissione non sembra adeguata. Ci sono altre proposte in discussione? Quali sono a tuo avviso le più interessanti?

Brando Benifei: Ritengo con sicurezza che il problema della remunerazione, uno degli intenti chiave della direttiva, sia del tutto condivisibile e sarebbe limitato considerare queste norme come una mera difesa di rendite obsolete: rafforzare la possibilità per gli autori, i giornalisti, i creativi e gli editori di avere remunerazioni adeguate a quanto da loro prodotto nell’ecosistema digitale è un obiettivo fondamentale e che credo debba essere largamente sostenuto e condiviso. Quindi una legge che riequilibri il diritto degli autori per ottenere una maggiore remunerazione nell’era della movimentazione e della fruizione dei contenuti e dei dati attraverso la rete va realizzato. Ma abbiamo visto come nel mondo della musica, ad esempio, questo problema sia stato risolto non con un’operazione normativa iper limitante ma con la nascita del fenomeno dello streaming con cui è stato possibile trovare una strada nell’equilibrio tra condivisione e remunerazione. Io sono dell’idea che sia importante avere norme che aiutino un maggiore controllo del diritto d’autore e non lasciare tutto alla libera contrattazione. Sarebbe importante rafforzare per via normativa la posizione negoziale dei detentori dei diritti nei confronti delle piattaforme anche stabilendo limiti e minimi. In Italia esiste il caso di Google e della FIEG – Federazione Italiana Editori Giornali che hanno stabilito accordi in direzione di una maggiore remunerazione.

Il dibattito sulla riforma ha portato alla luce una serie di temi più complessi che riguardano i profondi mutamenti che il mondo della comunicazione e la sfera pubblica in generale stanno affrontando e che coinvolgono i nuovi diritti digitali e il futuro della nostra democrazia, indissolubilmente legato alla nostra capacità di governare e democratizzare le logiche degli algoritmi con cui conviviamo. Come operare sull’evoluzione di questi processi?

Brando Benifei: Il dibattito ha fatto emergere come l’alfabetizzazione sui temi del digitale sia un elemento essenziale di democrazia, nel senso che non capire di cosa si sta parlando comporta il rischio di avere una visione apocalittica o all’estremo opposto un’idea del web totalmente negativa, magari veicolata da forme di produzione dei contenuti molto tradizionali. Il cittadino per avere una capacità di valutazione autonoma e non schiacciata su questi estremi ha bisogno di maturare una capacità di discernimento autonomo che ad oggi è del tutto carente anche su temi chiavi come quello del valore dei dati, del ruolo degli algoritmi, di cosa significhi essere presenti sul web e sulle piattaforme social. Una conoscenza che andrebbe diffusa superando anche l’ottica meramente funzionale, con cui lo si è fatto sinora, ad esempio, nelle scuole, per puntare ad un’ottica ed un approccio integrale che miri alla consapevolezza e alla democratizzazione di questi processi.

Scritto da
Raffaele Danna

Laurea in Filosofia all’Università di Bologna e PhD in History presso la University of Cambridge, Pembroke College. Dopo un periodo presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Istituto di Economia, è attualmente Max Weber Fellow presso lo European University Institute, Faculty of History.

Scritto da
Francesco Rustichelli

Segretario di redazione di «Pandora Rivista». Laureato in Storia contemporanea all’Università di Bologna.

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