“Romanticismo politico” di Carl Schmitt, a cura di Carlo Galli
- 25 Maggio 2021

“Romanticismo politico” di Carl Schmitt, a cura di Carlo Galli

Recensione a: Carl Schmitt, Romanticismo politico, a cura di Carlo Galli, il Mulino, Bologna 2021, pp. 248, 23 euro (scheda libro)

Scritto da Lorenzo Mesini

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Con Romanticismo politico prosegue la pubblicazione presso il Mulino delle opere di Carl Schmitt a cura di Carlo Galli. La presente edizione offre al pubblico italiano la possibilità di leggere il libro del giovane Schmitt sul romanticismo in una nuova traduzione. La prima edizione italiana, curata dallo stesso Galli esattamente quarant’anni fa, era ormai di difficile reperibilità sul mercato (Giuffrè, 1981). Il presente volume è arricchito da una nuova introduzione del curatore che consente di apprezzare la ricchezza e lo spessore teorico dell’opera e al tempo stesso il lungo percorso scientifico seguito dal curatore, che ha scritto pagine definitive sul giurista tedesco. Attraverso una traduzione più letterale e un saggio introduttivo all’altezza delle più recenti acquisizioni storiografiche la presente edizione mette nuovamente a disposizione degli specialisti e del pubblico colto una delle principali opere di Schmitt.

La prima edizione tedesca del libro – coeva al Tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler e alle Considerazioni di un impolitico di Thomas Mann – vide la luce a Monaco nei primi mesi del 1919, sullo sfondo del collasso del Reich guglielmino e della nascita travagliata della Repubblica di Weimar. Scritto tra il 1917 e il 1918, quando le prospettive di un esito catastrofico della guerra per la Germania non si erano ancora concretizzate, Romanticismo politico rappresenta un libro di grande rilievo teorico, oggetto di numerose polemiche e dibattiti. Il libro occupa una posizione peculiare nella parabola intellettuale dell’autore: da un lato conclude la fase giovanile della sua produzione, dall’altro introduce i temi principali presenti nelle opere che inaugurano la fase più ricca e originale del suo percorso negli anni Venti: La dittatura (1921), Teologia politica (1922) e La condizione storico-spirituale dell’odierno parlamentarismo (1923). Nella seconda edizione tedesca, pubblicata nel settembre 1924 con una nuova premessa, Schmitt stesso collega le tesi del libro all’interpretazione generale del liberalismo e della politica in epoca moderna sviluppata negli anni precedenti. Attraverso il confronto con il romanticismo – componente fondamentale e riserva di senso dell’identità culturale tedesca – Schmitt elabora una interpretazione del fenomeno letterario e intellettuale alla luce del rapporto dialettico tra razionalismo e irrazionalismo e del rapporto tra estetica e politica in età moderna.

Prima ancora che una categoria estetica o la definizione di una corrente letteraria, il romanticismo chiama in causa per Schmitt il problema della costituzione del soggetto moderno e il suo rapporto con l’oggettività. Quella fornita dal giurista è una interpretazione filosofica del romanticismo attraverso le categorie filosofiche di mediazione e immediatezza, soggetto e oggetto, esperienza vissuta e forma. Ne ripercorriamo brevemente i tratti fondamentali. Rovesciando il punto di vista delle numerose letture – spesso divergenti – focalizzate sull’oggetto della poesia romantica Schmitt rivolge l’attenzione al soggetto romantico e al suo particolare rapporto con il mondo. L’analisi del giurista – incentrata sulla figura di Adam Müller e in misura minore di Schlegel e Novalis – è rivolta a definire la «struttura dello spirito romantico» e «la peculiarità decisiva di un atteggiamento politico realmente praticato». Schmitt sottrae la propria interpretazione alle contrapposizione tra le coppie rivoluzione/controrivoluzione, classicismo/irrazionalismo sentimentale, individuo/collettività per collocare il romanticismo all’interno della struttura metafisica dell’epoca moderna quale processo di secolarizzazione. Il romanticismo è definito «occasionalismo soggettivo» per qualificare la specifica attività del soggetto romantico come continua costruzione di un universo soggettivo di natura estetica ed emozionale, attraverso il libero assemblaggio di materiali presi in prestito dai diversi ambiti della realtà. Il soggetto romantico intrattiene un rapporto occasionalistico con il mondo: tutto diventa scambiabile con tutto, ogni oggetto è l’occasione per infinite ed equivoche connessioni, il punto di fuga verso mondi infiniti. La prassi del soggetto romantico si traduce dunque per Schmitt nella produzione di uno spettacolo estetico a disposizione del consumo privato da parte del soggetto.

Al riguardo Schmitt sottolinea l’incapacità del soggetto di rapportarsi in maniera produttiva alla realtà del suo tempo, di distinguerne gli ambiti concreti (la politica, l’economia) e i nuovi protagonisti (la nazione, l’umanità, la storia). Schmitt attribuisce al romanticismo la perdita di contatto efficace con l’oggetto, il venir meno della consistenza della realtà sociale, l’estetizzazione completa dell’esperienza, la trasformazione della causalità in possibilità indistinta e occasionalità soggettivistica. I romantici possono così assumere le più disparate posizioni politiche (dall’entusiasmo per la rivoluzione francese al sostegno per la Restaurazione) dal momento che queste saranno sempre il frutto di scelte occasionali, punti di partenza per la libera creatività del soggetto. L’intellettuale romantico può romanticizzare ogni genere di idea politica: idee monarchiche o democratiche, conservatrici o rivoluzionarie. L’esito concreto di questo approccio è la passività dell’intellettuale romantico, la rinuncia alla trasformazione del mondo. «Ogni forma di romanticismo – rileva Schmitt – è al servizio di altre energie non romantiche, e la sua sublime superiorità rispetto alle definizioni e alle decisioni si rovescia in un accompagnamento servile di forze e decisioni romantiche». Al romanticismo Schmitt imputata in ultima istanza l’incapacità di pensare la politica (di cui ignora la consistenza e le contraddizioni epocali) e di agire politicamente attraverso l’assunzione di decisioni efficaci e la produzione di ordine. In quest’ottica il giurista avanza la tesi secondo cui «esiste un romanticismo politico tanto poco quanto una liricità politica».

Alla dimensione filosofica del libro è strettamente connesso il suo marcato afflato polemico verso il romanticismo storico e verso l’irrazionalismo dell’epoca. Schmitt distingue il romanticismo tanto dal pensiero conservatore tedesco (Gentz, Haller) quanto da quello dei controrivoluzionari (Burke, De Maistre, Bonald, Donoso Cortes) e istituisce invece un collegamento tra romanticismo e liberalismo. Il romanticismo condivide con la borghesia la fede moderna nel soggetto libero quale origine dell’ordine politico. L’«eterno dialogo» e il «verbalismo privo di prospettive» accomunano per Schmitt tanto il romanticismo quanto la fede liberale nel parlamentarismo. Attraverso il romanticismo Schmitt identifica quelli che a suo giudizio costituiscono i limiti costitutivi del liberalismo e la miseria della borghesia tedesca che ad esso si ispira, incapace di costituirsi come un autentico soggetto politico dopo la Rivoluzione francese e la Restaurazione nel processo di unificazione nazionale della Germania.

A scontare i limiti del romanticismo non sono solo il liberalismo borghese e la sinistra democratica tedesca ma anche l’anarchismo di sinistra (Eisner, Toller, Mühsam) e l’irrazionalismo di destra (Othmar Spann) contemporanei a Schmitt. Al riguardo giova ricordare che Romanticismo politico venne pubblicato in corrispondenza delle agitazioni politiche che accompagnarono la fine del Reich guglielmino, in particolare la breve vita dell’anarchica Repubblica dei Consigli a Monaco, soffocata nel sangue dopo poche settimane di vita. Sotto questo aspetto specifico il giudizio negativo di Schmitt converge con quello espresso negli stessi anni da Max Weber nelle sue conferenze di Monaco e in Parlamento e governo in merito al «carnevale della rivoluzione» e all’incapacità dei letterati tedeschi di comprendere le reali forze motrici della storia e della politica contemporanea. Come ha riconosciuto Lukács nella sua recensione (1927) e successivamente nella Distruzione della ragione (1954) il libro di Schmitt costituiva un serio tentativo di elaborare un pensiero di destra che fosse all’altezza delle sfide degli anni Venti. Nel complesso la portata polemica delle tesi avanzate in Romanticismo politico testimoniano la maturità intellettuale raggiunta dal suo autore – all’epoca trentenne – capace non solo di confrontarsi criticamente con una delle componenti fondamentali della cultura nazionale ma anche di elaborare un’analisi critica del presente all’altezza dei settori più avanzati e radicali della filosofia in lingua tedesca dell’epoca, come Heidegger e Lukács.

È opportuno infine richiamare l’attenzione sui tratti innovativi presenti nell’introduzione di Carlo Galli, che arricchisce questa nuova edizione di Romanticismo politico. Ne menzioniamo due in particolare. Il primo è rappresentato dal confronto tra l’interpretazione del romanticismo fornita da Walter Benjamin e Schmitt, cui Galli dedica ampio spazio. Sulla scia dell’interesse suscitato in ambito internazionale da Giorgio Agamben sul rapporto tra i due filosofi, Galli si sofferma con precisione concettuale e rigore storico sulle ragioni, sul significato teorico e sulla effettiva consistenza del rapporto tra Benjamin e Schmitt, illustrando il carattere radicale e alternativo delle due interpretazioni metafisiche del romanticismo. Il secondo elemento è rappresentato dal rilievo conclusivo circa l’attualità del libro di Schmitt, un secolo dopo la sua pubblicazione. Per Galli Romanticismo politico non rappresenta solo una brillante prova intellettuale e un documento della storia del pensiero politico tedesco nel Novecento ma fornisce un contributo importante per porre la questione della costituzione del soggetto «con il suo preteso protagonismo e con la sua reale subalternità» nell’attuale società dominata dalla realtà virtuale. Il libro di Schmitt non ha perso la sua attualità dal momento che, come sottolinea Galli, il romanticismo rappresenta una tentazione e un rischio sempre presente per chiunque si collochi, consapevolmente o meno, all’interno dell’orizzonte filosofico della Modernità, Schmitt compreso. Il curatore sottolinea opportunamente che quello che unisce Schmitt al romanticismo non è un rapporto lineare, di semplice contrapposizione bensì anche di affinità strutturale – come aveva indicato Karl Löwith nel 1935 – poiché lo stesso decisionismo schmittiano è accomunato dall’assenza di fondamenti e al nichilismo che è proprio del romanticismo e come questo si espone al rischio dell’indeterminatezza e dell’indifferenza verso la realtà, rendendosi strumento di potenze estranee.

Scritto da
Lorenzo Mesini

Ph.D. Ha conseguito la Laurea magistrale in Scienze filosofiche presso l’Università di Bologna, dove è stato Allievo del Collegio Superiore. In seguito ha conseguito il Perfezionamento in Filosofia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, occupandosi di storia delle dottrine politiche. Scrive su diverse riviste cartacee e online.

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