Rouhani: desideri e paure di un Iran nuovo
- 26 Maggio 2017

Rouhani: desideri e paure di un Iran nuovo

Scritto da Gabriele Sirtori

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Rouhani tra politica estera e politica interna

Quando in America quest’uomo nuovo ha iniziato il suo lavoro, nei think thank hanno pensato: ‘ora [per l’Iran] è pronta una nuova tenaglia, non è come quella vecchia. Un braccio è già pronto, l’altro arriverà alle prossime elezioni.’ Ma vi siete sbagliati. Non abbiamo tenaglie in Iran!”[4]

È stata la politica estera ad assicurare più di ogni altra cosa la vittoria di Rouhani. Le sanzioni sotto Ahmadinejad sono state un’esperienza provante per l’elettorato iraniano: i prezzi dei medicinali alle stelle, un’altissima inflazione, l’impossibilità per lo Stato di fare cassa vendendo il proprio greggio all’estero. Il fronte di Rouhani durante i dibattiti della campagna elettorale ha parlato sempre, e sono stati gli unici a farlo, di moderazione, di dialogo. Il punto più forte è stato il successo del team del governo Rouhani ai negoziati per il programma nucleare iraniano. Grazie a lui, come ha affermato più di una volta, l’Iran non è più un paria della comunità internazionale, e molte delle sanzioni sono state sollevate.

“Na be baz-gasht!” “#barnemigardim!” “Non vogliamo tornare indietro!” questi sono stati gli hashtag e gli slogan più usati dai supporter di Rouhani. Erano presenti anche in molti striscioni e cartelli in piazza a Mashhad quel giorno. La paura maggiore che ha guidato queste elezioni è stata quella di tornare ad una politica estera radicale come quella di Ahmadinejad, dettata da toni aspri contro Israele, contro gli Stati Uniti, contro l’Arabia Saudita. “Una scelta sbagliata significa la guerra” ha detto Rouhani in apertura del suo discorso. A questo si riferiva con la metafora della tenaglia: da un lato l’ostilità dichiarata di Trump con le sue minacce di reintrodurre sanzioni e con la sua nuova armonia con Riad, dall’altra un possibile nuovo presidente dell’Iran ultra-radicale che risponda colpo su colpo alle provocazioni. Il popolo iraniano, nel mezzo di questa morsa, ne sarebbe l’unica vittima. La parola moderazione è stata la chiave della vittoria.

Politica interna

Rivolgendosi ai sostenitori del suo sfidante Raisi, ad un certo punto del suo discorso Rouhani ha detto:

“Tutta Mashhad era nelle vostre mani. È ancora nelle vostre mani. Va bene che avete avuto dei problemi con dei ragazzini giovani, ma che problemi avete con Ferdowsi? Perché avete cancellato le poesie di Ferdowsi? Voi avete detto al popolo di Mashhad: ‘ se vi piace l’arte, se volete partecipare a manifestazioni artistiche, andatevene da Mashhad!’ Ora che volete prendervi l’Iran, cosa direte al popolo? ‘Andatevene dall’Iran’?”[5]

Gran parte del clero al potere in Iran è ancora legato a posizioni ultra-radicali a proposito all’arte occidentale e dell’importanza di non lasciare decadere i buoni costumi. Un certo tipo di musica, i concerti, l’arte figurativa, non sono tradizioni islamiche e pertanto dovrebbero essere ostacolate, specialmente in una “città santa” come Mashhad. Questo è quanto detto alcuni anni fa da un importante esponente del clero cittadino, molto vicino a Raisi e parte dello schieramento dei principalisti, Ahmad Alam-ol-Hoda. Il suo invito è stato preso alla lettera. Sebbene le autorità cittadine più volte abbiano dato l’autorizzazione a eventi musicali in città, questi sono stati sempre bloccati da esponenti del clero e da sostenitori dei radicali conservatori. Questi si sono spinti fino a cancellare diversi murales con tema le gesta degli eroi pre-islamici dell’Iran cantati dal poeta nazionale Ferdowsi. “Collidono con l’islamicità e la sacralità del posto”, questa la motivazione[6].

Gli Iraniani sono stanchi di queste prese di posizione ultra-radicali. Gran parte dell’elettorato oggi è nata dopo la rivoluzione[7]. È ai giovani che Rouhani si è rivolto più spesso. Questi non hanno vissuto il tempo dello Shah, erano troppo piccoli durante gli anni di Khomeini, non capiscono il perché di posizioni troppo rigorose. Il loro desiderio è quello di vivere in una normalità comune ai giovani degli altri paesi del Medio Oriente e del mondo. Sono circa 300mila[8] gli studenti iraniani in questo momento all’estero. Sono questi ragazzi che stanno portando un nuovo vento di riforme e di cambiamento nel Paese.

Fa uno strano effetto vedere tanti palloncini verdi tra i sostenitori di Rouhani, accanto al viola – colore ufficiale della sua campagna elettorale. Il verde è un colore simbolo della riforma in Iran. È il colore del movimento verde, il movimento di Khatami e Karroubi, i due maggiori esponenti della lotta riformista per i diritti civili e per il progresso e l’uguaglianza sociale nel Paese. Ad oggi sono ufficialmente estromessi da qualsiasi partecipazione ad attività politiche ma grazie a Instragram e ai loro canali Telegram sono riusciti a dichiarare il loro endorsement nei confronti di Rouhani, spostando una fetta considerevole degli indecisi. Molti vedevano infatti in lui un candidato non del tutto desiderabile. Le accuse erano di essersi eccessivamente occupato di politica estera, di banche, di investimenti per le grandi industrie, dimenticandosi del tema dei diritti e delle condizioni delle fasce più povere del Paese. Nonostante questo l’alternativa non lasciava spazio a dubbi: votare Raisi avrebbe significato un salto indietro di 20 anni.

Attaccando lo strapotere dei religiosi a Mashhad, e cercando di aprirsi al voto dei più riformisti Rouhani ha detto:

“Pensano che il controllo della regione sia solo nelle loro mani. Ma noi abbiamo un solo governo, una sola guida suprema, una sola costituzione. Non vogliamo una guida suprema per ogni città! Voi avete tutte le risorse economiche, vi siete presi tutte le istituzioni di Mashhad, ma cosa avete fatto finora per gli emarginati?”[9].

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Scritto da
Gabriele Sirtori

Nato a Lecco nel 1996, studente di arabo e persiano, ha passato gli ultimi 3 anni tra Iran, Egitto, Libano, Kurdistan (iraniano) e il Veneto. Ha seguito corsi presso l'Università Ferdowsi di Mashhad, Iran. È studente del terzo anno presso l'Università Ca Foscari di Venezia.

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