Scritto da Gabriele Sirtori
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La cosa che più di tutte ha colpito in queste elezioni è stata la grande affluenza alle urne. Le procedure di voto in Iran sono molto lunghe comparate ad altri paesi, la coda per andare a votare in città come Tehran ha spesso superato le 4 ore. Nonostante questo, il 73% degli iraniani ha votato e grande è stata anche l’affluenza dall’estero. La chiusura delle urne è stata posticipata di 6 ore e i voti giunti dagli Stati Uniti sono stati quasi 30’000 contro i circa 6’500 del 2013[10].
“È segno di un Paese che si sta normalizzando” mi spiega Farahmand Alipour, giornalista iraniano legato al movimento verde di Karroubi, ora rifugiato politico in Italia. “Il regime islamico è ancora giovane, ha solo 40 anni ed è naturale che ci siano ancora delle posizioni radicali e ultra-conservatrici legate ai temi in campo durante gli anni della Rivoluzione. I tempi però stanno cambiando. Molti sono i giovani che con questi atteggiamenti non hanno più nulla a che fare, che danno per scontata l’esistenza di questo regime. Molti sono i politici che hanno abbandonato posizioni più ideologizzate per passare nel campo dei riformisti. Anche sul piano estero la Repubblica Islamica non è più un attore isolato. La lotta per il progresso della Nazione e per i diritti civili oggi si fa all’interno delle istituzioni di questo regime, con le elezioni e votando per i più riformisti. Il sistema in Iran non è così antidemocratico come dicono.”
Quello che ci si aspetta di vedere nei prossimi 4 anni è quindi un governo sotto il segno della moderazione dei toni, di una politica meno idealista e più legata alla real Politik. “Tecnocrati col turbante” è stata definita la nuova classe dirigente iraniana, sempre meno legata al radicalismo islamico, e più interessata allo sviluppo e all’apertura dell’economia del Paese.
Criticando i legami tra esercito, religione e potere politico ancora in atto, Rouhani ha detto, chiudendo il suo discorso:
“Non abbiamo nulla contro i soldati, non abbiamo nulla contro l’esercito, ma ognuno stia al suo posto”[11] e poco dopo ha aggiunto “Noi dall’Imam Reza ci andiamo per chiedere guarigioni, non per vincere le elezioni[12]”.
[1]Fonte: https://en.wikipedia.org/wiki/Astan_Quds_Razavi. In uno studio del 2004 la Hoover Institution stimava il valore del suo patrimonio in 15mld$ http://www.hoover.org/research/order-out-chaos
[2]La fondazione pia, di proprietà per il 51% dello Stato, è anche uno strumento di politica estera. Lo studio della Hoover Institution sopra citato la riporta come un possibile strumento usato per gestire i rapporti economi con l’Afghanistan.
[3]https://en.wikipedia.org/wiki/Iranian_presidential_election,_2017
[4]Video, min. 0:09
[5]Video, min. 0:32
[6]Citando questo avvenimento Rouhani strizza l’occhio al discorso nazionalista iraniano, ancora molto sentito. I nazionalisti vedono il passato preislamico, l’epoca di Dario e Serse in particolare, come il momento di maggior sviluppo e prestigio mondiale per l’Iran, annullato da una pausa di secoli di oscurantismo islamico, da cui lo Stato lentamente si sta risollevando. Vedi: M. Tavakoli-Targhi, Refashioning Iran, 2001.
[7]Pejman Abdolmohammadi, The Revival of Nationalism and Secularism in Modern Iran, LSE Middle East Centre Paper Series, nov 2015
[8]Fonte: ministero dell’istruzione iraniano. http://www.payvand.com/news/
[9]Video, minuto 1:20
[10]http://www.eghtesadnews.com/
[11]Video, minuto 2:02
[12]Video, minuto 2:56