Scritto da Adriano Cozzolino
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Recensione a: Colin Crouch, Salviamo il capitalismo da se stesso, il Mulino, Bologna 2018, pp.122, 12 euro (scheda libro).
Salviamo il capitalismo da se stesso[1],ultimo libro di Colin Crouch, si inserisce in un percorso di ricerca che l’Autore inglese conduce ormai da diverse decadi e che potrebbe essere sintetizzato attorno ad una questione fondamentale: il nesso tra democrazia rappresentativo-liberale e capitalismo. O, per guardare la questione da un’altra prospettiva, come il capitalismo, nella sua forma neoliberale, abbia minato le fondamenta della democrazia rappresentativa come configuratasi socialmente e politicamente all’indomani della Seconda Guerra Mondiale.[2]
Il testo, in forma di pamphlet, è organizzato in tre capitoli che trattano, rispettivamente, la critica al neoliberismo (I); gli elementi positivi rintracciabili nell’ideologia e nelle politiche neoliberali (II); le prospettive di riforma del capitalismo neoliberale (III). Partendo da quest’ultimo capitolo, centrale per importanza, la tesi fondamentale del testo è che il capitalismo neoliberale può – e deve – essere riformato, e che solo un processo riformatore salverà il capitalismo dalle due tendenze che rischiano di minare irreversibilmente sia l’economia di mercato capitalista che la democrazia rappresentativa (dimensioni che il testo mira a recuperare): le disuguaglianze e l’ascesa dei movimenti nazionalisti e xenofobi. Come salvare, dunque, il capitalismo da se stesso?
Crouch non delinea una strategia politica dettagliata e/o una serie di interventi ad ampio raggio, ma presenta alcune indicazioni, e un’ipotesi, che possono indicare la via per la difficile riforma del capitalismo. Le indicazioni, articolate nel paragrafo finale del pamphlet, sono due. La prima, come argine alle numerose esternalità negative dell’economia di mercato deregolamentata, è la necessità di fondare «istituzioni in grado di affrontare le esternalità più gravi e fornire i beni pubblici più importanti» (p. 98) – istituzioni necessariamente di carattere pubblico.
La seconda indicazione fornita da Crouch è di natura spaziale: le uniche istituzioni in grado di ridefinire i fondamenti della società neoliberale non possono che essere sovranazionali. Posizionandosi nel dibattito sul ruolo dello Stato, e sulla possibilità di articolare forme di politica progressiva tramite lo Stato, Crouch afferma in modo chiaro che «Solo un governo transnazionale piò affrontare questo tipo di problemi […] le istituzioni capaci di svolgere un ruolo del genere non mancano: l’Unione Europea, l’OCSE, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, l’Organizzazione mondiale del commercio e l’Organizzazione internazionale del lavoro» (p. 101).
Per quanto riguarda gli attori capaci di promuovere azioni incisive di riforma del capitalismo neoliberale, anche in tal caso Crouch si muove su un piano generale (se non addirittura generico), avanzando l’ipotesi che gruppi strategici nel processo di riforma del neoliberalismo potrebbero essere proprio le grandi imprese multinazionali, strette di fronte alla doppia minaccia della disuguaglianza e del nazionalismo xenofobo (p. 57). Così, a mezza via tra ipotesi e speranza, il neoliberismo potrà essere riformato «solo se e quando i principali gruppi di interesse del capitalismo mondiale capiranno che flirtare con le forze xenofobe significa mettere a rischio i propri interessi di lungo periodo» (p. 103-104).
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Indice dell’articolo
Pagina corrente: Salvare il capitalismo da se stesso? Una lettura critica dell’ultimo libro di Colin Crouch
Pagina 2: La lettura del neoliberismo di Colin Crouch
Pagina 3: Il futuro del capitalismo
[1] Edizione originale: Can neoliberalism can be saved from itself?, London: Social Europe Edition, 2017.
[2] Si vedano, in tal senso, il fortunato Post-democrazia (2004), Quanto capitalismo può sopportare la società? (2014a), o, sulle ragioni della resilienza del neo-liberismo, Il potere dei giganti. Perché la crisi non ha sconfitto il neoliberismo (2014b).
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