Scritto da Gianluca Piovani
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Il titolo del primo capitolo del fiscal monitor dell’aprile 2018 del Fondo Monetario Internazionale[1] (d’ora in avanti FMI) è «saving for a rainy day», ovvero «risparmiando per un giorno di pioggia». Tale titolo esprime il principio di buon senso secondo cui nei periodi buoni è bene risparmiare/accumulare in vista di quelli cattivi. L’FMI rileva quindi che, poiché attualmente stiamo attraversando un ciclo economico positivo, sarebbe bene risparmiare. Al contrario nei periodi buoni la tentazione è quella di non preoccuparsi di possibili difficoltà future e, per quanto banale, ciò è quanto sta accadendo attualmente in molti paesi del mondo.
In base al World Economic Outlook dell’FMI di Gennaio 2018[2], la crescita del PIL mondiale è stata del 3.2% nel 2016, del 3.7% nel 2017 e dovrebbe attestarsi al 3.9% sia per il 2018 che per il 2019. Una crescita mondiale del 3.9% è un buon valore. Ciò che preoccupa d’altra parte è la lunghezza del ciclo finanziario economico positivo che l’ha sostenuta. A partire dal 2008 le banche centrali di tutto il mondo hanno posto in essere misure espansive per combattere la crisi economica: in diverse aree geografiche i tassi d’interesse ufficiali sono stati portati a 0 o addirittura sono divenuti negativi mentre contemporaneamente sono stati massicciamente acquistati titoli pubblici per iniettare nuovo denaro nell’economia e sostenere il credito.
La politica monetaria espansiva delle banche centrali è stata decisiva per evitare che la crisi si prolungasse nel tempo, ma ha creato alcuni squilibri finanziari. I tassi di interesse calanti hanno causato rialzi nei mercati obbligazionari così come sono stati alla base di uno dei cicli positivi più lunghi della storia del mercato azionario, i cui valori attuali possono essere considerati molto elevati.
Il progressivo rialzarsi del livello dell’inflazione sta ora, al contrario, costringendo le banche centrali di vari paesi sviluppati[3] ad iniziare la riduzione delle misure di stimolo prima, e a mettere in atto misure di normalizzazione poi (ovvero misure restrittive per riassorbire l’eccessiva liquidità in circolo). Questo scenario mette a rischio la stabilità finanziaria a livello globale e rende probabile l’avvicinarsi di picchi di volatilità, ovvero di tensioni sul mercato che possono causare forti oscillazioni nei prezzi.
Ciò che preoccupa sono le eventuali oscillazioni a ribasso, in altre parole i cosiddetti crolli e le crisi di borsa. Non a caso il Global Financial Stability Report di aprile dell’FMI[4] mette in guardia contro possibili prossimi shock finanziari.
Cicli economici, crisi finanziarie ed economia reale
Un possibile deterioramento delle condizioni finanziarie a livello globale possiede vari canali di trasmissione verso l’economia reale. Di seguito se ne elencano alcuni: la diminuzione dei prezzi di borsa causa un contestuale impoverimento di coloro che vi hanno investito; l’aumento dei tassi di interesse causa un deterioramento della posizione finanziaria dei debitori. Questo può portare a un aumento dei default dei debitori (a causa dei maggiori oneri sul debito), il che può a sua volta intaccare la salute del sistema bancario; eventuali crolli dei prezzi delle commodity possono mettere in crisi i paesi produttori di materie prime. Di conseguenza, un deterioramento della situazione finanziaria causerebbe un periodo di difficoltà economica anche da un punto di vista reale con una conseguente decrescita di PIL e occupazione. Una crisi finanziaria, tuttavia, non necessariamente porta a crisi economiche gravi, ma può alternativamente essere un fenomeno passeggero oppure aggravarsi, dando seguito ad una vera e propria fase di depressione (come nel 1929 o nel post-2007).
Ciò che può portare ad un aggravarsi o meno della situazione economica è la risposta che a questa viene data dalle autorità. La crisi del 1929 si è trasformata in una prolungata depressione perché la risposta data dalle autorità del tempo fu fallimentare. In un periodo di difficoltà economica il PIL flette mentre le spese degli stati tendono a mantenersi stabili oppure ad aumentare (ad esempio aumentano le indennità di disoccupazione). Di conseguenza si ha un pericoloso aumento del rapporto debito/PIL e ne diviene dubbia la sostenibilità: ciò portò i governi del ’29 a fare sacrifici in termini di spesa pubblica e a tagliarla nel tentativo di risparmiare. La stretta a livello globale della spesa degli stati ebbe effetti economici depressivi e causò un ulteriore avvitamento della recessione che si prolungò per anni. La lezione che si trasse dalla crisi del 1929 fu che nei periodi di recessione gli stati dovrebbero aumentare la spesa pubblica e le banche centrali dovrebbero stampare denaro per tentare di rilanciare un’economia altrimenti in crisi.
Quanto sopra è possibile solamente qualora all’inizio di una eventuale crisi uno stato abbia un valore di rapporto debito/PIL basso. Nel caso invece il debito/PIL sia alto, è difficile aumentarlo in periodi di crisi economica poiché raramente si trova qualcuno disposto a prestare nuove risorse finanziarie il cui costo diviene quindi proibitivo in termini di tassi di interesse. Un rapporto debito/PIL alto potrebbe quindi rendere gli stati impotenti davanti ad una eventuale prossima crisi economica. Si noti inoltre che, come spiegato in precedenza, attualmente le banche centrali stanno ritirando le misure espansive messe in atto per contrastare la crisi del 2008 e di conseguenza non sarebbe possibile nemmeno utilizzare la leva della politica monetaria. In queste condizioni il rischio che si possa avere una crisi economica aumenta.
Contesto economico attuale
Il Fiscal Monitor dell’FMI di Aprile non fornisce dati incoraggianti riguardo la situazione debitoria degli stati a livello mondiale:
Nei paesi sviluppati (primo grafico) il debito è ad un livello inferiore solamente alla situazione durante la seconda guerra mondiale. L’FMI rileva come il livello dell’indebitamento pubblico globale abbia raggiunto i 164 mila miliardi di dollari, pari al 225% del PIL e maggiore di ben 12 punti rispetto ai livelli del 2008. Le previsioni riguardo l’andamento di questo debito sono mostrate nell’area grigia dei grafici sopra: per i paesi sviluppati il debito è previsto diminuire leggermente nei prossimi anni ma, come spiegato nel paper dell’FMI, ciò sarebbe principalmente dovuto alle previsioni di inflazione crescente ed in misura inferiore, invece, a politiche fiscali prudenti. Le previsioni fornite dall’FMI sono riferite ad uno scenario economico “stabile”, ovvero uno scenario base senza crisi. Nel caso di crisi economica, la diminuzione del PIL globale ed un possibile scenario deflattivo potrebbero avere effetti negativi considerevoli sulla dinamica del debito degli stati, causandone un aumento invece che una diminuzione.
Le considerazioni dell’FMI suonano inattuali se comparate alle agende fiscali in essere in alcuni stati. Consideriamo il caso statunitense e italiano. Negli USA Trump ha approvato una riforma fiscale che comporta una diminuzione delle tasse e quindi un aumento del deficit e del rapporto debito/PIL. Similmente in Italia la campagna elettorale è stata dominata dal dibattito tra riduzione delle tasse tramite una flat tax e l’introduzione di un reddito minimo di cittadinanza. La tabella che segue mostra le previsioni formulate dall’FMI riguardanti i debiti pubblici dei principali paesi del mondo, da cui non risulta una forte intenzione ad affrontare l’eccesso di debito pubblico accumulato durante la crisi:
La teoria suggerisce che questa fase di espansione dovrebbe essere utilizzata per mettere in atto politiche economiche non necessariamente restrittive, ma quanto meno neutrali e in ogni caso non espansive. Ciò nell’intento, come suggerisce l’FMI, di risparmiare in vista dei giorni di pioggia: a che pro stimolare ulteriormente un’economia già in espansione? Misure economiche espansive applicate ad un ciclo già in espansione rischiano inoltre di gonfiare bolle speculative o di surriscaldare l’inflazione. Queste considerazioni fanno trasparire preoccupazione dai report dell’FMI per la possibilità di crisi economiche future.
[1]http://www.imf.org/en/Publications/FM/Issues/2018/04/06/fiscal-monitor-april-2018
[2]https://www.imf.org/en/Publications/WEO/Issues/2018/01/11/world-economic-outlook-update-january-2018
[3]Mentre negli USA la FED ha già interrotto le operazioni di QE ed iniziato a rialzare i tassi, in Europa la BCE sta gradualmente riducendo gli acquisti di titoli di stato
[4]http://www.imf.org/en/Publications/GFSR/Issues/2018/04/02/Global-Financial-Stability-Report-April-2018