“Romanzo di uno scandalo. La Banca Romana tra finzione e realtà” di Clotilde Bertoni
- 15 Maggio 2018

“Romanzo di uno scandalo. La Banca Romana tra finzione e realtà” di Clotilde Bertoni

Recensione a: Clotilde Bertoni, Romanzo di uno scandalo. La Banca Romana tra finzione e realtà, il Mulino, Bologna 2018, pp. 384, 29 euro (scheda libro)

Scritto da Jaka Makuc

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Il passaggio dall’Ottocento al Novecento è da sempre oggetto problematico per la storiografia europea; in particolare, come dimostra l’opera dello stesso Eric Hobsbawm, una delle difficoltà maggiori si palesa quando si tenta di rinvenire una soluzione di continuità tra i due secoli. È noto che la prospettiva delineata da Hobsbawm scarta questa ipotesi a favore di una cesura epocale tra il lungo XIX secolo e il breve XX.

Il saggio di Clotilde Bertoni (Università di Palermo) approfondisce, seppur circoscrivendola, la questione: lo scandalo che involge la Banca Romana (sono gli ultimi anni dell’Ottocento) diviene infatti l’occasione da un lato per interrogarsi sulla compattezza istituzionale dell’Italia a meno di cinquant’anni dall’unificazione; dall’altro, di confrontarsi con la prima grande crisi bancaria della storia del Paese. È evidente come il tema in questione travalichi la contingenza storica per assumere invece un profilo di tipicità, che trova, forse oggi persino più d’allora, diritto d’esistenza. Per tale ragione, le dinamiche che scandiscono la vicenda della Banca Romana sono certamente in larga misura riconducibili a logiche ottocentesche e, per certi aspetti, squisitamente risorgimentali, ma è impossibile non scorgervi i prodromi di quel nuovo modo di intendere il rapporto tra politica e opinione pubblica che caratterizzerà il primo Novecento italiano (e, seppur in modalità diverse, anche la contemporaneità).

Il titolo Romanzo di uno scandalo non va inteso come una rievocazione impressionistica di atmosfere da feuilleton realistico; al contrario, esso risulta pertinente all’articolazione interna del testo e al modo di trattare l’oggetto in questione.

 

La Banca Romana: l’ultima battaglia del Risorgimento

Il saggio è infatti ripartito in tre sezioni: una prima parte introduce l’affinità della situazione politica a fine XIX secolo tra Francia e Italia, tratteggiando la complessità del particolare momento storico e la sua esemplificazione nello scandalo del Panama, antecedente e corrispettivo francese di quello della Banca Romana; la parte centrale del testo si concentra invece in una disamina minuziosa[1] ma scorrevole della storia della Banca Romana, dalle origini alla crisi; infine, una ricca antologia di produzioni letterarie inerenti allo scandalo bancario o, più in generale, politico (uno tra i molti: Il Gattopardo), con un’incursione conclusiva nelle sue trasposizioni cinematografiche.

La ricostruzione storica è quindi, fin dalle primissime pagine, accompagnata dalla ricezione dello scandalo e dalla reazione che questo suscita nell’opinione pubblica, presenza costante e imprescindibile all’interno della narrazione: in effetti, lo scandalo è possibile solo per via della sua pubblicità e della cronaca, strumento che in quegli anni conosceva la propria affermazione.

La formazione letteraria dell’autrice risulta dunque evidente già dall’inizio del volume, la cui fisionomia di saggio storico, quantunque innegabile, assume talvolta i caratteri del testo di critica letteraria. Difatti, alla ricerca storiografica si accompagna sovente il confronto con la narrativa ottocentesca e i parallelismi rinvenibili tra questa e lo scandalo bancario; viene così evitata la prolissità della giaculatoria evenemenziale e si imposta invece l’esplicazione della crisi della Banca Romana in una narrazione che, a tratti, acquista appunto il ritmo del romanzo storico.

Tutto ciò viene esplicitato dalla stessa autrice: «gli eventi che la compongono [la vicenda della Banca Romana] si possono suddividere in un prologo e in quattro atti, di diversa durata» (p. 76). Protagonisti di questo scandalo sono uomini talvolta grotteschi a tal punto da risultare, per l’appunto, romanzeschi. Primo tra tutti è Bernardo Tanlongo, «personaggio insieme macchiettistico e inquietante» (p. 80), il governatore della Banca Romana. Al centro di una rete clientelare così fitta da arrivare presumibilmente ai Savoia stessi, la banca da lui gestita, insieme ad altre cinque, si troverà al centro di un’indagine voluta dall’allora ministro Luigi Miceli, eroe garibaldino (siamo nel dicembre del 1889). A capo dell’ispezione della Banca Romana viene posto Giuseppe Giacomo Alvisi, altro esponente della Sinistra storica, a cui sarà affiancato un funzionario del Tesoro: Gustavo Biagini. Questi «assoda rapidamente reati massicci: una circolazione di cartamoneta che eccede il limite consentito di oltre venticinque milioni, un portafoglio irregolare, conti correnti non garantiti, crediti in sofferenza, un deficit di cassa di nove milioni, e l’esistenza, per la stessa entità di denaro, di banconote create indebitamente, vale a dire non risultanti dai verbali» (p. 83).

Da qui, si dipanerà una lunghissima e intricata sequela di corruzioni, connivenze, occultamenti e indecenze che saranno al centro della cronaca almeno fino al 1894. A colpire l’opinione pubblica fu il progressivo emergere del coinvolgimento nelle malversazioni di uomini politici di spicco; inoltre, ben tre Primi Ministri (Rudinì, Crispi e Giolitti) si vedranno compromessi dallo scoppio dello scandalo, tanto che Giolitti sarà costretto a rassegnare le dimissioni (la fine del “primo governo Giolitti”). Ed è proprio questo coinvolgimento massivo della classe politica nella corruttela bancaria a indignare l’opinione pubblica.

 

La Banca Romana e la crisi del “parlamentarismo”

Clotilde Bertoni incentra l’analisi della reazione della stampa e dell’opinione pubblica su un tema centrale per l’imminente Novecento: il discredito generale gettato sul “parlamentarismo”.

La diffusa omertà e i maldestri tentativi di insabbiare lo scandalo da parte della classe politica alimentano infatti lo scontento per le logiche parlamentari, che vengono ora accusate di essere all’origine della corruzione dello Stato. Il Parlamento viene quindi sfavorito con vantaggio della monarchia, che proprio in questo periodo conosce ampio consenso. Se si considera per giunta che la crisi della Banca Romana sarà l’arena in cui si consumerà il violento scontro tra Crispi e Giolitti, giocato tutto tra accuse pubbliche e acquiescenze di convenienza, ma entrambi abilissimi nel mortificare l’aula parlamentare a favore di una politica spregiudicata, si comprende come il “parlamentarismo” resti travolto dallo scandalo ben più della Banca Romana stessa.

E non è infatti un caso che sarà proprio l’ennesima umiliazione inferta da Crispi al Parlamento a segnare, nei fatti, la conclusione della vicenda della Banca Romana: la chiusura delle Camere e il silenziamento autoritario delle opposizioni.

La crisi della Banca Romana segna dunque uno smacco non tanto per la finanza, quanto per la politica e, segnatamente, per il “parlamentarismo”. Questa interpretazione, che più volte viene rimarcata nel corso del saggio, allude evidentemente alle esasperazioni che si svilupperanno nel corso del Novecento (“l’aula sorda e grigia” è citata espressamente).

Unica presenza positiva in questo scandalo sospeso «tra finzione e realtà» pare essere la pervicace opposizione della Sinistra Estrema, incarnata da uomini come Felice Cavallotti, Napoleone Colajanni e Matteo Renato Imbriani. Ancora legati sentimentalmente all’epopea risorgimentale, l’idealità della loro reazione al malaffare sconfina sovente in afflati di eroismo, che vengono però mortificati dal cinismo della politica giolittiana o dall’autoritarismo crispino. L’astrattezza che talvolta caratterizza l’opposizione contribuisce tuttavia a elevarla appunto al ruolo di autentico eroe da romanzo, a maggior ragione se raffrontata con la prosaicità dimostrata dai personaggi coinvolti nello scandalo. In questa appassionata rivendicazione della nobiltà dell’azione politica, Clotilde Bertoni ritrova uno spiraglio di luce all’interno dell’evento e un antesignano ideale della lotta partigiana (pp. 224-225).

È significativo che anche la raccolta conclusiva dei testi ispirati più o meno direttamente alla vicenda prediliga la dimensione più propriamente politica della storia, lasciando indietro quella finanziaria (p. 233). È in questa sezione del saggio che predomina lo spirito di critica letteraria, tutto teso a mettere in evidenza i peculiari intrecci narrativi impiegati dai vari romanzieri (da Zola a De Roberto, passando per Socci e Pirandello) per descrivere la torbidezza che offusca i rapporti tra mondo politico e sfera finanziaria. Ma tutti i “romanzi parlamentari” presi in considerazione sono accomunati da una assolutizzazione quasi romantica dell’uomo onesto che combatte in solitudine la propria battaglia ideale, ispirato da «quelle mitologie epiche come si è visto mai tramontate interamente, divenute espressione, anziché di valori collettivi, di una grandiosità fine a se stessa, unico antidoto al dissolvimento di ogni valore» (p. 362).

Il potere dello scandalo riposa proprio nella sua capacità di coinvolgere l’intera collettività, obbligandola a prendere posizione sulla vita pubblica e rinsaldando così il consorzio sociale. La crisi della Banca Romana, così come prospettata da Clotilde Bertoni, consente quindi di ripensare l’epoca attuale innanzitutto nella sua dimensione politica: non più in termini di cliché da romanzo, dove predomina lo scontro inesauribile e solitario tra grandi protagonisti, ma attraverso il recupero di una conflittualità fondata sulla diversità di idee e capace di appassionare (perché no, anche “scandalosamente”) una comunità nella sua interezza.


[1] Nel volume è pubblicato, per la prima volta e integralmente, un verbale rimasto segreto contenente la testimonianza di Ferdinando Montalto (p. 160).

Scritto da
Jaka Makuc

Studente di Filosofia presso l’Università di Pavia e alunno dell’Almo Collegio Borromeo. Allo studio della filosofia, accompagna l’interesse per l’ermeneutica biblica, la teoria del pensiero rivoluzionario e la storia del socialismo italiano con particolare riferimento all’opera di Giacomo Matteotti.

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