Recensione a: Raphael Ebgi, Sette. Le avventure di un simbolo, il Mulino, Bologna 2024, pp. 192, 13 euro (scheda libro)
Scritto da Alessandro Aresu
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For the seven lakes, and by no man these verses
Ezra Pound, Canto XLIX
Raphael Ebgi si è affermato come uno dei più brillanti studiosi della tradizione filosofica dell’umanesimo italiano. Negli ultimi decenni, la sua curatela di volumi dei Millenni Einaudi[1] con Giulio Busi e Massimo Cacciari ha rappresentato, oltre che un dialogo coi maestri che hanno accompagnato la sua ricerca, un’avventura degna di una delle più prestigiose collane dell’editoria italiana, se consideriamo il lavoro sulle traduzioni e l’apparato iconografico.
In particolare, nella filosofia di Massimo Cacciari l’interpretazione dell’umanesimo e più in generale della portata filosofica del pensiero italiano ha un ruolo di primo piano in tutti gli ultimi quarant’anni, resa ancor più evidente nel volume La mente inquieta[2], che espande proprio il lavoro compiuto con Ebgi in una scelta innovativa di testi tra il Trecento e il Cinquecento.
L’ultimo volume di Ebgi si inserisce in questo percorso, che ha tra i suoi fari Pico della Mirandola e Marsilio Ficino, che ha tra i suoi riferimenti studiosi come Bruno Nardi, Eugenio Garin, Michele Ciliberto. Allo stesso tempo, ne espande l’ambizione, avvicinandosi a un pubblico più ampio anche con un certo riferimento, perché affronta la sfida di un numero. È lo spirito della collana del Mulino “Storie di numeri” diretta dal matematico Umberto Bottazzini e che ha già visto la pubblicazione, tra l’altro, dei libri di Giulio Busi sull’uno e di Gianfranco Ravasi sul tre. Il volume di Ebgi è dedicato al sette, che diviene il contesto e il pretesto per una ricerca sulla memoria culturale attraverso questo simbolo e la sua continua, quasi ossessiva, comparsa nella storia occidentale e non solo.
Il libro è diviso, ovviamente, in sette capitoli, che portano il lettore dalla creazione all’apocalisse. «Il giorno numero sette è il giorno in cui Dio contempla le infinite meraviglie da lui create» (p. 16). Indica una separazione dal resto, e allo stesso tempo la pienezza della creazione, la fine in cui si può festeggiare una nascita. Ai tradizionali riferimenti biblici, filosofici e umanistici di Ebgi, la ricerca sul sette affianca fin da subito una dimensione più ampia, che con uno stile sempre scorrevole ed evocativo porta il lettore a seguire l’omaggio dell’anziano Carl Gustav Jung alla “rinascenza” della divinità legata al numero sette, ma anche all’arte contemporanea, con i “Sette palazzi celesti” di Anselm Kiefer realizzati vent’anni fa presso l’Hangar Bicocca e con la riflessione dello stesso artista sulla sua opera.
Numerosi i riferimenti del libro agli stati e alle pratiche che si affollano attorno alla proliferazione del simbolo del sette, per esempio con i riferimenti alla dimensione onirica, alla magia, all’alchimia. Ebgi ricorda, per esempio, i sette gradi della trasmutazione di Paracelso nel settimo libro de Sulla natura delle cose (“calcinazione, sublimazione, soluzione, putrefazione, distillazione, coagulazione, tintura”) e la ricerca di una nuova pienezza, di un compimento dell’esistenza umana in corrispondenza con le apparizioni del sette.
Nell’intreccio dei riferimenti culturali e simbolici del libro, che dalla cultura occidentale ci portano anche verso l’Oriente, tra l’altro con una riflessione sul buddismo, il sette viene identificato con la pienezza, con il compimento che consente alla vita di stare in piedi, in una dimensione ben definita, che appunto sta. Il numero sette, secondo alcune interpretazioni, è visto come la capacità di edificare la sapienza contenendo entrambi i sessi: unione del tre, dispari e maschile, e del quattro, pari, femminile e simbolo dei quattro elementi. Il sette così è un matrimonio tra i diversi principi, è un fattore di mediazione.
Allo stesso tempo, il sette consente di erigere qualcosa, di costruire un edificio, un tempio in grado di contenere il sacro, un teatro in grado di rappresentare il mondo, di ripetere le forme del nostro ragionamento. Qui Ebgi ricorda in particolare quella figura curiosa e un po’ folle di umanista che è Giulio Camillo, con il suo progetto di un Teatro della Memoria, già al centro degli studi di Frances Yates e Lina Bolzoni. Di recente, Adelphi ha pubblicato i testi di Camillo[3], che hanno un posto rilevante in quest’ultimo decennio di edizioni di fonti umanistiche in cui si collocano gli stessi volumi dei Millenni che abbiamo ricordato.
Ebgi descrive così il progetto di Camillo: «L’ambizione era quella di costruire un edificio, tutto a base sette, capace di contenere in sé e rendere visibili tutte le forme del mondo. Meglio ancora, il suo architetto terreno (Camillo) sognava di riprodurre, in scala, l’opera dell’architetto celeste (Dio), offrendo così una macchina artificiale che fosse in grado di disporre e rimodulare, in maniera dinamica, tutti gli elementi della creazione divina» (pp. 52-53).
Se all’architettura del numero sette terreno viene così affidato il compito della riproduzione della mente celeste attraverso macchine e menti artificiali, nel dispiegare il compimento del ragionamento e della sua “chiave universale”, le sorprendenti apparizioni del numero-simbolo sette in questo libro ci conducono in altre deviazioni che riguardano i prodotti umani e le vicende umane. Il teatro della vita: esso stesso una testimonianza della persistenza del numero sette. Si pensi alle “sette età dell’uomo”, immagine di lungo corso che si ritrova espressa con insuperata chiarezza da Jaques in As you like it di William Shakespeare:
All the world’s a stage,
And all the men and women merely players;
They have their exits and their entrances;
And one man in his time plays many parts,
His acts being seven ages.
Non c’è mai una vera e propria “uscita” del sette, che chiuda le sue età e possa interrompere la sua ripetizione, o meglio la sua ricombinazione. Come una “formula di pathos” nel senso di Aby Warburg, esso affiora, sembra inabissarsi, per poi riemergere nell’inatteso, come nel lungo dialogo del fisico Wolfgang Pauli con Jung. Il numero così accompagna un risveglio, dai sogni e dagli incubi. Dove ci porta questo peregrinare, fino alle soglie dell’apocalisse e dal suo scoccare ripetuto del sette? Ci ricorda che «il nostro sguardo, a differenza di quello antico, non è allenato a vedere l’invisibile» (p. 61). Il libro di Raphael Ebgi, avvolgendolo nella sua narrazione, contribuisce a questo allenamento.
[1] Giovanni Pico della Mirandola. Mito, magia, qabbalah, a cura di Giulio Busi e Raphael Ebgi, Einaudi, Torino 2014; Umanisti italiani. Pensiero e destino, a cura di Massimo Cacciari e Raphael Ebgi, Einaudi, Torino 2016.
[2] Massimo Cacciari, La mente inquieta. Saggio sull’umanesimo, Einaudi, Torino 2019.
[3] Giulio Camillo Delminio, L’idea del theatro. Con l’idea dell’eloquenza, il De Transmutatione e altri testi inediti, a cura di Lina Bolzoni, Adelphi, Milano 2015.