I sistemi tributari e la “flat tax” del Bruno Leoni
- 12 Luglio 2017

I sistemi tributari e la “flat tax” del Bruno Leoni

Scritto da Gianluca Piovani

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Il presente articolo si propone di spiegare alcuni concetti base riguardanti i sistemi fiscali vigenti nei principali paesi sviluppati al fine di descrivere e commentare la recentissima proposta dell’Istituto Bruno Leoni (d’ora in avanti IBL) di adottare in Italia un sistema cosiddetto di flat tax ad aliquota unica pari al 25%. Tale proposta ha sollevato un ampio dibattito sulle pagine del Sole 24 Ore, suscitando l’interesse sia del mondo accademico che di quello politico e coinvolgendo anche alcune personalità di spicco quali Lamberto Dini e Vincenzo Visco. L’ampio interesse suscitato e le prese di posizione in vari casi anche forti dimostrano l’attualità e la rilevanza del tema.

Come anticipato i paragrafi iniziali saranno dedicati alla trattazione di alcune tematiche di base, di cui la prima è appunto la natura della tassazione proporzionale: con essa si intende la presenza di un’aliquota costante al variare del reddito. Ciò significa che un lavoratore che percepisce un reddito di 1.000 euro al mese ed un ricco redditiere che ne percepisce 1.000.000 saranno entrambi tassati con la stessa aliquota, diciamo ad esempio del 20%: il soggetto dal reddito più basso dovrà pagare un tributo di 200 euro mentre per il redditiere il tributo ammonterà a 200.000 euro. Tale costanza della quota di contribuzione viene universalmente riconosciuta come ingiusta e poco sostenibile poiché privarsi del 20% del proprio reddito è un sacrificio molto maggiore per una persona dal reddito basso che per una dal reddito elevato.

Per ovviare a tale inconveniente in tutti i principali paesi sviluppati la tassazione del reddito segue un criterio non proporzionale ma così detto progressivo; in Italia l’articolo 53 della costituzione stabilisce che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Secondo il criterio di progressività l’aliquota di tassazione aumenta all’aumentare del reddito. Un possibile esempio è uno in cui la fascia di reddito 0-1.000 è tassata al 10% e quella da 1.000 euro in poi al 20%. In tale caso un individuo che percepisce un reddito di 2.000 euro sarebbe tassato al 10% per i “primi” 1.000 euro ed al 20% per i “secondi” mille. Il tributo totale sarebbe quindi pari a 300 euro ed equivalente ad un’aliquota media del 15% del reddito; notiamo come in tale caso l’aliquota aumenta progressivamente all’aumentare del reddito fino a tendere, per redditi molto elevati, alla fascia più alta che in questo caso sarebbe 20%. A seguire si riporta, a titolo di ulteriore esempio, gli scaglioni IRPEF sulla tassazione personale attualmente vigenti in Italia:

Un altro modo di implementare un sistema progressivo è quello di prevedere esenzioni per i redditi più bassi: un’esenzione per redditi bassi può essere pensata come una normale fascia di reddito di un sistema progressivo in cui l’aliquota di tassazione è pari a zero. Nell’esempio precedente si sarebbe avuta un’esenzione per redditi bassi nel caso la prima aliquota invece che 10% fosse stata 0%.

 

Flat tax, semplificazione o diseguaglianze?

La teoria economica mostra che sarebbe ottimale tassare i redditi in modo unico. Purtroppo ciò non avviene. Attualmente in tutti i principali paesi sviluppati (Italia compresa) i redditi sono tassati in modo diversificato a seconda della loro provenienza. Il sistema progressivo è adottato nei casi di reddito personale, ovverosia generalmente per i redditi che derivano da lavoro. I redditi delle società di capitali sono invece tassati in modo proporzionale con aliquota fissa poiché è difficile applicare il principio del ricco o povero ad aziende. I redditi da capitale, cioè quelli tipici del ricco rentier, sono tassati ad aliquote abbastanza basse e proporzionali poiché aliquote alte disincentiverebbero il risparmio e poiché altrimenti tali capitali fuggirebbero in paradisi fiscali. Infine la tassazione sul consumo, in Italia denominata IVA, viene anch’essa applicata in modo proporzionale se non altro per ovvi motivi tecnici (in caso di IVA progressiva per comprare il pane al supermercato dovremmo quantificare al commesso i nostri consumi mensili totali e poi calcolare l’aliquota). Tale diversificazione dei sistemi crea squilibri e disuguaglianze poco desiderabili, come ad esempio il caso in cui alcuni redditi vengano “dirottati” da personali, ad aliquota progressiva alta, a livello di azienda o di reddito di capitale ad aliquota invece più bassa e proporzionale.

La proposta dell’IBL è quella di adottare una tassazione ad aliquota unica (e quindi secondo il sistema proporzionale) con un’aliquota pari al 25% su qualunque tipo di imponibile, che sia reddito personale o un consumo come l’IVA o un reddito da capitali o d’impresa. Per evitare l’incostituzionalità e i problemi di disuguaglianza questo sistema di tassazione proporzionale viene reso progressivo introducendo una fascia di esenzione per i redditi più bassi. Il costo di questa riforma ammonterebbe ad alcune decine di miliardi, tuttavia i sostenitori argomentano che sarebbe possibile finanziarla con tagli alla spesa pubblica e sarebbe quindi in sostanza “gratis”. Inoltre tutti ci guadagnerebbero: i ricchi avrebbero aliquote basse e proporzionali mentre i poveri godrebbero delle esenzioni. La classe media in sostanza non perderebbe e non guadagnerebbe poiché l’aliquota scelta è sufficientemente bassa. L’aliquota unica del 25% sarebbe inoltre da applicare a qualunque tipo di reddito, quindi tassazione personale (IRPEF), d’impresa (IRES) e al consumo (IVA) eliminando così le sperequazioni e le disuguaglianze e rendendo il sistema fiscale più semplice. Si argomenta inoltre che la proposta è chiara e semplice da attuare: considerata la farraginosità, le sperequazioni e la scarsa efficienza del sistema tributario italiano tale proposta avrebbe il pregio di essere un intervento drastico in grado effettivamente di sciogliere il nodo gordiano del problema del fisco: non uno dei soliti interventi dello zero virgola ma una vera e propria rivoluzione dell’intero meccanismo e dei criteri alla base del nostro sistema tributario.

Non tutti sono d’accordo con questo approccio e si sono levate molte voci contro questa proposta. Da un lato l’argomento della semplificazione è discutibile, la vera difficoltà nel calcolare le imposte è determinare la base imponibile e non il fatto che vi siano una decina di aliquote diverse. Il taglio della spesa con cui finanziare la riforma potrebbe essere usato per altri fini, quindi questa riforma costerebbe davvero alcune decine di miliardi, possiamo permettercelo? Per quanto riguarda l’eliminazione della differenziazione di aliquote, è vero che le distorsioni vengono eliminate ma a che prezzo? Si fa un piccolo regalo ai ceti più poveri attraverso il tecnicismo della fascia esente (rimborsabile anche ai redditi incapienti) e si ottiene un grande regalo per i più ricchi. Chi è veramente ricco infatti godrà di notevoli sconti in termini di tassazione: l’aliquota IRPEF marginale più alta (cioè come notato in precedenza quella cui tendono i redditi più elevati) è attualmente il 43%, ribassarla al 25% comporta il quasi dimezzamento delle imposte dovute all’erario da parte dei cittadini più facoltosi. L’ex ministro Visco conduce un’interessante riflessione a riguardo: mentre nel passato il sistema progressivo comportava una sorta di alleanza tra ceti poveri e medi per fare pesare maggiormente le imposte su chi poteva permettersi di pagarle, ovvero sui più ricchi, sembra che ora i più facoltosi tentino un’alleanza con i ceti più poveri per far pagare il conto alla classe media. Considerata la rilevanza della classe media per il funzionamento del sistema dei consumi ed il crescente livello di diseguaglianza a livello globale, tale approccio è discutibile. Si aggiunga inoltre che per quanto riguarda invece l’IVA si assisterebbe ad un aumento dell’aliquota: come è risaputo l’IVA colpisce maggiormente chi spende percentuali elevate del proprio reddito in consumi, ovvero i più poveri e ciò potrebbe azzerare il vantaggio in termini di benefici derivanti dalle esenzioni ed anzi risultare infine in un maggiore esborso.

 

La flat tax nel dibattito pubblico

La flat tax è un argomento portato all’attenzione del dibattito pubblico da Donald Trump negli USA; spesso i suoi sostenitori sono in situazioni di conflitto di interessi e questo contribuisce notevolmente ad accendere i toni e a rendere il confronto duro. Se da un lato si afferma che i sostenitori della flat tax siano dei populisti al servizio dei più ricchi, dall’altro si accusano i suoi oppositori di sostenere ideologicamente un sistema obsoleto e di sinistra. A prescindere dall’asprezza dei toni da un punto di vista tecnico questa riforma comporterebbe oggettivamente un maggiore sconto fiscale per i più ricchi. I denari così “spesi” per lo sconto d’imposta vengono recuperati tramite un taglio della spesa pubblica, che nelle teorie generalmente identificate come di “sinistra” è solitamente riconosciuta come meccanismo per la redistribuzione. In base a teorie economiche di “destra” e “liberiste” l’aumento della disuguaglianza e la riduzione dell’intervento dello stato nell’economia vengono più che compensati dalla maggiore efficienza del settore privato e delle nuove attività economiche intraprese dai “ricchi” grazie agli sconti di imposta innescando una crescita economica che porterà benefici anche alla classe lavoratrice ed ai ceti meno abbienti.

Va notato infine come tale proposta non sembri concretamente praticabile nelle modalità immediate indicate dall’IBL in quanto abolire da un giorno all’altro un sistema tributario e sostituirlo completamente con un altro, anche se più semplice, è assurdo. Se da un lato la proposta dell’IBL è volutamente provocatoria, dall’altro le va riconosciuto di essere riuscita a suscitare un ampio ed acceso dibattito. Questo dibattito sarebbe però davvero fruttuoso se contemplasse anche altre ipotesi molto diverse, come ad esempio un aumento della progressività della tassazione che pesi sui più facoltosi, chiedendo in altre parole un sacrificio ai più ricchi per diminuire le diseguaglianze e redistribuire la ricchezza in modo tale che possano ripartire i consumi e con questi il sistema economico. “Tagliare le tasse” è uno slogan facile e solitamente efficace politicamente e spesso tanto radicato nel senso comune della politica e dei cittadini da non lasciare spazio a proposte alternative. Ma un vero dibattito democratico dovrebbe dare gli strumenti per “guardare dentro” le proposte, scoprendo che la realtà e gli interessi delle diverse parti della società siano spesso più sfaccettati di come appaiono a prima vista.

Scritto da
Gianluca Piovani

Nato nel 1991 a Bologna, ha conseguito la laurea magistrale in Finanza Intermediari e Mercati presso l’Università di Bologna. Durante il periodo universitario ha fatto parte del Collegio Superiore dell’Università di Bologna. Ha collaborato con la rivista elettronica «Il Chiasmo». La sua esperienza lavorativa inizia con ricerca economica in Prometeia e prosegue in Banca di Bologna con la gestione patrimoniale. Attualmente lavora per la multinazionale Crif e si occupa di servizi informatici per banche.

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