Scritto da Nicolò Carboni
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In Italia la situazione è, se possibile, ancora più contorta: mancando un partito di destra reazionaria come il Front National francese il primo interprete del “consenso della rete” è stato il Movimento 5 Stelle che, almeno nella parte iniziale della sua esistenza ha incanalato queste stesse pulsioni in rivendicazioni socialmente accettabili.
In seguito, a svolgere un ruolo importante è stata la Lega di Matteo Salvini. La nuova Lega post-bossiana non è un partito sciovinista e neppure la declinazione italiana dell’autoritarismo est-europeo. Salvini ha sfruttato l’intuizione, a suo modo geniale, di Gianroberto Casaleggio de-istituzionalizzando un partito che, per vent’anni, aveva espresso una parte importante del governo italiano. Così, mentre il Movimento 5 Stelle appare sempre più stretto nella nuova postura istituzionale indotta dal suo capo politico, la Lega è diventata l’interlocutore prediletto di un mondo marginale ma numericamente significativo. Salvini non abbraccia le cause degli ultimi o meglio, non lo fa in riferimento ai rapporti di forza produttivi, ma concentra il suo interesse sui gruppi più organizzati e, al tempo stesso, più lontani dal mainstream. È il caso degli antivaccinisti, ma pure dei complottisti, fino ad arrivare ai flirt della Lega con i Forconi e altre realtà ai limiti dell’eversivo.
Come Trump con i videogiocatori, anche in questo caso la costruzione del consenso passa da un’avanguardia che viene formata attingendo ad un mondo che, per la prima volta, arriva sulla scena pubblica. Come disse significativamente il CEO di Google: Internet non ci ha resi pazzi, semplicemente ha dato anche al nostro cugino pazzo la possibilità di esprimersi.
Ma l’algoritmo è invincibile? No, non lo è. Gli organizzatori moderni, coloro che volessero svolgere oggi il ruolo che era un tempo degli agitprop del partito, devono essere dei costruttori di comunità, da non aggregare però attorno a generici “valori” condivisi o a simboli predefiniti. Occorrerebbe invece scovare battaglie politiche forse minoritarie nel Paese ma con una forte adesione sentimentale. Ad esempio, pensando all’internet italiano, vista la quasi totale rivalutazione della Prima Repubblica: perché non intestarsi una battaglia per l’autonomia della politica e il ritorno al finanziamento pubblico? O ancora: esistono, sempre nei meandri dell’internet del nostro Paese, gruppi di discussione che teorizzano da anni il superamento della proprietà privata degli algoritmi e sostengono la necessità di nazionalizzare i giganti del web. Oppure infine, sono diffuse riletture postmoderne di Marx che cercano di superare la centralità del lavoro nei sistemi produttivi contemporanei.
Queste sono solo alcuni dei compiti che potrebbe intestarsi una forza di sinistra contemporanea, snella e capace di fare il suo mestiere, ovvero organizzare le forze vive della società per costruire un mondo migliore. Ma questo presuppone la consapevolezza che battaglia ideale oggi si gioca su questo piano.
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