Recensione a: Alessandro Volpe, Solidarietà. Filosofia di un’idea sociale, Carocci, Roma 2023, pp. 126, 14 euro (scheda libro)
Scritto da Giulio Pennacchioni
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Solidarietà. Filosofia di un’idea sociale è l’ultimo libro di Alessandro Volpe, edito da Carocci a gennaio 2023. Alessandro Volpe è ricercatore in filosofia morale presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, dove è anche membro dello European Centre For Social Ethics (ECSE). Solidarietà segue Le ragioni dell’Europa. Habermas e il progetto d’integrazione tra etica e politica[1], in cui Volpe ripercorre l’evoluzione delle prese di posizione sull’Europa del pensatore tedesco, dagli anni Ottanta del Novecento fino ai giorni nostri, in un costante confronto con la sua più ampia prospettiva teorica e con le tappe più salienti del processo di integrazione europea. A giudicare dal titolo, il contenuto di questo nuovo libro parrebbe distante dalla sua opera precedente; tuttavia, come sottolineato da Stefano Petrucciani nella Prefazione, e com’è evidente fin dalle prime pagine, Habermas e la sua idea di Europa rimangono comunque al centro di quest’ultima fatica di Volpe. Al contempo, però, sarebbe sbagliato voler esaurire il contenuto di questo nuovo libro nella riflessione del pensatore tedesco. L’ambizione di questa recensione è quella di restituire almeno in parte il contenuto di Solidarietà, ripercorrendo le varie tappe del libro per come pensate dall’autore.
Introduzione
Volpe inizia il libro compiendo da subito un’operazione filosofica, di socratica memoria: domandarsi che cos’è (ti estì) la solidarietà. Proprio negli ultimi anni, infatti, a causa delle varie crisi globali che stiamo vivendo o che abbiamo vissuto (e che l’autore definisce “contagi” proprio per via della loro capacità di diffondersi velocemente su scala planetaria), da quella pandemica a quella militare ancora in corso in Ucraina e nella Striscia di Gaza, il concetto di solidarietà è stato impiegato come uno dei principali valori a cui fare appello. E tuttavia, come ben sottolineato nel libro, «il termine “solidarietà” appare […] tanto diffuso quanto “nebuloso”, tanto influente quanto sfuggente, spesso percepito come logoro ed evasivo: un significante vuoto» (p. 14). E in effetti che cos’è precisamente la solidarietà? Che rapporto intrattiene, per esempio, con l’idea giustizia? I due concetti sono sinonimi? È forse un concetto morale? Insomma, le domande attorno all’idea di solidarietà sono tante e, in un certo senso, sembrano caratterizzare il concetto un po’ da sempre. Di questa ambiguità[2] era ad esempio consapevole il filosofo politico forse più influente della seconda metà del Novecento, John Rawls, che, nella sua opera principale A Theory of Justice, poteva constatare come l’idea di solidarietà avesse da sempre avuto un ruolo secondario nelle teorie democratiche dello Stato moderno[3]. Questo è senza dubbio dovuto alla molteplicità di usi che, nel linguaggio comune, vengono fatti di tale concetto – e tuttavia questo non significa che bisogna rassegnarsi alla plurivocità. Questo il motivo per cui Volpe, già nell’Introduzione di Solidarietà, ripercorre l’uso che è stato fatto di questa nozione sul piano della storia delle idee, chiarendo anche le differenze rispetto all’uso in ambito specificamente normativo e, infine, europeo e globale, in cui recentemente si è assistito a una vera e propria «esplosione degli studi» (p. 18). Un’analisi introduttiva della solidarietà è infatti il primo degli obiettivi di Volpe, che offre però al lettore anche un’analisi critica del dibattito attuale, nel confronto con il concetto di giustizia e nelle difficoltà del definire “che cos’è solidale” nel contesto europeo.
Che cos’è la solidarietà?
Il primo capitolo, Per una teoria dell’agire solidale, è probabilmente uno dei più efficaci del libro. Com’è possibile evincere dal titolo, lo scopo è quello di svolgere un’analisi diacronica dei vari significati che il concetto di solidarietà ha assunto nel corso della storia. Già solo per questo motivo, si raccomanda la lettura di questo testo, che rappresenta un’operazione teorica di assoluta originalità all’interno del panorama editoriale italiano. Oltre a ciò, il primo capitolo è senza dubbio essenziale anche per il successivo sviluppo del libro, dal momento che fornisce, per così dire, gli “strumenti” con cui potersi muovere anche in quell’operazione di confronto critico con l’idea di giustizia e con il contesto europeo già annunciata nell’Introduzione.
Ripercorrendo molto brevemente il primo capitolo, qui Volpe mostra come il concetto di solidarietà si sia sviluppato a partire da un ambito di riferimento giuridico, dalla parola “solidario”, che indicava, già nel diritto romano privato, l’obbligo per ogni creditore di pretendere l’intera obbligazione dal debitore. Il termine subisce una prima modifica sostanziale durante la Rivoluzione francese, assumendo un significato morale e politico e sostituendo la nozione di “fraternità”. E tuttavia, come ben sottolineato da Steinar Stjernø, nonostante questo avvicinamento nel significato a fraternité, a ciò non corrispose un uso pubblico; infatti, il termine solidarité rimaneva comunque poco utilizzato[4]. La “fortuna storica” del concetto di solidarietà viene con l’avvento delle prime teorie socialiste, nelle quali un termine poco strutturato come fraternité viene appunto sostituito da solidarité, proprio in virtù della sua provenienza giuridica. Come ben messo in luce da Volpe, se fraternité è il termine della Rivoluzione Francese, solidarité è quello della Rivoluzione industriale. In questo contesto, la solidarietà era un dispositivo di critica delle contraddizioni del mondo industriale e rappresentava l’aspirazione all’emancipazione sociale da parte dei più deboli, fra loro vicini. Passando così dalle teorie sociali di Fourier, Leroux, Saint-Simon e Comte, il concetto arriva fino alla riflessione di Émile Durkheim, secondo cui la solidarietà è il legame sociale fra gli individui sempre più autonomi e divisi della Rivoluzione industriale. Contemporaneamente a Durkheim, Volpe segnala anche il testo Solidarité di Léon Burgeois e, approdando infine al Novecento, le teorie sociali di Max Scheler e di Max Weber, che sembrano costituire l’inizio di quella progressiva perdita di significato che caratterizza il concetto anche oggi. In questo primo capitolo, Volpe analizza anche i tre orientamenti etico-politici a cui è possibile associare l’adozione del termine, nonché una sua parziale interpretazione: il patriottismo, il cristianesimo sociale e il socialismo. Debitori in particolare di questi ultimi due sono stati quei movimenti per i diritti civili novecenteschi in cui la solidarietà, come chiarito da Du Bois, è stata associata al concetto di identità. Detto in altro modo: l’identità condivisa è «una condizione e un fatto» (p. 40), che determina lo status di quella minoranza vittima di oppressione, ma che al contempo viene rivendicata, perché impiegata come terreno stesso di organizzazione. Volpe prende in particolare come esempio il movimento Combahee River Collective[5], mostrando anche come, già alla fine degli anni Settanta, la politica dell’identità di questo gruppo fosse accompagnata da un’idea che oggi si definirebbe intersezionale di solidarietà.
Sulla scia del primo, anche nel secondo capitolo, Per una teoria dell’agire solidale, Volpe continua in questa dettagliata operazione definitoria del concetto di solidarietà. Ripartendo proprio da quella perdita di chiarezza che l’idea di solidarietà aveva subito nel pieno Novecento, con la teoria sociale di Scheler e Weber, Volpe segnala come anche nel passaggio alla teoria etico-politica questa ambivalenza sia rimasta. Muovendo da uno sguardo genealogico (primo capitolo) a uno più concettuale (secondo capitolo), Volpe distingue i tre modi in cui la solidarietà si è manifestata: come coesione sociale, come protezione sociale e come fattore di trasformazione politica. E tuttavia c’è di più, infatti ciò che avviene in questa sezione del libro è anche un’operazione di confronto per affinità e differenze con altri tre concetti, che sono generalmente e maldestramente usati in modo sinonimico con la solidarietà: carità, cura e lealtà. Dopo tutta questa fatica genealogica e concettuale, ecco che nell’ultimo paragrafo del secondo capitolo (Definire la solidarietà), Volpe definisce il concetto di solidarietà come «una relazione simmetrica di mutuo supporto e condivisione del rischio basata sul riconoscimento di una causa comune» (p. 49). Relazione simmetrica che non va però intesa come eguaglianza di fatto, quanto piuttosto come eguaglianza presupposta: se gli attori non immaginassero l’altro dotato di eguale considerazione, la reciprocità del sostegno verrebbe meno. Come ben indicato da Volpe, che a sua volta rimanda ad altri studiosi[6], l’eguaglianza degli attori coinvolti in una relazione solidale è una «reciprocità simmetrica»[7], cioè un’aspettativa di reciprocità, indiretta[8], cioè non necessariamente in atto nel medesimo spazio e nello stesso tempo, ma che motiva la loro relazione.
Solidarietà, giustizia e la realtà
Il terzo capitolo, Solidarietà e giustizia, è dedicato alla descrizione di alcuni paradigmi teorici che rispondono alla tesi sull’inconciliabilità tra giustizia e solidarietà. Attraverso un’analisi comparativa fra la solidarietà e la giustizia, che passa attraverso il pensiero di Rawls, di Durkheim e che prende in considerazione le visioni del realismo politico e del Welfare State, Volpe passa in rassegna la complementarità e le differenze fra i due concetti. E, tuttavia, la tesi senza dubbio più influente sulla complementarietà morale fra giustizia e solidarietà è certamente quella di Jürgen Habermas. Proprio nel suo saggio del 1986 Giustizia e solidarietà. Discussione sullo “Stadio 6”, l’autore tedesco si pone come obiettivo non tanto quello di «ricomprendere la solidarietà nella giustizia, quanto di pensarle come due facce della stessa medaglia» (p. 61). Attingendo dalla psicologia morale e dall’antropologia sociale, da Lawrence Kohlberg e da George Herbert Mead, lo scopo di Habermas è quello di fondare una morale universalistica. In tal senso, quindi, i due concetti di giustizia e di solidarietà vanno compresi come un tentativo di allargamento delle diverse forme di eticità, al fine di salvaguardare o fondare il contenuto formale-universalistico dell’etica. Di contro al rischio di un’ideale di giustizia astratto, quasi sospeso e scorporato dalle reali pratiche di legame sociale e, come nel caso delle lotte di alcune minoranze specifiche viste precedentemente, di contro a un’idea di solidarietà troppo legata alla protezione della comunità particolare, il tentativo di Habermas è quello di ricercare dei principi morali universalistici, ma che si possano anche fare concreti nella vita reale. Immediatamente dopo, Volpe passa in rassegna altri autori, in cui invece la solidarietà è interpretata più come una risposta «politica» (p. 63) specifica a ingiustizie manifeste e percepite, com’è il caso della riflessione di Hannah Arendt, di Richard Rorty, del filosofo afroamericano Tommie Shelby e di Avery Kolers. È evidente quindi che non è facile accordarsi su un’unica interpretazione di solidarietà rispetto all’idea, prossima, di giustizia. I due concetti non vanno certamente sovrapposti, ma va riconosciuta la capacità di tutto ciò che è solidale di “toccare” piani di azione legati alla giustizia. Che si faccia riferimento al realismo, ad Habermas o ancora a queste ultime interpretazioni politiche, i due concetti non sono la stessa cosa, ma non sono neanche così distanti. Grande merito di Volpe aver fatto chiarezza su ciò, come, precedentemente nel libro, con i concetti di carità, cura e lealtà. Chiaro è, al contempo, la sua lettura habermasiana della solidarietà, che è la tesi del libro e che fa sì che queste due nozioni siano viste come complementari.
Il quarto capitolo, Solidarietà come dovere sociale, procede sul solco del precedente, cercando di descrivere l’effettiva dinamica di una solidarietà complementare all’idea di giustizia nella pluralità dei contesti sociali possibili. Volpe svolge tutto ciò presentando e discutendo tre diverse prospettive: quelle di Jodi Dean, di Nancy Fraser e di Axel Honneth. Pur nelle specifiche differenze evidenziate chiaramente nel testo, i tre autori hanno il merito di sottolineare l’importanza che le pratiche sociali concrete hanno nel permeare e completare le esigenze di giustizia. In questo senso, «la solidarietà perde il carattere di atto supererogatorio o di relazione sussidiaria all’interno di una teoria della giustizia» (p. 75), assumendo la forma del dovere sociale. Proprio in funzione della loro interdipendenza morale dovuta alla pratica sociale di appartenenza, gli attori sociali mettono così in atto prestazioni solidali, con forza correttiva nei confronti dell’ingiustizia, quanto, per certi versi, «anticipatrici» (p. 77). Ripercorrendo un esempio proposto dall’autore, nel caso di una violazione di diritti di tipo istituzionale, il richiamo alla solidarietà non è soltanto ciò che consentirebbe un recupero degli stessi, ma anche una misura difensiva che si attua nella denuncia preventiva di una possibile ingiustizia. La complementarietà fra sostenibilità e giustizia, insieme con la definizione specifica di solidarietà fornita nei primi capitoli, è il centro di quest’ultimo libro di Volpe, che tuttavia non risparmia al lettore un serrato confronto con le tante alternative.
Un concetto europeo
Nel quinto capitolo, Quale solidarietà europea?, Volpe prende le mosse dalla spiegazione delle origini e della fortuna del concetto di solidarietà in Europa. A dimostrazione dell’originaria centralità della solidarietà nell’ambito del progetto europeo, basti ricordare le parole di Robert Schuman, pronunciate a Parigi nel corso della dichiarazione del 9 maggio 1950 che annunciava la creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA): «L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto». Questo è confermato anche sul piano giuridico, nei Trattati, nelle carte e nelle politiche istitutive dell’Unione. La solidarietà è infatti al centro del Trattato sull’Unione Europea, del Trattato di Lisbona, così come tutto il capitolo IV della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea è dedicato a questo concetto. Oltre a questa «incarnazione narrativa» (p. 80), anche specifiche politiche comunitarie vi fanno e vi hanno fatto esplicito riferimento – si pensi a istituzioni come il Fondo solidarietà o al Corpo europeo di solidarietà.
Nel suo lavoro, però, Volpe ragguaglia il lettore anche a proposito della crisi di questo concetto in ambito politico[9]. Questo è il caso del “gruppo di Visegrád” (Polonia, Ungheria, Cechia, Slovacchia), dove è stata coniata l’espressione “solidarietà flessibile”, per giustificare l’indisponibilità dei Paesi aderenti ad accogliere i migranti e a ridistribuire le quote in ambito europeo. Il rischio è quindi quello che la solidarietà diventi un “significante vuoto”, utilizzabile a proprio piacimento dai vari schieramenti politici. Per quanto, infatti, sia stata definita una nozione europea di solidarietà, ed è il caso del concetto di “patriottismo costituzionale” (Verfassungspatriotismus) coniata dal politologo Dolf Sternberger e poi sviluppata da Habermas, che indica una forma di fedeltà ai valori liberal-democratici dichiarati nelle costituzioni moderne, avulsa da considerazioni prepolitiche o etnico-culturali, l’obbligo di un’applicazione concreta di questo concetto è ancora argomento di discussione. Un’altra variante europea di solidarietà è certamente quella proposta dalla sinistra marxista o post-marxista, vicina all’idea di una costituzione pienamente democratica di tipo trans-nazionale[10], fatta di politiche di no-austerity. E queste due visioni convivono con un’ulteriore lettura, più pragmatica e realista: quella di Jacques Delors. Quest’ultima fonda l’idea di solidarietà né su un presupposto normativo (à la Habermas), né su un tipo di politica conflittuale-militante (come nei gruppi marxisti o post-marxisti), ma sull’interdipendenza fra i vari stati dell’Unione Europea.
Le difficoltà politiche di questo concetto sono in particolare evidenti nell’applicazione. A questo Volpe dedica l’ultimo capitolo, Obbligo o spontaneità? Se nell’idea dei primi architetti europei, come Jean Monnet e Robert Schuman, l’interdipendenza à la Jacques Delors avrebbe dovuto attivare non solo degli strumenti tecnici, ma anche un ethos solidaristico, questo non sembra così scontato nei fatti. A questo corrisponde anche un’insufficienza normativa, ed è il caso del Trattato di Maastricht, che ancora vieta ogni forma di aiuto verso Stati in difficoltà. Tutto ciò ha dato il via anche ad ulteriori formulazioni, come quella di Rosemary Nagy[11], che nel 2002 ha distinto fra la solidarietà “sottile” (thin) e la solidarietà “spessa” (thick). La prima è quasi un accordo morale intrapersonale, mentre la seconda è messa in atto dall’alto, tramite procedure politiche e amministrative. Se, da un lato, è infatti necessario un ragionevole bilanciamento e un’interazione equilibrata fra le diverse realtà e Stati che costituiscono le istituzioni europee, dall’altro, le pratiche di solidarietà informale tra i cittadini, nonché la loro volontà di rafforzare misure solidaristiche a livello comunitario, devono potersi integrare con il livello giuridico-istituzionale. Questi due livelli devono potersi compenetrare, proprio perché, come sottolineato da Claus Offe[12], «ogni volta che la output legitimation è carente, è necessaria una input legitimation, vale a dire una legittimità che provenga al di fuori dell’ordinaria amministrazione».
Conclusione
Come detto fin dall’inizio di questa recensione, definire il concetto di solidarietà non è un’operazione facile. Malgrado ciò, Alessandro Volpe riesce in questo intento, descrivendola come «una relazione simmetrica di mutuo supporto e condivisione del rischio basata sul riconoscimento di una causa comune» (p. 49). Questo a partire dalle origini e dagli sviluppi del concetto – dunque attraverso un punto di vista storiografico e diacronico, ma che comunque riesce a porsi in dialogo con le altre definizioni che di questo concetto vengono date nel corso del libro. Già a partire dal terzo capitolo, di confronto con il concetto di giustizia, fino ad arrivare agli ultimi, in cui Volpe mostra tutte le difficoltà definitorie e, inevitabilmente, di applicazione del concetto in ambito europeo, quella definizione che il lettore incontra all’inizio sembra comunque riuscire a “resistere” nello svolgimento delle varie e diverse interpretazioni della solidarietà. Queste sono molte, sempre in parte collegate fra loro da elementi di vicinanza, ma mai completamente sovrapponibili. Sviluppando le argomentazioni di Habermas, Volpe può proporre al lettore una nozione di solidarietà non come imperativo deontologico, ma piuttosto come modo di agire che ci consente di realizzare al meglio noi stessi nel rapporto con i nostri pari, perché si fonda sul riconoscimento dell’interdipendenza che regola la società in cui viviamo. Interdipendenza che è all’origine di quei “contagi” (per citare Volpe) che caratterizzano il nostro mondo, che, oltre ad essere il motivo del ritorno di questo concetto in filosofia pratica, costituiscono anche il terreno fertile per lo sviluppo di una possibile teoria critica, proprio a partire dal concetto di solidarietà. Non è tuttavia questo l’intento di Solidarietà, che pur offre terreno fertile in tal direzione. Se sempre di più siamo abituati a convivere con crisi di ogni genere e tutte interconnesse fra loro, allora un concetto come quello di solidarietà non deve soltanto esser fatto riemergere, ma deve poter fornire un orizzonte di senso critico nei confronti della realtà – non in senso negativo ma semmai propositivo, soprattutto in Europa. Aver preparato tutto questo, nonostante le tante e confuse possibilità definitorie, è il grande merito di Alessandro Volpe; sempre posto che la dea della Sapienza sia ancora fra noi e non si sia ormai consegnata all’inattuale e all’inutile.
[1] Alessandro Volpe, Le ragioni dell’Europa. Habermas e il progetto d’integrazione tra etica e politica, Mimesis, Milano 2021.
[2] Cf. Steinar Stjernø, Solidarity in Europe. The History of an Idea, Cambridge University Press, Cambridge 2005.
[3] Cf. John Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano 2017, pp. 114-115.
[4] Cf. Steinar Stjernø, Solidarity in Europe, op. cit.
[5] Molto brevemente, il Combahee River Collective è stato un movimento femminista afroamericano nato negli anni Settanta negli Stati Uniti. Si è concentrato sull’intersezione di oppressione di genere, razza e classe sociale. È noto per il suo manifesto del 1977, che ha evidenziato la necessità di un approccio intersezionale per affrontare le disparità sociali e politiche. Per un approfondimento su questo: Keeanga-Yamahtta, How We Get Free. Black Feminism and the Combahee River Collective, Haymarket Books, Chicago 2018.
[6] Cf. Linda D. Molm, Jessica L. Collett e David R. Schaefer, Building Solidarity through Generalized Exchange. A Theory of Reciprocity, «American Journal of Sociology», 113, 1, 2017, pp. 205-242.
[7] Gerardo Cunico, L’Etica della solidarietà, in Roberto Mancini, Solidarietà. Una prospettiva etica, Mimesis, Milano 2017, p. 189.
[8] Cf. Rahel Jaeggi, Solidarity and Indifference, in Ruud ter Meulen, Wil Arts e Ruud Muffels (a cura di), Solidarity in Health and Social Care in Europe, Kluwer, Dordrecht 2001, pp. 287-308.
[9] Cf. Alberto Martinelli, I principi della Rivoluzione e la società moderna, in Aalberto Martinelli, Michele Salvati e Salvatore Veca, Progetto 89. Tre saggi su libertà, eguaglianza e fraternità, il Saggiatore, Milano 1989, pp. 25-125.
[10] Su questo, si veda: Antonio Negri, L’Europa e l’Impero. Riflessioni su un processo costituente, manifestolibri, Roma 2003.
[11] Cf. Rosemary Nagy, Reconciliation in Post-Commission South Africa. Thick and Thin Accounts of Solidarity, «Canadian Journal of Political Science/Revue Canadienne de Science Politique», 35, 2, 2002, pp. 323-346.
[12] Cf. Claus Offe, L’Europa in trappola. Riuscirà l’Ue a superare la crisi?, il Mulino, Bologna 2016.