“Sotto scacco” di Lorenzo Castellani
- 04 Marzo 2022

“Sotto scacco” di Lorenzo Castellani

Recensione a: Lorenzo Castellani, Sotto scacco, Liberilibri, Macerata 2022, pp. 132, 14 euro (scheda libro)

Scritto da Luca Picotti

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Se ne L’ingranaggio del potere Lorenzo Castellani, saggista e docente di Storia delle istituzioni politiche presso la LUISS “Guido Carli” di Roma, aveva indagato a fondo l’emergere del principio aristocratico della competenza in luogo di quello democratico della rappresentanza, in Sotto scacco, il suo nuovo lavoro, prende spunto dalle accelerazioni impresse dalla pandemia per sistematizzare le proprie intuizioni in un castello teoretico ben preciso. Tecnocrazia, burocratizzazione, stato di eccezione, capitalismo della sorveglianza, razionalizzazione dell’esistente, scientismo e complottismo: sono solo alcuni dei diversi temi trattati dall’autore. L’eccezionalità dell’evento del Covid-19 si è tradotta in uno strappo nel cielo di carta della contemporaneità, che ha finito per mostrare con maggiore nitidezza, quando non proprio accelerare, tendenze e dinamiche che covavano già da tempo nel sottosuolo delle nostre strutture politiche, sociali e istituzionali.

La pandemia diventa così l’occasione per dare vita ad una riflessione di più ampio respiro che, allo stesso tempo, assume anche le sembianze di un vero e proprio manifesto liberale, ove i valori cari all’autore – liberalismo, decentralizzazione del potere, corpi intermedi – vengono sottolineati come alternativa allo Zeitgeist di questa fase storica.

Inoltre, le analisi sulla (bio)politica che si risolve in amministrazione delle cose, sulla razionalizzazione dell’esistente, ridotto a funzionalità, benessere standardizzato e stillicidio procedurale, su scientismi e fedi cieche nella tecnica, sono sovente colorate da un romanticismo letterario suggestivo, che testimonia con un’efficacia che solo la letteratura può vantare l’insofferenza di fronte alla gabbia burocratica che le società complesse hanno prodotto: una volta è il Dostoevskij delle Memorie dal sottosuolo, l’altra è John il selvaggio di Huxley, che di fronte all’invito di Mustapha Mond di tornare alle comodità del mondo civile, rivendica con forza il proprio diritto all’imperfezione – «Ma non voglio comodità. Voglio Dio, voglio la poesia, voglio il vero pericolo, libertà, bontà. Voglio il peccato». «E dunque», dice Mustapha Mond, «stai reclamando il diritto all’infelicità». «Così sia», dichiara il selvaggio con tono di sfida, «sto reclamando il diritto all’infelicità».

Diritto all’infelicità come diritto all’imperfezione, una metafora che racchiude il conflitto, il limite, l’errore, la molteplicità. Tutto quanto la deriva tecnocratica e scientista tende a comprimere, ci dice Castellani, riducendo, velleitariamente, il reale ad una sola interpretazione, schematica, artificiale, sedicente vera. Di conseguenza, la dialettica politica viene ad essere sostituita dalla presunta efficienza tecnica; il sapere viene dogmatizzato; il pluralismo soffocato; la democrazia, implicitamente, svuotata. Con il risultato che «la politica è ridotta a mera attività di regolazione dei rischi, o meglio brancola nel buio alla ricerca di un irraggiungibile rischio zero con l’aiuto dell’amministrazione e della tecnocrazia che la rimpiazzano nella decisione» (p. 18), mentre la «scienza si riduce a una tecnica come un’altra per imporre un pensiero escludente e ortodosso», «convertendo le sue proposizioni in norme, divulgando i suoi risultati piuttosto che i suoi metodi e tacendo le limitazioni epistemologiche della scienza stessa» (p. 47).

In merito al pensiero ortodosso ed escludente, un esempio tra i tanti è rappresentato dall’intolleranza della narrazione dominante manifestata verso coloro che avevano provato ad esprimere qualche minima perplessità circa l’origine del virus, relegati fin da subito nell’alveo dei complottisti, quando non razzisti. Qui il punto non è discutere sulla origine naturale o artificiale del Covid-19, ma proprio dell’emergere di un autoproclamatosi sapere dogmatico che ha fin dal principio eradicato anche solo la possibilità di coltivare il dubbio. In una questione così oscura e potenzialmente aperta, in cui forse nemmeno le agenzie di intelligence riusciranno ad addivenire a una risposta definitiva, è stato negato persino il semplice diritto di non sapere: perché avrebbe significato tenersi aperte le porte del dubbio, ossia, secondo i canoni della verità dominante, sposare una prospettiva complottista.

Allo stesso tempo Castellani sfrutta gli spunti offerti dalla pandemia per decostruire l’estremo opposto del fenomeno di cui sopra: ossia, l’effettivo complottismo, da sempre esistente ma che con il virus ha trovato nuova linfa. Ebbene, sottolinea l’autore, un conto sono le analisi sulle élite e le reti di potere, tra dinastie industriali, influenti uomini di Stato e interessi convergenti, sviluppate da autorevoli studiosi come Carroll Quigley e Niall Ferguson, un altro è pensare che il movimento del mondo sia guidato da una oligarchia planetaria che persegue i propri scopi a danno dei cittadini comuni. Questo, scrive Castellani liquidando con eleganza tali tendenze paranoiche senza spenderci più tempo del dovuto, semplicemente perché la realtà è troppo complessa affinché vi sia un unico centro di interessi capace di plasmarla e guidarla: «Come si può credere che in un mondo così complesso e con una conoscenza strutturalmente limitata ci sia qualcuno che possa da solo tirare i fili della cospirazione? Forse lo si pensa proprio per questo motivo: è un mondo troppo complesso e de-responsabilizzato, un potere troppo burocratizzato e allo stesso tempo disperso che l’unica risposta è la brutale semplificazione» (p. 48).

In generale, la struttura del libro è imperniata su un nucleo concettuale preciso: potere e stato d’eccezione, sullo sfondo della sempre più invasiva struttura burocratizzata e centralizzata dello Stato – a sua volta, nel caso europeo, inserito nella tecno-struttura dell’Unione, un costrutto giuridico-economico volto a regolare dall’alto l’agire delle diverse realtà nazionali che lo compongono. Su questi aspetti, la pandemia ha sicuramente impresso una notevole accelerazione: un profluvio di fondi pubblici per salvare l’economia, l’istituzione di task force, comitati tecnici, strutture amministrative per l’implementazione dei piani governativi, l’accentramento dei poteri, lo scardinamento degli ordoliberali schemi fiscali europei. Il tutto nella cornice dello stato di eccezione, quantomeno nella sua forma leggera, per dirla con lo storico Charles Maier, che ha consentito un insieme di misure restrittive inedite, rese necessarie per il contenimento della pandemia, ma di una portata inimmaginabile in altri tempi. Sulla possibilità che si tratti di un pericoloso precedente – una volta compiuto il primo passo, è sempre difficile tornare indietro – nonché sul rischio che l’eccezione diventi la regola, con la normalizzazione dell’emergenza, si deve quantomeno discutere, ci dice Castellani. Perché si tratta di equilibri fragili; la capacità di riassorbire strappi istituzionali così marcati non è scontata. Ragione per cui, nella consapevolezza che quanto si è fatto non è stato altro che una risposta ad un evento eccezionale adottata in maniera non troppo dissimile in tutti i Paesi, è necessario monitorare attentamente i possibili sviluppi. Anche perché, sostiene l’autore, ulteriori accelerazioni in questa direzione rischiano di essere apportate dalla sfida al climate change se affrontata con un approccio eccessivamente radicale. Difatti, da un punto di vista lessicale, nota Castellani, ci si è già spostati da climate change a climate crisis; il passo per giungere a climate emergency è breve.

«Dopo la pandemia, l’evocazione dell’emergenza e il ricorso a poteri straordinari da parte di leadership politiche in difficoltà, per diversi e più futili motivi, al fine di stabilizzare il proprio potere e neutralizzare il conflitto politico, potrebbe divenire pratica più diffusa» (p. 72). La via hobbesiana alla politica – in cui la propria vita viene messa nelle mani del sovrano affinché la tuteli – inserita nella cornice dello Stato di polizia, inteso oggi come potere disciplinante a garanzia della sanità della popolazione oltre che della buona amministrazione delle cose, che va ad erodere o circoscrivere gli spazi propri della rule of law, rischia di essere favorita poi dalle nuove tecnologie digitali. Sia chiaro: per Castellani il progresso tecnologico è qualcosa di positivo. Però, come è risaputo, le tecnologie sono strumenti di per sé neutri, ove è l’uso, dunque, a determinarne la portata. In questo caso, nella propria analisi sul rapporto tra potere e cittadini, ordine e libertà, l’autore mette in guardia dalla tenaglia composta dai due diversi modelli – via via più convergenti – che potrebbero plasmare il futuro delle società: quello autoritario cinese, ove le tecnologie sono utilizzate dallo Stato al fine di attuare un controllo sociale su larga scala, e quello occidentale del capitalismo della sorveglianza, dominato da grandi monopoli digitali spesso vicini ai governi, in una osmosi privato-pubblico che rischia di presentare la stessa concentrazione di potere del modello (per ora) alternativo.

La conclusione di Castellani è che «la pandemia ci ha messo sotto scacco. Ha accelerato le tensioni sotterranee, ma già presenti nella nostra società […] Il potere di polizia, i controlli fiscali, l’apparato tecno-burocratico e la recente biosicurezza potenziata a causa della pandemia remano tutte nella medesima direzione: quella di una società della sorveglianza che rimpiazza il sistema delle libertà in cui siamo cresciuti. Se i poteri emergenziali dello stato di eccezione leggero diventeranno la “nuova normalità”, la ridefinizione del rapporto tra libertà individuale e domanda collettiva di sicurezza diventerà un problema sempre più angosciante per le nostre società». Da qui, l’appello finale a riscoprire la rule of law, la decentralizzazione del potere, il pluralismo istituzionale, la fallibilità della ragione, la medietà. Un manifesto che, anzitutto, è l’area conservatrice-liberale, cui appartiene Castellani, a dovere studiare a fondo. Ma che può interessare, quantomeno per quanto concerne la fase diagnostica delle premesse, anche altre aree politiche, perché in Sotto scacco la denuncia concerne un processo sempre più marcato di tecnicizzazione della politica e di accentramento del potere – facilitato dalle tecnologie, tema fondamentale che questo volume, approfondendolo, aggiunge all’impianto teoretico de L’ingranaggio del potere – che rischia di svuotare qualsivoglia ideale democratico.

Poi, ovviamente, vi sono alcuni punti che meriterebbero di essere discussi o quantomeno problematizzati: ad esempio, per quanto concerne la contrapposizione tra libertà e sicurezza, vi è chi potrebbe obiettare che senza sicurezza non può esistere libertà. Trovare un punto di equilibrio non è facile, ma quello che conta – e che Castellani vuole dirci – è che il rischio è di scivolare verso l’estremo della sicurezza allontanandosi non solo dall’estremo opposto della libertà, ma anche dall’eventuale punto di equilibrio, è reale. Ancora: nelle ultime pagine l’autore si cimenta in raffinate riflessioni sulla limitatezza umana e, nel caso concreto, sulla fallibilità dei governi, che per il solo fatto di essere composti da uomini non saranno mai onniscienti, ma imperfetti. Questo discorso però vale anche per l’auto-governo o, in generale, per la responsabilità individuale; la fallibilità è intrinseca in ambedue i livelli di organizzazione umana, sicché alla fine la scelta si riduce a quella tra un sistema più organico ma con rischi di tendenze dirigiste o uno più leggero ma probabilmente più irrazionale. Infine, l’appello per una decentralizzazione, in luogo dell’attuale sistema burocratico e di potere concentrato statale – sintetizzabile, specie nei Paesi che ancora “fanno la Storia”, nella formula del complesso militare-industriale coniata da Eisenhower – rischia di mal conciliarsi con quella volontà di potenza geopolitica che permette ad alcuni Imperi di mantenere la propria posizione dominante senza farsi travolgere da altri che, magari, finirebbero per diffondere nuovi modelli ancora più dispotici; anche su questo aspetto, i confini sono delicati e il dibattito necessario.

Quanto però rimane costante, in ogni analisi, è il ruolo del potere nella conformazione politica, istituzionale e sociale, sia in ambito statale che sovranazionale. Un tema che Castellani da anni porta avanti e che in quest’ultimo libro si rivela fondamentale per comprendere le tendenze del nostro tempo. Stato di eccezione, tecnocrazia, centralizzazione. Dinamiche che vanno monitorate, anche perché i nostri ordinamenti sono fragili e malleabili. In merito, è bene tenere a mente la bellissima citazione di Carl Schmitt riportataci dall’autore: «Chi dice diritto vuole ingannare, chi dice potere vuole smascherare». Un buon punto di partenza per capire il nostro presente e cogliere gli orizzonti futuri.

Scritto da
Luca Picotti

Avvocato e dottorando di ricerca presso l’Università di Udine nel campo del Diritto dei trasporti e commerciale. Autore di “La legge del più forte. Il diritto come strumento di competizione tra Stati” (Luiss University Press 2023). Su «Pandora Rivista» si occupa soprattutto di temi giuridico-economici, scenari politici e internazionali.

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