“Sottomissione” di Michel Houellebecq. Una recensione politica
- 28 Giugno 2015

“Sottomissione” di Michel Houellebecq. Una recensione politica

Recensione a: Michel Houellebecq, Sottomissione, Bompiani, Milano 2015, pp. 252, 17.5o euro (Scheda libro).

Scritto da Andrea Pareschi

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Recensire Soumission, il romanzo di Michel Houellebecq, non è solo recensire un’opera letteraria: la vena fantapolitica che lo innerva fa sì che esso non solo si inserisca in dibattiti attuali e accesi sul futuro delle società europee, ma retroagisca anche su di essi con i suoi spunti. Ciò che mi interessa è quindi una valutazione critica della dimensione di speculazione politica del libro [1].

Il suo ingresso nel dibattito pubblico è stato garantito innanzitutto da una coincidenza: il romanzo, nel quale si narra dell’ascesa al potere di un partito islamico in Francia nel 2022, è comparso nelle librerie francesi il 7 gennaio, data dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo. Nel suo ultimo numero, il settimanale satirico gli aveva dedicato una recensione e la vignetta di copertina. E nei giorni in cui la sollevazione repubblicana in difesa della libertà di espressione si accompagnava ai timori esistenziali dell’Occidente sul rapporto con l’Islam, Sottomissione si installava in testa alla classifica dei best-seller, mentre Houellebecq negava recisamente che la sua opera fosse islamofoba.

Il libro è “placidamente strano, nato, si direbbe, dalla fusione di tre testi differenti: un romanzetto di fantapolitica, un racconto dedicato al mesto declino umano di un accademico parigino e un saggio su J. K. Huysmans, uno dei padri del decadentismo tardo-ottocentesco” [2]. Il protagonista, François, è un professore di letteratura alla Sorbona (Paris III) esperto di Huysmans, di mezza età, pressoché solo e privo di slancio vitale; François non ha mai avuto la vocazione per l’insegnamento né apprezzato i giovani, e ha consumato la sua vita sentimentale (da studente e da insegnante) in relazioni con studentesse diverse di anno in anno, per poi ripiegarsi su prostitute e pornografia.

La vicenda di François si intreccia con i prodromi dell’ascesa dell’Islam in Francia fin da quando il professore trova “tre tipi sulla ventina, due arabi e un nero”, che pur senza atteggiamenti minacciosi ostacolano con la loro presenza l’accesso all’aula di lezione: “quel giorno non [sono] armati”, pensa ricordando voci di aggressioni a insegnanti cui però sostiene di non credere sul serio. Qui si accenna alla scomparsa dell’Unione degli studenti ebrei di Francia dalle rappresentanze universitarie parigine, forse per effetto di “un accordo tra i movimenti dei giovani salafiti e le autorità universitarie”. Quanto alla situazione politica nazionale, le elezioni del 2017 sono state vinte al ballottaggio dai socialisti sul Front National, premiando la sinistra in un Paese sempre più a destra, e in un’atmosfera marcata da “una sorta di disperazione soffocante, radicale, ma attraversata qua e là da bagliori insurrezionali”, molti hanno scelto l’esilio. E’ a quel punto che Mohammed Ben Abbes ha fondato la Fratellanza musulmana, ancorandola a posizioni moderate, imperniandone l’azione politica su fitte reti di associazioni giovanili, culturali e assistenziali, ed estendendo il suo consenso oltre la comunità musulmana fino a raggiungere il 21%. Sullo sfondo, gli scontri fra estrema destra e giovani immigrati durano ormai da anni, ma i giornali di centrosinistra (“il che in pratica significava tutti i giornali”) li ignorano e attaccano le cassandre che preconizzano scontri di più ampia portata: un uso del mito di Cassandra che evidenzia la cecità degli stessi giornalisti, dal momento che le sue profezie, pure mai ascoltate, erano corrette.

Gli scontri coinvolgono Parigi, avvicinandosi al milieu di François, e il professore conosce la prima di tre persone che nel corso del libro spiegheranno a lui, politicamente passivo, “come stanno le cose”: Godefroy Lempereur, giovane professore associato alla Sorbona, che colpisce François con il suo stile e il suo “piglio intellettuale di destra molto seducente”, e che è stato vicino ai “movimenti identitari” di destra, anche se François lo sospetta di avervi ancora un ruolo di spicco. Dopo aver ribadito l’imprevedibilità della situazione, Lempereur lo introduce ai piani del movimento degli “Indigeni europei” per una guerra civile da combattersi contro gli islamici – il più presto possibile, dato il vantaggio di cui questi godono per il loro tasso demografico. Nel frattempo, ha luogo il primo turno delle elezioni presidenziali e Marine Le Pen giunge al primo posto con il 34%, ma dopo un serrato testa a testa è il candidato musulmano che approda al ballottaggio. In facoltà le studentesse in burqa di François, “più sicure e più lente del solito, [avanzano] tutt’e tre affiancate in mezzo al corridoio, senza rasentare i muri, come se fossero già padrone del territorio”.

Alain Tanneur, marito di una collega di François e membro dei servizi di intelligence, gli racconta delle trattative segrete tra Fratellanza musulmana e Partito socialista in vista del secondo turno. Ai socialisti è offerta una metà dei ministeri e non vi sono quasi divergenze se non sull’istruzione, materia in cui la ferrea determinazione del partito islamico piegherà le resistenze socialiste. Questo porterebbe alla necessità di adeguare l’istruzione al Corano; alla fine delle classi miste; all’obbligo di conversione all’Islam per i docenti; alla chiusura di molti indirizzi di studi alle donne; e all’affiancamento di scuole islamiche private ben finanziate ad una scuola pubblica ridotta all’osso.

Qui il romanzo prende una breve piega noir, dopo che l’ultima amante di François, la studentessa ebrea Myriam, si trasferisce in Israele (i suoi genitori temono per la loro sorte sia sotto il Front National sia sotto gli islamici). La facoltà viene improvvisamente chiusa a tempo indeterminato. Una manifestazione indetta da Marine Le Pen si conclude con violenze urbane cui prendono parte battaglioni di uomini mascherati in armi. Da Parigi François fugge a sud, percorrendo autostrade deserte mentre le stazioni radio trasmettono solo ronzii confusi, passando per un’area di servizio devastata e popolata di cadaveri, e trovando rifugio nel paesino di Martel. Qui gli giunge la notizia che durante il secondo turno gruppi armati hanno trafugato una ventina di urne in tutta la Francia, e che quindi l’elezione sarà ripetuta. E qui incontra di nuovo Tanneur, che attribuisce le violenze sia ai giovani jihadisti sia ai militanti di destra, non direttamente collegati alla Fratellanza e al Front National, ma tutti preoccupati di una sconfitta. Assecondando un’altra ipotesi di Tanneur, l’UMP non si schiera con Marine Le Pen ma entra in un “fronte repubblicano” a sostegno di Ben Abbes: rispetto ai socialisti “la cosa sarà meno difficile per l’UMP, che è ancora più vicino alla disintegrazione, e che non ha mai dato la minima importanza all’istruzione, concetto che gli è pressoché estraneo”. Tanneur enfatizza infine il tentativo di Ben Abbes di presentare l’Islam come un nuovo umanesimo, il suo sforzo di ingraziarsi i cattolici, il suo disprezzo per i terroristi… e il suo piano neo-gollista di fare dell’Europa un potente blocco euromediterraneo con l’inclusione di Paesi arabi.

Quanto alla restaurazione della famiglia, della morale tradizionale e, implicitamente, del patriarcato, davanti a lui si apriva un’autostrada che né i rappresentanti della destra né tantomeno quelli del Fronte nazionale potevano percorrere senza farsi dare dei conservatori o addirittura di fascisti dagli ultimi sessantottini, mummie progressiste moribonde, sociologicamente esangui ma rifugiate nelle cittadelle mediatiche che continuavano a dar loro la possibilità di inveire contro i guasti dell’epoca e l’aria mefitica che pervadeva il paese; solo Ben Abbes era al riparo da qualsiasi pericolo. Paralizzata dal suo antirazzismo costitutivo, la sinistra era stata sin dall’inizio incapace di combatterlo e anche solo di menzionarlo.

Vinte le elezioni da Ben Abbes e ristabilito l’ordine, François rientra a Parigi e nota le prime tracce del “cambiamento di regime politico” nell’abbigliamento femminile. Nella nuova università islamica di Paris III-Sorbona [3] non può più insegnare, non essendo musulmano, ma i copiosi finanziamenti che affluiscono dall’Arabia Saudita gli assicurano una pensione generosa. E la sua esistenza, fra la morte dei genitori con cui non aveva più rapporti, la fine dei contatti con Myriam (che si rifà una vita in Israele), l’insoddisfazione sessuale e l’incapacità di trovare Dio come Huysmans, è a un punto cieco. Questo finché non incontra Robert Rediger – nuovo Rettore della Sorbona islamica e sottosegretario all’università – sotto la cui influenza finisce per cadere: per la forza delle sue riflessioni, lo splendore della sua abitazione storica, le delizie culinarie ed estetiche delle sue mogli (la poligamia è divenuta legale). Interprete e apologeta della Francia di Ben Abbes come Mustapha Mond lo era del Brave new world di Aldous Huxley, Rediger traccia a fine romanzo una visione per legittimare la scelta di abbracciare l’Islam, unica forza vitale per l’Occidente di fronte alla vacuità dell’umanesimo laico e all’inarrestabile declino della cristianità:

Il massiccio arrivo di popolazioni immigrate fedeli a una cultura tradizionale ancora modellata sulle gerarchie naturali, sulla sottomissione della donna e sul rispetto dovuto agli anziani, costituiva un’occasione storica per il riarmo morale e familiare dell’Europa, creava la possibilità di una nuova età dell’oro per il Vecchio Continente.

François, che eroe non è, decide di convertirsi e tornare ad insegnare, soprattutto per i vantaggi garantiti dalla poligamia. Quanto a Ben Abbes, i suoi piani procedono con negoziati per l’ingresso del Marocco nell’UE e un calendario già fissato per la Turchia, un calo della disoccupazione dovuto all’uscita in massa delle donne dal mercato del lavoro, un aumento drastico dei sussidi familiari compensato da un calo della spesa pubblica in istruzione, l’abbassamento dell’età di istruzione obbligatoria a 12 anni, la fine degli aiuti di Stato a grandi gruppi industriali e misure in favore di artigianato e imprenditorialità familiare.

Il romanzo è narrato in prima persona – e François è più rappresentativo dell’uomo comune di quanto non sembri ad un primo sguardo [4]. Il professore, che non si ritiene membro di élite al di fuori del suo orticello legato a Huysmans, ha una vita privata disastrata e colma di insicurezze. Di più: si definisce “politicizzato quanto un asciugamani”, “passabilmente rassegnato e apatico” in politica fino a che gli eventi precipitano, ma tuona contro lo “scarto crescente, divenuto abissale, tra la popolazione e chi [parla] in suo nome, politici e giornalisti”. Della “società civile”, evidentemente, François non ha mai sentito la volontà o la necessità di far parte. E anzi, il suo afflato antipolitico si riflette in sprezzante disistima per la democrazia francese:

Durante la mia giovinezza, le elezioni erano la cosa meno interessante possibile; la mediocrità dell’offerta politica era addirittura sbalorditiva. Un candidato di centrosinistra veniva eletto per uno o due mandati a seconda del suo carisma individuale, oscuri motivi gli impedivano di concluderne un terzo; poi la popolazione si stufava di quel candidato e più in generale del centrosinistra, si assisteva a un fenomeno di alternanza democratica e gli elettori portavano al potere un candidato di centrodestra, anche lui per uno o due mandati, a seconda della natura specifica. Curiosamente, i paesi occidentali erano molto fieri di questo sistema elettorale, che tuttavia era poco più che una spartizione del potere fra due gang rivali, a volte arrivavano addirittura a scatenare guerre allo scopo di imporlo a paesi che non condividevano il loro entusiasmo.

Né questa critica si limita genericamente a “politici e giornalisti”. I socialisti scompaiono dalla narrazione dopo l’elezione di Ben Abbes, senza opporsi a stravolgimento dell’istruzione, esclusione delle donne dalla vita sociale e familismo economico. L’UMP fa una figura altrettanto misera e ancor peggio è descritto il centrista François Bayrou: come l’utile idiota di Ben Abbes, stregato dalla carica di primo ministro che il presidente gli offre per attrarre l’elettorato cattolico in segno di pacificazione religiosa. Ma qui si verifica uno dei cortocircuiti del romanzo. La distopia è peculiare perché collocata ad appena otto anni da ora, cosicché fa finire sotto attacco i partiti attuali – ma per scelte che nella realtà non hanno compiuto. Nonostante la debolezza mostrata dai socialisti sotto la presidenza di Hollande, il prezzo che Houellebecq immagina paghino a Ben Abbes per entrare nel governo è oltre ogni limite. Inoltre la ricostruzione messa in bocca all’esperto Tanneur, per cui “il vero programma dell’UMP, così come quello del Partito socialista, è la scomparsa della Francia, la sua integrazione in un insieme federale europeo”, è assurda e infondata.

L’autore coglie nel segno nel far notare che, sebbene l’asse destra/sinistra abbia strutturato i sistemi partitici delle democrazie europee, niente consente di escludere che siano altre dimensioni sociali di conflitto politico a prevalere in futuro. Il romanzo ci ricorda pure che antisemitismo e antisionismo non sono scomparsi, e che la questione palestinese ha ancora importanza per gli arabi di Francia. La parte fantapolitica del romanzo contiene però imprecisioni tali da ridimensionare notevolmente la sua portata “profetica”. Per quanto la Francia sia il Paese europeo che conta il maggior numero di musulmani – 5-10 milioni su circa 66, anche se stime basate sull’adesione a un credo religioso puntano piuttosto verso 2-3 milioni [5] – è difficile supporre che questi potrebbero mai avvicinare il 21%, anche se costituissero davvero un blocco sociale coeso anziché una variegata galassia attraversata da mille differenze. Il governo Bayrou, con le riforme che riesce a instaurare, risulta poi più rivoluzionario di qualunque altro governo della storia della democrazia occidentale o quasi: cosa inverosimile per di un governo di coalizione, nella cui maggioranza parlamentare si suppone che PS e UMP detengano un peso ampio e decisivo. Il piano di Ben Abbes di porre la Francia alla testa di un blocco euromediterraneo musulmano ha pochissima sostanza: l’Unione per il Mediterraneo ha ben pochi poteri e risorse, l’ingresso della Turchia è forse più improbabile oggi di quanto lo sia mai stato, quello del Marocco è impedito dai criteri di ammissione dell’UE, e ci sono scarse possibilità che le istituzioni europee giungano mai all’elezione a suffragio universale di un presidente europeo (che nelle fantasie di Tanneur potrà essere lo stesso Ben Abbes). Da ultimo, sembra lecito dubitare che l’impresa familiare promossa dal regime musulmano sia un modello adeguato agli attuali tempi, adatto alla prevalenza del settore dei servizi, alla centralità di ricerca e sviluppo e all’export, mentre l’esclusione delle donne da determinate categorie di lavori qualificati sembra uno svantaggio competitivo non da poco. Il capitale, come attore rilevante nei processi politici, è gravemente assente dal volume. Come scrive Baricco, “vendere per verosimile quella Francia lì presume una disponibilità esagerata, quasi infantile, a sottovalutare la complessità della situazione” e “tenere almeno conto degli immensi incroci di potere che stanno sullo sfondo della frizione fra Occidente e Islam è il minimo che si dovrebbe pretendere”.

Su una cosa, però, non c’è dubbio: il fronte islamico emerge bene dal romanzo, sia perché non ha legami con il terrorismo, sia perché possiede una sua visione politica. Del resto, pur avendo in passato bollato l’Islam come “la religione più stupida”, lo scrittore ha poi rivalutato il Corano. Attenzione: a destra vi è comunque chi interpreta il jihadismo e la “rivoluzione” di Ben Abbes nella stessa luce, scrivendo che “Houellebecq non dipinge i suoi fondamentalisti islamici fittizi come autori di qualcosa di peggio di quel che hanno già fatto: le loro azioni sono semplicemente più sistematiche, più estese, più accettate dalla popolazione” [6]. Ad uscire malissimo dal romanzo è però l’alta società francese, che si sottomette prontamente ai nuovi conquistatori, mostrando, nella satira non islamofoba ma alquanto francofoba di Houellebecq, come i suoi valori illuministi non reggano il confronto con il tradizionalismo conservatore e anti-consumista propugnato dall’Islam [7].

Dovremmo attaccare Houellebecq per aver piegato la realtà politica del presente alle esigenze narrative della sua distopia? Dovremmo ritenerlo un irresponsabile per aver gettato nel dibattito politico un “romanzetto di fantapolitica”, che rischia di agire sulle coscienze proponendo le domande giuste ma anche le risposte sbagliate? La risposta diretta dell’autore alla domanda “Sente di avere delle responsabilità quando scrive?”, in un’intervista al Corriere della Sera, è la seguente:

No, io mi sento sempre irresponsabile e lo rivendico, altrimenti non potrei continuare a scrivere. Il mio ruolo non è aiutare la coesione sociale. Non sono né strumentalizzabile, né responsabile. [8]


[1] Non farò invece una recensione del volume inteso come opera d’arte – in parte perché il fulcro della riflessione è diverso, in parte per evitare che giudizi su di essa finiscano per estendersi all’abilità dell’autore. Sarebbe infatti sin troppo facile trovare articoli in cui Houellebecq viene etichettato come “sopravvalutato” o “mediocre” da giornalisti che, criticando le convinzioni politiche sue o dei suoi protagonisti, seguono il più classico degli argomenti ad hominem. E d’altra parte, non ho le competenze per arrischiarmi a giudicarne obiettivamente la grandezza artistica.

[2] L’inutile lezione del professor Houellebecq, articolo pubblicato da La Repubblica il 20 gennaio 2015 (www.zeroviolenza.it/rassegna/pdfs/20Jan2015/20Jan20151c01f87fec1e2bb62d9546fd016f064a.pdf)

[3] Ora “nell’anticamera si era accolti da una fotografia di pellegrini impegnati nella deambulazione intorno alla Kaaba, e gli uffici erano ornati da cartelli con versetti del Corano calligrafati; le segretarie erano tutte cambiate […] ed erano tutte velate”.

[4] www.glistatigenerali.com/letteratura/ma-vale-la-pena-di-leggere-houellebecq/

[5] Frédéric Pichon, Laïcité cattolica e jihadisti secolari, in Limes 1/2015

[6] Gaby Wood, Michel Houellebecq’s Soumission: More prescient than provocative, in Daily Telegraph, 15 gennaio 2015 (www.telegraph.co.uk/culture/books/11348416/Michel-Houellebecqs-Soumission-More-prescient-than-provocative.html)

[7] Adam Gopnik, The next thing, in The New Yorker, 26 gennaio 2015 (http://www.newyorker.com/magazine/2015/01/26/next-thing)

[8] Giuseppe Rizzo, Michel Houellebecq è una carogna, in Internazionale, 17 gennaio 2015 (www.internazionale.it/opinione/giuseppe-rizzo/2015/01/17/michel-houellebecq-e-una-carogna)

Scritto da
Andrea Pareschi

Policy officer responsabile delle politiche digitali nella Delegazione della Regione Emilia-Romagna presso l’UE. Professore a contratto di Sistema Politico Italiano all’Università di Bologna tra il 2020 e il 2022. Nel 2019 ha conseguito un dottorato di ricerca in Political Science, European Politics and International Relations presso la Scuola Superiore Sant’Anna e le università di Siena, Pisa e Firenze. Laureato magistrale in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Forlì, ha frequentato il Collegio Superiore di Bologna. Ha trascorso soggiorni di ricerca presso l’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne e il King’s College London.

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