Recensione a: Dieter Grimm, Sovranità. Origine e futuro di un concetto chiave, Introduzione di Geminello Preterossi, Laterza, Roma-Bari 2023, pp. 160, 18 euro (scheda libro)
Scritto da Luca Picotti
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È stato tradotto di recente, a cura di Geminello Preterossi e Olimpia Malatesta, per Editori Laterza il famoso saggio di Dieter Grimm, uno dei più importanti costituzionalisti tedeschi, Souveränität. Herkunft und Zukunft eines Schlüsselbegriffs (tradotto in italiano con Sovranità. Origine e futuro di un concetto chiave), che analizza tale concetto in prospettiva storica e con diverse riflessioni sulla sua declinazione oggi, a partire dal caso dell’Unione Europea, il tentativo forse più ambizioso di superare i presupposti della sovranità vestfaliana in capo allo Stato. Il lavoro di Grimm, come sottolinea Preterossi nell’introduzione, aiuta a uscire dal circolo vizioso che intende ridurre ogni riflessione sulla sovranità al sovranismo, etichetta semplicistica emersa nel dibattito degli ultimi anni per descrivere taluni movimenti politici, da quello di Meloni a quello di Le Pen, passando per Trump e il PiS polacco. La banalizzazione del concetto di sovranità, assorbito dalla categoria di sovranismo, è stata alimentata, da un lato, da partiti e opinione pubblica appartenenti al mondo centrista-europeista, nella cornice di una connotazione negativa del termine finalizzata ad ostracizzare qualsivoglia discorso sullo Stato-nazione, dall’altro dall’investimento in questa etichetta da parte dei sopracitati movimenti “populisti”, quantomeno a parole e soprattutto per fini elettorali. Il merito del libro del giurista tedesco è quello di riportare la riflessione su tale categoria ad un livello adeguato: trattasi, difatti, di un concetto ancora attuale, che merita pertanto di essere discusso; si pensi solo alla letteratura sulla fine dello Stato in un mondo globalizzato, o sull’emergere delle organizzazioni sovranazionali, o ancora sulla cessione di competenze da parte dei Paesi membri alle istituzioni comunitarie. Tutte queste tematiche passano dalla, storicamente profonda, questione su cosa significa essere sovrano e ove risiede, oggi, tale dimensione.
Gli autori su cui si appoggia Grimm nel suo excursus storico sono molti: Jean Bodin, Thomas Hobbes, Hans Kelsen e Carl Schmitt, solo per citare i più noti. Per quanto concerne l’oggetto di studio, troviamo la nascita degli Stati Uniti, con annesso il dibattito sulla ripartizione della sovranità tra potere centrale e singoli Stati, la Rivoluzione francese e la formazione del federalismo tedesco. Un aspetto fondamentale della sovranità, sottolinea Grimm, è la sua dimensione geografica, valorizzata dal paradigma vestfaliano (1648): «Il fenomeno determinante per la comprensione della sovranità moderna, rispetto a quella medievale, è la territorializzazione del potere politico avvenuta con la nascita degli Stati. Il potere statuale è un potere delimitato territorialmente. Esso determina la distinzione tra il dentro e il fuori, così come – nel caso delle persone – tra cittadini e stranieri, sulla base della quale si è potuta sviluppare un’identità nazionale. La sovranità non si esprimeva soltanto nel governo degli abitanti di un dato territorio, ma anche nella capacità di governare i propri confini» (pp. 78-79). Da qui l’attributo forse principale della sovranità: il dato geografico, che funge da perno per identificare l’autonomia sovrana sia all’interno, ossia come potere ultimo non subordinato ad alcun altro potere, sia all’esterno, come potere autonomo da altri poteri. L’autonomia è il requisito fondamentale della sovranità.
Questa posizione di astratta parità ha dato origine, peraltro, a quello che oggi chiamiamo diritto internazionale, ossia un livello normativo che ruota attorno al coordinamento tra enti autonomi, senza gerarchie (almeno sulla carta). Dopodiché, sarà il Ventesimo secolo a rappresentare una interessante fucina di novità per la categoria della sovranità. Si sviluppa il paradigma di San Francisco delle Nazioni Unite; il diritto internazionale in generale, un tempo focalizzato esclusivamente sulle relazioni tra Stati, inizia ad occuparsi anche di diritti umani, quindi parlando direttamente agli individui; vengono create entità come il WTO (World Trade Organization) per regolare il commercio internazionale; viene stipulata la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, con una Corte, la CEDU, impegnata a garantirne il rispetto, innanzi alla quale è possibile convenire gli Stati quando si ritiene stiano violando la Convenzione stessa.
Infine, è impossibile non menzionare il progetto europeo, ambizioso costrutto che trascende le logiche del diritto internazionale e integra un’entità ibrida che ha interrogato tutti i più grandi studiosi della sovranità. Vi sono, infatti, diverse caratteristiche inedite che fanno quantomeno discutere su una permanenza della sovranità in capo agli Stati a seguito del processo di integrazione europea: l’ingerenza della CGUE; il primato del diritto comunitario su quello nazionale (salvo i controlimiti); la cessione di competenze esclusive alle istituzioni comunitarie; l’allargamento delle decisioni a maggioranza qualificata (l’unanimità rappresenta di fatto l’appoggio ultimo della sovranità nazionale, che può porre il veto); la cessione della sovranità monetaria per gli aderenti all’eurozona. Una serie di profili che allontanano, senza dubbio, l’Unione da qualsivoglia altra organizzazione sovranazionale. Eppure, ciò non basta, sostiene Grimm, a ritenere che gli Stati abbiano abdicato alla propria sovranità in favore del costrutto comunitario. Merita riportare questo passaggio del libro, a parere di chi scrive centrale: «Nessuna organizzazione sovranazionale o internazionale, nemmeno l’UE, è nel pieno possesso del potere pubblico. Nessuna di esse ha ottenuto il monopolio della violenza nel suo ambito di applicazione. Il fatto che, a differenza di quello statuale, il nuovo ordine internazionale sia strutturato non gerarchicamente, ma eterarchicamente, conduce a un sistema di vincoli reciproci e di dipendenze. Se si svuole comprendere questo fenomeno, occorre distinguere tra l’esistenza delle unità e della loro base giuridica e gli atti del potere che scaturiscono da esse. Per quanto riguarda la loro esistenza e la loro base giuridica gli Stati continuano ad essere autonomi. Sono loro che determinano scopo e forma della loro convivenza politica. Ciò vale anche per gli Stati membri dell’UE. Alcune formazioni costituzionali, come quelle contrarie allo Stato di diritto, possono rendere uno Stato inadatto all’appartenenza all’Unione. Ciò però non assegna all’UE il diritto di decidere sulle costituzioni dei suoi Stati membri. Al massimo li può escludere. Al contrario, finora non esiste alcuna organizzazione internazionale che abbia il diritto di autolegittimarsi rispetto al suo stesso fondamento giuridico, e che dunque possieda una sovranità nel senso del potere costituente. Sono gli Stati che fondano le istituzioni internazionali. […] Il loro fondamento giuridico è eteronomo ed è proprio questo che si distingue dalla costituzione in quanto fondamento giuridico degli Stati» (pp. 96-97).
Lo scenario tratteggiato da Grimm è piuttosto complesso e ruota su una fotografia articolata dell’ordine internazionale: vincoli reciproci, fondamenti giuridici, potere costituente e leggi fondamentali, prerogative coercitive, eteronomia. Un contesto difficile da qualificare, anche perché ogni richiamo alla condizione medievale e pre-bodiniana si scontra con il fatto, evidenzia Grimm, che gli Stati sono e rimangono nonostante tutto integri: anche se non sono più in pieno possesso dei poteri pubblici che agiscono sul loro territorio, restano comunque le realtà che «dispongono della porzione più ampia di diritti sovrani» (p.108). E, soprattutto, che dispongono del potere costituente, che nessuna organizzazione, nemmeno l’Unione Europea, può vantare – essendo tutte eterodeterminate.
Queste tematiche, in ispecie quanto concerne il rapporto tra Stati membri e Unione Europea, sono state riprese da Dieter Grimm in una recente intervista su questa Rivista: «L’Unione è l’oggetto, non il soggetto. In un’Europa sovrana, il rapporto sarebbe invertito: l’UE otterrebbe il diritto di autodeterminazione, mentre gli Stati membri lo perderebbero. Non solo rinuncerebbero al potere di disporre dell’UE, ma non sarebbero più liberi di determinare i propri compiti. Non sarebbero più gli Stati membri a stabilire quali poteri trasferire all’Ue, sarebbe invece l’Europa a decidere quali poteri sottrarre agli Stati membri. In questo modo, però, l’Unione stessa diverrebbe uno Stato, indipendentemente dal fatto che si sia o meno consapevoli di ciò. Europa sovrana in senso giuridico è sinonimo di Stato europeo».
La sovranità come autodeterminazione del proprio fondamento giuridico rimane, dunque, in capo agli Stati. Non può in ogni caso essere intesa in senso classico, salvo non volere trascurare, scientemente, lo scenario composito in cui questi si muovono, ove porzioni di sovranità sono state trasferite o cedute ad altre entità. Questo rende il concetto sempre più sfumato, per quanto, in ultima istanza, ancora individuabile, quantomeno parzialmente. Una riflessione, quella di Grimm, che aiuta a muoversi nel disordine di un dibattito che, aggiungendo ad ogni questione un “ismo”, impedisce di cogliere le più profonde sfumature del reale.