Recensione a: Andrea Venanzoni, Tecnodestra. I nuovi paradigmi del potere, Signs Publishing, Milano 2025, pp. 376, 19 euro
Scritto da Luca Picotti
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La categoria della “tecnodestra” è emersa nel dibattito italiano con una connotazione più che altro polemica e dispregiativa, alla stregua di un’etichetta sensazionalistica per segnalare il pericolo democratico insito nella commistione tra i giganti del digitale e la nuova amministrazione americana. Nelle analisi più modeste il tutto si riduce a due volti, quello del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e quello dell’uomo più ricco del mondo Elon Musk. In quelle un minimo più strutturate, ad essere intercettata è una tendenza generale – certo, esemplificata dai due soggetti di cui sopra – in cui il potere economico e digitale abbraccia le istanze politiche conservatrici o reazionarie, in un concentrato di liberismo e autoritarismo. Resta il fatto che, il più delle volte, tali sortite si traducono in allarmismi tanto suggestivi quanto semplicistici, ove il messaggio finale, la narrazione, conta più del contenuto. In questo senso, il dibattito italiano ha conosciuto la tecnodestra solo attraverso la rappresentazione datane da una parte politica e intellettuale, ascrivibile all’area progressista, che tra editoriali, convegni e dirette televisive ha tradotto tale concetto nei termini ad essa più consoni, ossia funzionali a denunciare il rischio democratico potendo finalmente unire i due filoni critici preferiti, l’ur-liberismo e l’ur-fascismo. La tecnodestra merita invece un’analisi più bilanciata, proprio perché è un tema troppo serio, e con effettive implicazioni su democrazia, libertà e modelli di governo, per essere lasciato alle partigianerie interessate.
Da qui, un necessario punto di partenza: per parlare di tecnodestra bisogna effettivamente conoscerla. E per farlo ci viene in soccorso il recente libro del giurista e saggista Andrea Venanzoni, pubblicato da Signs Books e intitolato Tecnodestra. I nuovi paradigmi del potere. In una discussione che non ha mai veramente voluto conoscere, studiare e approfondire l’oggetto del dibattere, arriva un volume in grado di raccontare i protagonisti, le idee, i riferimenti culturali, gli intrecci politici, tecnologici e finanziari di quella galassia, tanto contraddittoria quanto in parte reale, che è la tecnodestra. Se si vuole conoscerla, anche e soprattutto per criticarla, sia per quanto concerne la sovrastruttura teoretica che la informa che per quanto riguarda l’effettiva concentrazione di potere politico, economico e tecnologico, si vada oltre alle analisi sensazionalistiche e si legga questo volume.
Un lavoro che nasce dalla stretta attualità ma non si presenta come un instant-book, anzi: con più di trecentocinquanta pagine e numerosissimi riferimenti bibliografici, sintetizza anni di studio dell’autore. Oltre a diverse parentesi e digressioni, sono tre i blocchi principali: una panoramica teorica sui riferimenti culturali, dove si parte dall’ideologia californiana, si affronta la nascita della Silicon Valley, ci si imbatte nel libertarismo e nel paleolibertarismo, e ancora nel cypherpunk, nell’accelerazionismo, sino al neocameralismo e all’alt-right, passando inoltre per il gaming e il trolling; un approfondimento dei protagonisti, tra PayPal Mafia e continui riferimenti al Signore degli Anelli, con diversi passaggi su Elon Musk, Peter Thiel, Palmer Luckey, Marc Andreessen e J. D. Vance; infine un viaggio, dettato anche dalla personale sensibilità di Venanzoni e dalla sua simpatia verso talune suggestioni libertarie, tra le teorie e le pratiche della tecnodestra oltre gli Stati Uniti, alla ricerca di nuovi modelli di governo, con spunti su città-network, policentrismi digitali, innovation zone e altri esperimenti di ingegneria politico-istituzionale al di là dello Stato.
Ma cos’è, quindi, la tecnodestra? «Non è forma ideologica, ma prassi ricombinante che assomma e sintetizza modi, idee diverse, stili, sospesi tra alta tecnologia e politica, funzionalmente protesi alla comprensione di un presente accelerato» (p. 367). Non è possibile darne una definizione unitaria, essendo percorsa da più anime, ma può essere colta nella duplice accezione, ossia in parte come azione, in parte come reazione. Per comprenderne le traiettorie bisogna infatti partire, innanzitutto, dal sostrato culturale, politico e giuridico in contrapposizione al quale si sono via via sedimentate le basi stesse della tecnodestra: la cultura tendenzialmente progressista della Silicon Valley, interpretata da Google e dal primo Facebook; le pedagogie tradottesi nella burocrazia della moderazione dei contenuti; casi come quello dei Twitter Files; normative rigide quali quelle dell’Unione Europea, tra GDPR, DSA e DMA, destinate a rendere più gravoso il business digitale, spesso all’insegna di nuove categorie di lecito e illecito al di là del penalmente rilevante; burocrazie statali, dirigismo, regolazione e sussidi, con relativi sprechi, rigidità e inefficienze; retoriche dei diritti supportate dall’azione statale per il mezzo di discriminazioni positive. Un intero castello, di matrice progressista e liberal, che per molto tempo ha avuto un’ascendenza maggioritaria sul mondo dei magnati digitali, a parte nicchie eterodosse come la PayPal Mafia, e, in generale, negli approcci delle politiche pubbliche. Sino ad oggi, però, quando certe pedagogie univano potere politico, economico, tecnologico e culturale, non si è mai parlato, evidenzia Venanzoni non senza una dose di sarcasmo, di tecnosinistra. Il dibattito si è attivato solo nel momento in cui questo castello ha iniziato a sgretolarsi e si sono verificate numerose trasformazioni nei paradigmi del potere.
L’evento spartiacque, sottolinea l’autore, è l’acquisizione di Twitter, rinominato successivamente X, da parte di Elon Musk. La culla del dibattito e della moderazione dei contenuti – con alcuni scheletri nell’armadio come i cosiddetti Twitter Files – si trasformerà da quel momento nell’agorà di un free speech aggressivo, e non senza contraddizioni, in cui lo stesso proprietario della piattaforma diventerà uno dei più assidui partecipanti, tra trolling e meme, con interventi sui più svariati argomenti, dalle acquisizioni di società rivali agli endorsment politici a partiti di destra radicale europea. Questo spartiacque, già da subito denunciato da una certa area, si cristallizzerà in senso stretto nella nuova categoria, la tecnodestra, quando poi Elon Musk scommetterà su Donald Trump e questi risulterà vincitore alle presidenziali statunitensi del novembre 2024.
Da qui, quel connubio che si trasforma anche in incarichi di governo, una staffetta tra il Presidente e l’uomo più ricco al mondo estremamente scenografica, connotata da una bulimia dichiarativa contro diverse ossature del vecchio castello, nonché verso alleati storici come i Paesi europei. Se a questo poi si uniscono i riposizionamenti di altri grandi attori, come Meta di Mark Zuckerberg, che ha iniziato a rigettare le politiche di diversità e inclusione e ad essere sempre più insofferente verso la regolazione europea, ecco che il cerchio comincia a chiudersi: istanze conservatrici o reazionarie, rigetto delle politiche inclusive, ruoli di amministrazione per svuotare parte della burocrazia pubblica, de-regolamentazione, decisionismo, un connubio tra potere politico e digitale in cui gli interessi pubblici e privati finiscono per confondersi ulteriormente.
Questa traiettoria non va però letta come mera reazione, essendo anche azione: ossia frutto di un pensiero, di una visione di diversi protagonisti di questa galassia, scienziati, innovatori e investitori venture capital che anticipano o colgono le tendenze di questo tempo. C’è il Techno-Optimist Manifesto di Marc Andreessen. Oppure The Technological Republic di Alexander Carp, amministratore delegato di Palantir. In questi e altri testi si individua un pensiero nuovo e per certi versi più realistico di alcuni approcci ingenui della tradizione libertaria o anarco-capitalista, troppo dogmatici per cogliere i riflessi delle sfide geopolitiche e la centralità della sicurezza nazionale. Proprio quest’ultimo concetto si va ad intrecciare con le sorti del digitale, in un nuovo complesso militare-industriale, ove ai tradizionali colossi della difesa si sono aggiunti, ritagliandosi sempre più peso, i nuovi protagonisti della tecnodestra: SpaceX, Palantir, Anduril, ecc. Una commistione tra sicurezza nazionale e digitale, ove i privati fungono sempre di più da contractor del governo, finalizzata a difendere la centralità americana dinnanzi alle nuove sfide, specie quella cinese. Il digitale diventerebbe, in questo senso, una forma di sicurezza, per proteggere il sistema americano e, dunque, la libertà; allo stesso tempo, la libertà passerebbe per free speech, de-regolamentazione, rifiuto di ingerenze statali tramite discriminazioni positive, pedagogie dall’alto o dirigismo green; infine, nella forza creatrice e disruptive dell’alta tecnologia si vorrebbe scorgere «il profilo della disossificazione di modelli istituzionali paralizzati, incapaci di muoversi, di evolversi, di decidere» (p. 367).
Una galassia contraddittoria? Senz’altro, basti pensare, sul fronte pratico, ai legami di Musk con la Cina, che lo stesso Venanzoni evidenzia; sul piano teorico, sono tanti i profili che non convincono, dalla mai rimossa antinomia tra libertà e freni conservatori alle trasformazioni sociali, culturali, di costume portate dalla stessa distruzione creatrice capitalistica, alla discrasia tra spinta verso sistemi più policentrici e orizzontali e accentramento tecnologico in nome della sicurezza nazionale in una sfida tra imperi. Pericolosa? Senza rincorrere gli allarmismi, diversi presupposti teorici destano sicuramente qualche preoccupazione e l’approccio decisionista della nuova amministrazione americana – con l’Executive Order inteso al di là di ogni vincolo, quantomeno nel momento della sua sfacciata adozione – appare del tutto scomposto. Molti sono, pertanto, i nodi, teorici e pratici. Per discuterne occorre però conoscere l’oggetto. Qui si inserisce l’importanza del volume di Andrea Venanzoni, che rappresenta una delle più nitide ricostruzioni di tutto ciò che compone la galassia della tecnodestra, frutto di studi, di una cultura sterminata e un interesse anche pratico verso potenziali direzioni alternative nei sistemi di governo che, anche laddove non condivise, vanno quantomeno apprezzate in termini di dialettica intellettuale.