Scritto da Francesco Belmonte
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Ed è precisamente in un processo di inculturazione evangelica che si crea un processo di trasmissione culturale che innesta anche la fede in modelli sempre nuovi. Infine la connotazione essenziale del popolo in generale e in particolare del Popolo di Dio è la povertà. In Bergoglio assistiamo a una duplice visione della povertà che da una parte viene intesa come situazione oggettiva e di ingiustizia, ma d’altra parte si risolve nell’essere in potenza una situazione soggettiva che promuove solidarietà e spiritualità. Il popolo viene idealizzato. Ed è proprio qui che Rusconi si pronuncia ritenendo quasi irrealistica tale visione che non tiene conto invece degli atteggiamenti idiosincratici spesso assunti dal popolo con il popolo. Una comunità sociale non è oggettivamente luogo della comunione fraterna, può esserlo, ma può anche non essere così.
Basandosi su questa concezione del popolo, idealizzato come depositario naturale della solidarietà sociale appresa dalla fede religiosa, Papa Bergoglio tende a non accettare l’aggettivo populista riferito a partiti e movimenti richiamando l’idea di populismo argentino molto differente da quello europeo. Un altro punto fondamentale della guida bergogliana della Chiesa di Roma è la sua concezione della teologia subordinata alla pastorale. «Per lui il primato della realtà conta più dell’idea». Non è dalla teologia che scaturisce il giusto agire pastorale. E come scrive Kasper la sua conoscenza della vita non la deve ai libri di teologia ma alla grande esperienza pastorale e religiosa nelle favelas argentine. È questo che fa scaturire da parte sua un primato della realtà rispetto all’idea. E nelle sue dichiarazioni o in alcuni suoi sermoni, come quello della messa a Santa Marta del 21 maggio 2016, si notano delle posizioni quasi ostili a quei dottori della Chiesa contemporanea, a quei teologi illuminati «staccati da popolo di Dio che credono di avere tutta la scienza e la saggezza», ma che, «a forza di cucinare la loro teologia sono caduti nella casistica e non possono uscire da quella trappola». « »
Tutta la pastorale di Papa Francesco è fondata su due concetti fondamentali: Misericordia e Peccato. Dio perdona sempre tutto incondizionatamente, Dio è amore incondizionato e dunque “Dio è più grande del peccato”. La misericordia di Dio perdona incondizionatamente l’animo penitente del peccatore, qualunque sia stato il peccato. E anche la narrazione biblica del peccato originale di Adamo ed Eva assume caratteri completamente diversi. La narrazione che insegna “l’ira di Dio” diviene occasione per mettere a fuoco il gesto “misericordioso” di Dio, che dopo aver punito la coppia, fornisce ai malcapitati progenitori “tuniche di pelli” (Gn 3,21) per rivestirsi e come aggiunge il Pontefice, per dar loro coraggio.
Lo sforzo ermeneutico del Pontefice che sembra quasi svilire o perlomeno ridurre il significato di “peccato originale” sembra avere come effetto la minimizzazione della problematica dell’espiazione e della punizione del peccato. Oltre tutto ciò, l’aporia riscontrata da Rusconi non può che tradursi nella domanda: se la misericordia di Dio è incondizionata, perché la stessa non si è manifestata immediatamente nei confronti dei progenitori? Tale domanda viene elusa sia da Bergoglio ma anche dal papa emerito che intanto sembra stia costruendo una giustificazione teologica alla prospettiva nuova del papa argentino. Proprio Ratzinger definisce come un «segno dei tempi» il fatto che l’idea di misericordia di Dio diventi sempre più centrale e dominante nella nuova dimensione teologica cristiana.
Il peccato, onnipresente nelle riflessioni del pontefice, assume un ruolo fondamentale, non come causa specifica di tutti i mali dell’uomo e delle sue sofferenze, ma come superamento dello stesso grazie all’amore di Dio.
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