Scritto da Andrea Baldazzini
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Qualunque riflessione o agire che oggi abbia come oggetto la società e sia intenzionato ad operarne una trasformazione, non può prescindere da una preliminare considerazione sul concetto di spazio: categoria politica decisiva ma troppo spesso sottovalutata. Esso non rappresenta infatti solo il “dove” qualcosa accade, non indica un semplice contenitore di eventi, anzi, fin da subito si presenta quale esito di uno specifico processo produttivo. Come ci ricorda Henri Lefebvre: «Possiamo allora dire che lo spazio è un rapporto sociale? Si, certo, ma in quanto tale è intimamente legato ai rapporti di proprietà ed è pure inscindibile dalle forze produttive che danno forma e plasmano la terra. Lo spazio è permeato di rapporti sociali: non solo è retto da una trama di rapporti sociali, ma esso stesso li produce e da essi è prodotto»[1].
Ad ulteriore riprova di quanto il tema dello spazio rivesta un peso decisivo per qualsiasi progettualità o agire politico, basti pensare ai famosi studi di Michel Foucault dedicati all’architettura del potere nelle carceri o nei manicomi, nonché a molta della filosofia di Deleuze (ad esempio Mille Piani o il concetto di geo-filosofia), o ancora alla cosiddetta “svolta spaziale” (spatial turn) segnata dalla pubblicazione nel 1989 della famosa opera Postmodern Geographies di Edward W. Soja, e a tutta la tradizione degli studi della geografia politica. L’intento di questo articolo sarà allora quello di fornire qualche spunto per riflettere sulla categoria di spazio in rapporto alle questioni dell’urbanizzazione e della trasformazione dei territori ad opera delle nuove soggettività (con i rispettivi bisogni, risorse, conflittualità) e delle sempre più dinamiche configurazioni dei flussi (produttivi, relazionali, informazionali).
Quando parliamo di spazialità in riferimento ad un contesto socio-politico (spazio pubblico, spazi di vita, spazi abitativi, spazialità produttive, regioni dei flussi, la stessa globalizzazione, ecc…) dobbiamo dunque prima di tutto prendere consapevolezza del fatto che essa costituisce l’oggetto di produzione di determinati interessi, desideri, soggettività e istituzioni, dunque non può in alcun modo essere considerata una semplice categoria neutra o neutrale. Tale presa di coscienza costringe poi a passare da una connotazione denotativa dello spazio (come presupposto e contesto) ad una invece connotativa (come esito di un processo produttivo), rendendolo così non solo il terreno di gioco di diversi poteri, ma anche una potenziale categoria critica attraverso la quale leggere quella molteplicità di fenomeni contemporanei che trovano nella “dimensione spaziale” la chiave ermeneutica privilegiata e maggiormente esplicativa, primi tra tutti: l’evoluzione della forma-città e le differenti modalità di abitare che determinano il rapporto uomo-ambiente e convertono una certa spazialità in un vero proprio territorio.
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Indice dell’articolo
Pagina corrente: Il territorio come categoria critica
Pagina 2: Usare lo spazio, pensare il territorio
Pagina 3: Territorio e politiche dello spazio
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