Le trasformazioni interne al Partito Democratico americano
- 01 Ottobre 2018

Le trasformazioni interne al Partito Democratico americano

Scritto da Domenico Romano

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La natura dei partiti politici americani è un elemento che caratterizza moltissimo la dinamica politica. Il Partito Democratico americano, come il Repubblicano, è sempre stato molto distante dal senso che in Europa ha la parola “partito”.

Il Partito nacque dal lavoro del Senatore (poi Presidente) Van Buren e dal Presidente Jackson per facilitare l’elezione dello stesso Jackson nel 1828. Con lo scopo di minimizzare i costi di start up del partito stesso, costoro invitarono partiti a base statale e locale ad unificarsi sotto l’etichetta nazionale di Democratici. Questi partiti statali e locali erano già esistenti, con proprie piattaforme, leader, elettori, organizzazioni. Il costo di far nascere il partito in questa maniera fu che a tali partiti si dovette riconoscere un significativo potere autonomo nella designazione dei candidati e nella scelta delle politiche.

Dal canto loro a livello nazionale si guadagnava compattezza e copertura politica di tutto il territorio nazionale (specie nella fase a suffragio limitato per quanto ampio e in assenza delle primarie). L’altro indubbio vantaggio cooperativo si ritrovava nella gestione del complesso sistema di spoil system proprio degli Stati Uniti. Manca, ai partiti americani, tutta quella parte di funzioni che potremmo definire di mobilitazione ed integrazione della massa di riferimento tra due elezioni, che è stata la tipica caratteristica specie dei partiti socialisti europei. Sul piano strutturale la conseguenza è la totale assenza di un “apparato”[1].

Partito Democratico americano

Comitato nazionale democratico, Baltimora 1912

L’organismo di governo del partito americano è un Comitato Nazionale composto da un ampio numero di persone che finisce per discutere degli aspetti “regolatori” della vita del partito ed a gestire il rapporto con la propria base di supporter registrati a fini di finanziamento o informazione. Tutto questo non è sostanzialmente cambiato con l’introduzione delle primarie e la loro peculiare regolazione americana[2]. Anzi per certi versi si può sostenere che le primarie, introdotte come correttivo al potere dei “party bosses[3]” nella scelta dei candidati sano state un ennesimo colpo alla capacità di centralizzazione.

Nella prassi questi elementi hanno avuto due conseguenze importanti. Il DNC è sempre stato uno strumento “in mano” ai candidati presidenziali per supportare la propria campagna sia sul fronte interno sia nel Paese.  In secondo luogo la costruzione dei “movimenti” intesi come crogiolo più o meno omogeneo di interessi è avvenuto sempre al di fuori del partito sulla base del poderoso di sistema di organizzazioni d’interesse presente negli USA che si organizzano letteralmente per scalare il Partito[4]. Quando le condizioni politiche però non garantiscono più unità d’intenti il frazionismo dei partiti americani conduce a vere e proprie rivolte[5] intenzionalmente orientate a far “perdere” i propri ex compagni di partito data la natura maggioritaria del sistema elettorale americano.

 

Europeizzare il Partito Democratico americano?

Tra il 1968 ed il 1972 si è avuto il più forte tentativo di trasformare il Partito Democratico in una formazione paragonabile ad un partito europeo. Dopo gli esiti drammatici della convention democratica del 1968[6] il movimento della cosiddetta New Politics tentò di trasformare il Partito Democratico. Venne pesantemente rafforzato il ruolo delle primarie e la distribuzione proporzionale dei delegati, ma non solo.

I riformatori della New Politics capirono che non bastava rimuovere le barriere all’ingresso. “Non è sufficiente democratizzare le procedure del partito se un largo numero di persone non è interessato alla partecipazione.”[7] Quest’ultima, pensavano i proponenti di questo movimento, poteva essere raggiunta solo superando la natura di partito confederazione. La catastrofica sconfitta del 1972 di George McGovern, egli stesso sostenitore di queste proposte, favorì il riflusso in direzione opposta. La Coalition for Democratic Majority (CDM) fu la risposta di un vasto blocco, comprese aree sindacali rilevanti, impaurito dalla perdita di potere determinata dalle proposte dei riformatori. La CDM si opponeva alla proposta di “europeizzare” i Democratici creando un partito propriamente “liberal[8]” sostenendo invece la necessità di mantenerne la natura federativa, pluralistica ed in definitiva “americana” del partito.

La vittoria dei contro-riformatori fu totale, e la CDM divenne qualche tempo dopo il Democratic Leadership Council (DLC) che riuniva legislatori federali e statali che sarà presieduto sul finire degli anni Ottanta da Bill Clinton. La piattaforma del DLC, orientata verso “il centro” dello schieramento, allontanando il partito da quelli che erano definitivi “gruppi di interesse speciali” e finalizzata a temperare gli effetti più brutali delle politiche repubblicane, avrebbe consentito ai Democratici di riconquistare la Casa Bianca nel 1992 con lo stesso Clinton fino a chiudere le proprie attività attorno al 2010 perché “la missione di trasformare il Partito Democratico è stata completata[9]“. Sul piano interno il segno più rilevante della stagione del riflusso è stata la reintroduzione dei delegati unpledged[10] cioè non legati in maniera vincolante al sostegno di un candidato.

 Partito Democratico americano

È interessante comparare la sconfitta del movimento New Politics e più in generale della New Left con la coeva trasformazione dei Repubblicani.  Sul fronte interno il rinnovamento del Partito Repubblicano è stato condotto solamente sul piano degli eletti conducendo una lenta ma costante penetrazione nel partito tramite l’elezione di amministratori locali, statali e federali sempre più intensa e quindi senza cominciare una battaglia sulla struttura propriamente intesa del GOP. Sul fronte esterno è stato caratterizzante lo sviluppo di un poderoso (e molto ben finanziato) sistema di centri di formazione, think tank, associazioni che su tutti i fronti della politica americana hanno condotto alla trasformazione del linguaggio e delle proposte politiche. Il movimento sul fronte democratico, la New Left, negli stessi anni andava “ritirandosi” nelle città universitarie.

 

L’impatto della campagna di Sanders sul Partito Democratico americano

Il sorprendente successo della campagna di Sanders, ha finito per riaprire anche il fronte interno del Partito Democratico, sostanzialmente dominato dalla visione della CDM e del NDC dalla metà degli anni Settanta è finita nel mirino la gestione del DNC guidato da una esponente pro Clinton[11] costretta infine alle dimissioni. Poco dopo il voto la presidente ad interim del DNC, Donna Brazile ha letteralmente rivelato[12] la presenza di accordi reciproci tra il DNC ed il comitato di Hillary precedenti alla vittoria della Clinton alle primarie, per la copertura dei debiti del DNC contratti negli anni precedenti. In cambio, il comitato della Clinton otteneva delle facilitazioni, la più evidente delle quali è stata la riduzione drastica del numero di dibattiti[13] tra la senatrice Clinton e Sanders e la possibilità di usare il vasto sistema di dati detenuto dal DNC. L’altro elemento di contestazione ha riguardato il ruolo inopportunamente svolto dai delegati di diritto della convention democratica nel sostenere Hillary Clinton a processo di selezione ancora aperto.

Partito Democratico americano 

Hillary Clinton alla Convention Nazionale Democratica, Denver 2008

Così come sul piano della organizzazione del movimento al di fuori del partito, la strategia di Sanders sembra aver fatto lezione dei fallimenti precedenti ed invece di produrre proposte di radicale trasformazione del partito[14] si è limitato ad un approccio molto più minimal ottenendo la formazione di una commissione (la Unity Commission[15]) che ha prodotto una forte riduzione del potere dei delegati unpledged[16]. La loro presenza viene confermata, ma il loro potere di voto al primo ballottaggio della Convention viene neutralizzato nel caso in cui nessun candidato abbia ottenuto una maggioranza assoluta di delegati elettivi nelle primarie e nei caucus.

Dove invece la conflittualità è stata portata ad un livello davvero nuovo è stata nelle battaglie per il controllo dei partiti statali e per l’elezione del presidente del DNC. In questi contest interni del partito candidati supportati più o meno direttamente da Sanders hanno si sono presentati sistematicamente, ed hanno ottenuto risultati anche significativi. Keith Ellison, Rappresentante, che ha sfidato Tom Perez ex ministro di Obama candidato mainstream del partito ed ha ottenuto un risultato davvero notevole venendo poi nominato Vice Presidente dello stesso DNC, carica che non esisteva prima.  Anche qui non si può non vedere come la lotta viene condotta sul piano del partito così così com’è oggi.

Anche su questo piano, le scelte di Sanders sembrano rappresentare non tanto la lotta tra due visioni complessive ed alternative quando un tentativo di iniettare una visione complessiva, coerente, si potrebbe dire di classe, nell’ambiente del partito politico americano. Si tratta di un tentativo che sembra guardare alla costruzione della New Deal Alliance della stagione di Roosevelt più che ai tentativi degli anni Settanta del XX secolo, che quindi prova a fare i conti con quello che il Partito Democratico è concretamente piuttosto che con un tentativo di riforma organica, lasciando all’organizzazione al di fuori del partito il compito di generare partecipazione e socializzazione politica e rifiutando atteggiamenti di ritiro o ambizioni terza forziste.

Allo stato non è fattibile dire se questo tentativo riuscirà o se tutto ciò si rivelerà infruttuoso. Sul piano del Congresso molte idee uscite dalla campagna di Sanders sono diventate patrimonio comune di un vasto numero di legislatori Democratici. Alcuni segnali incoraggianti sono venuti da elezioni suppletive tenutesi in questi biennio e da alcuni referendum statali ed infine da mobilitazioni sindacali. Sul piano del partito a fronte di confronti anche duri l’ala radicale del Partito non vien respinta in maniera brutale ed anzi partecipa attivamente alla sua costruzione ed alla selezione dei candidati.

Le mid term election di novembre saranno un test fondamentale per capire se i Democratici hanno saputo cogliere e trasformare a proprio vantaggio la ribellione delle primarie 2016 o se la presidenza Trump, ancora tutto sommato balbettante dopo le infinite lotte anche intestine a cui è stata sottoposta, si trasformerà in una fase politica più stabile assorbendo lei stessa una parte magari non grandissima ma decisiva delle ragioni della ribellione dei Democratici (negli stati operai). Questa è la portata della sfida del prossimo novembre e delle fase successive, e qui si colloca il tentativo del Senatore Sanders. Agli elettori toccherà emettere la prima sentenza.


[1] Mancano inoltre, oltre all’apparato anche significativi poteri disciplinari, meccanismi di definizione di un manifesto/programma del Partito, attività di socializzazione politica in un quadro nazionale. Sul piano sistemico manca un partito competitivo che sia pienamente identificato con il movimento dei lavoratori. Questo risultato è figlio della scelta dei sindacalisti americani sul finire del 1800 di non dotarsi di uno strumento politico autonomo e di perseguire solamente l’attività di sindacale. L’affermazione della New Deal Coalition roosveltiana ha poi definitivamente soppresso gli spazi per la creazione di un terzo partito competitivo avendo saldato fortemente ed in maniera durevole gli interessi del blocco sindacale con quelli del Partito Democratico.

[2] Tipicamente svolta per il tramite di vere e proprie leggi.

[3] Specie al sud dopo la Guerra Civile.

[4] Così durante la presidenza Roosevelt e fino a quella di Lyndon Johnson il centro nevralgico è stato l’attivismo delle centrali sindacali americane, una delle quali, la C.I.O. formò il primo P.A.C. della storia politica USA. E’ stata l’azione del CIO PAC e di altre associazioni, come l’American Democratic Action che hanno supportato e incentivato l’azione della New Deal Coalition e, per esempio, portato i neri del nord degli Stati Uniti dal riconoscersi nel Partito Democratico dopo più di mezzo secolo di identificazione con quello di Lincoln (il Repubblicano). Sempre l’attivismo di questi centri esterni al Partito ha conseguito il perseguimento dell’agenda dei diritti civili, ultimo grande traguardo prima della fine della coalizione del New Deal.

[5] Così nel periodo pre Guerra Civile quando esplode la coalizione che aveva sostenuto le presidenze jacksoniane che portano a due candidature Democratiche alle presidenziali del 1860, e così dopo la morte di Roosevelt vi è un progressivo distacco della base del “solid south”. Già dal 1948 quando i cosiddetti Dixiecrat candidarono Trumbhold alle presidenziali con l’obiettivo di far perdere Truman. Non ci riuscirono ma Trumbhold fu il più votato in 4 Stati.

[6] Durante la Convention del 1968 il candidato Humphrey ottenne la nomination pur non vincendo neanche una singola elezione primaria e concentrando il suo voto nelle zone dove il Partito Democratico non teneva primarie aperte. Questa Convention, funestata anche da violenti scontri tra politici e movimenti anti pacifisti segnò la fine della New Deal Coalition che in seguito al ritiro di Johnson dalla scena politica si divise su diversi candidati (Humprhrey, Kennedy, McGovern, McCarty) e segnò l’inizio dello spostamento sui Repubblicani degli Stati del Sud. In seguito ai fatti di Chicago il Partito Democratico formò la McGovern-Fraser Commission con il compito di riformare le regole del Partito.

[7] Per gli approfondimenti sul movimento della New Politics si possono consultare le opere di Adam Hilton.

[8] Nel senso americano del termine.

[9] Al Form – The New Democrats and the return to power, Palgrave p. 255.

[10] Sono delegati unpledged, normalmente, i party official statali e nazionali, i deputati senatori ed i governatori.

[11] Debbie Wasserman Schultz.

[12] clinton-brazile-hacks

[13] Si è infatti passati da 20 a 6 confronti rispetto al 2008.

[14] Nel libro Our Revolution pubblicato dopo la campagna delle primarie Sanders non menziona l’organizzazione del partito tra gli obiettivi della sua agenda trasformativa della politica americana.

[15] https://democrats.org/page/unity-reform-commission

[16] dnc-set-to-reduce-role-of-superdelegates-in-presidential-nominating-process?

Scritto da
Domenico Romano

Nato nel 1984 a Roma. Laureato in Scienze Politiche presso l’Università La Sapienza. Ha studiato sopratutto i sistemi politici istituzionali anglosassoni ed i partiti politici europei ed americani.

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