Recensione a: Aboubakar Soumahoro, Umanità in rivolta. La nostra lotta per il lavoro e il diritto alla felicità, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2019, pp. 128, 13 euro (scheda libro)
Scritto da Chiara Visentin
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Le parole per denunciare le ingiustizie non ci mancano: esse però rischiano di suonare inflazionate, abusate e astratte, lontane dalla concretezza dei problemi a cui fanno riferimento. Spesso si sente parlare di contrasto allo sfruttamento e alle discriminazioni, ma a volte questo tipo di discorso appare sconnesso dalla pratica della lotta per i diritti e dal livello delle vittime dello status quo. Il primo libro di Aboubakar Soumahoro, Umanità in rivolta, si colloca al contrario all’intersezione tra riflessione teorica e attivismo concreto, tra vissuto e visione d’insieme. Un libro del genere ci ricorda che, se le parole contano, contano anche la pratica e l’esperienza in cui esse si originano e radicano, e da cui soltanto possono trarre forza e pieno significato, soprattutto dal punto di vista civile e politico.
Anche per questo, i ragionamenti e le narrazioni contenuti in questo libro rappresentano un contributo importantissimo al dibattito pubblico italiano su temi centrali come le migrazioni e le iniquità del mondo del lavoro, ponendo inoltre questi temi in una cornice organica che permette di vederne le intime interdipendenze e la collocazione al cuore di processi incalzanti e globali che toccano tutti. Senza vuota retorica ma con capacità evocativa e competenza, Soumahoro conduce il lettore attraverso una densa «narrazione politica» (p.12), in cui episodi biografici, tragici fatti di cronaca e statistiche ufficiali si inseriscono con coerenza in una lettura critica e proattiva delle storture del sistema economico e politico nazionale, europeo e globale, informata da concetti sociologici e filosofici.
Soumahoro è un sindacalista della USB italo-ivoriano laureato in sociologia, «uno dei volti più noti del sindacalismo radicale»[1]. Sulla propria pagina Facebook ufficiale si definisce «attivista sindacale e sociale»[2]. Umanità in rivolta tratta della sua lunga e articolata esperienza di attivismo e del pensiero che la ispira, senza nulla concedere alle varie ondate di semplificazione che si susseguono nella comunicazione politica intorno a temi caldi come quelli dell’immigrazione e della condizione dei lavoratori.
L’autore enfatizza, infatti, il bisogno centrale di «costruire una coscienza collettiva che guardi alla complessità dei problemi, che coniughi il pensiero con la pratica e che ambisca a una dimensione internazionale» (p.65), contro il trasversale prevalere contemporaneo di «una politica rassegnata, esaltata nella propria ideologia della semplificazione, che ha rinunciato a una visione diversa della società» (Ibid.) e ha «abbandonato la nobile missione di difendere i diritti degli esseri umani» (Ibid.).
Il tema dei diritti ricopre un ruolo cruciale nel libro, che esordisce proprio con un elogio del diritto alla ricerca della felicità enunciato nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti. Soumahoro abbraccia una visione ampia e comprensiva dei diritti, che include tanto i bisogni materiali delle persone quanto quelli immateriali, la dimensione collettiva in cui concepirli e porli in atto e il rapporto tra l’uomo e l’ambiente. Il titolo stesso, richiamando l’opera di Albert Camus L’uomo in rivolta[3], evoca il potere costruttivo e trasformativo del rifiuto e della protesta nei riguardi delle violazioni di un diritto, diritto che, nell’atto della rivolta, si afferma: «la rivolta», scrive Camus, «è propria dell’uomo avvertito, che abbia coscienza dei propri diritti»[4]. E, nella rivolta, i diritti per cui si combatte vengono compresi come diritti di ogni uomo[5].
Di gravissime privazioni di diritti sono vittima i migranti costretti da dure condizioni politiche, militari, economiche o ambientali ad abbandonare il paese d’origine per cercare una vita migliore in aree del mondo più ricche. Il diritto alla circolazione non è riconosciuto da un approccio politico ormai egemone, che vede nelle esigenze della crescita e del mercato l’unico criterio legittimo per stabilire i parametri della mobilità consentita: un approccio adottato, ad esempio, al livello dell’Unione Europea, e tradotto in pratica con politiche di chiusura delle frontiere comunitarie.
Contro un simile stato di cose, un gruppo di attivisti, con al suo interno – in un ruolo di primo piano – Soumahoro stesso, dà vita alla Coalizione internazionale dei Sans Papiers, che organizza una grande marcia di protesta attraverso l’Europa nel 2012[6]. Con questo movimento i migranti si fanno protagonisti del dibattito e della mobilitazione intorno a tali temi: «Abbiamo dovuto lavorare molto», scrive Soumahoro, «per riuscire a prendere la parola in prima persona nei luoghi e negli spazi politici. Per molto tempo, tanti in buona fede hanno ritenuto doveroso prendere la parola al nostro posto. Mi viene da dire che il pensiero di deriva paternalista a volte contamina involontariamente chi è impegnato nella difesa dei migranti, che vengono ritenuti incapaci di generare, esprimere e declinare un pensiero politico e una forma di lotta» (p.48). Gli attivisti della CISPM rovesciano il discorso sul rapporto tra crisi del sistema economico e migrazione, puntando il dito contro il primo e indicando una profonda riforma di esso, anziché la chiusura dei confini, come indispensabile presupposto per affrontare le questioni migratorie ponendo al centro «i bisogni delle persone» (p.54).
Osservando più da vicino la situazione italiana, Soumahoro denuncia come negli ultimi trent’anni si sia costruito e consacrato nel nostro sistema legale un vero e proprio paradigma di «razializzazione istituzionalizzata» (p.33), nel quale la provenienza geografica determina, per i migranti, un regime di diritti differenziale e sempre più impoverito. Dalla legge Martelli del 1990, fino al Decreto Sicurezza del 2018, passando per la legge Turco-Napolitano del 1998, la legge Bossi-Fini del 2002, il Pacchetto Sicurezza del 2008 e il decreto Minniti-Orlando del 2017, la proliferazione normativa – sostiene l’autore – ha seguito questa tendenza senza sostanziali discontinuità.
Le ramificazioni di questa situazione sono sia culturali, sia sociali ed economiche. Dal punto di vista culturale, un simile approccio si fonda su presupposti razzisti, che dunque a sua volta incoraggia. Si diffondono e radicano sempre di più dispositivi di categorizzazione, consistenti «nell’accentuare le differenze identitarie e, sulla base di queste, classificare una parte delle persone mettendole in posizione di subalternità rispetto al resto della popolazione» (p.28), nel pensarle come «un corpo estraneo al tessuto sociale» (Ibid.) e titolari nel migliore dei casi di forme di «“normalità accordata”», in cui «la rivendicazione dei propri diritti viene sostituita dalla richiesta di favori arbitrariamente concessi» (Ibid.). Dal punto di vista sociale ed economico, la situazione di maggiore vulnerabilità in cui la legge colloca i lavoratori e le lavoratrici migranti ha un ruolo determinante nel creare situazioni inaccettabili, in cui questi lavoratori sono trattati alla stregua di merce, subiscono una forte disparità salariale, segregazione in tendopoli e baraccopoli, e sono esposti a varie forme di ricatto, in particolare da che è stato istituito il collegamento tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro.
Molti perdono la vita in questa situazione di tutele carenti. Soumahoro si sofferma a lungo sull’assassinio del sindacalista Soumaila Sacko nel 2018, a seguito del quale si è sviluppata un’ampia solidarietà che ha condotto a una incisiva mobilitazione tra i lavoratori migranti delle campagne e a un aumento della consapevolezza da parte dell’opinione pubblica delle loro condizioni. L’episodio richiama un fatto per certi versi analogo avvenuto nel 1989, l’uccisione del rifugiato politico sudafricano Jerry Essan Masslo. Ma anche le condizioni di lavoro in se stesse mietono vittime tra il bracciantato, indipendentemente dalla provenienza geografica. Così, Soumahoro racconta anche il caso di Paola Clemente, bracciante morta nel 2015 in seguito a un malore nei campi in assenza di soccorsi, e menziona i molti altri morti sul lavoro o nel tragitto per giungervi.
Parlando delle condizioni dei lavoratori precari delle campagne, Soumahoro imposta un discorso che trascende la questione migratoria per abbracciare il sistema economico in cui essa si inserisce. «Quel che rende la vita dei lavoratori migranti così precaria e ricattabile», scrive, «non è altro che la manifestazione più estrema di un cambiamento che sta attraversando le vite di tutti» (p.21), consistente in un mutamento nei «rapporti di forza tra i lavoratori e le imprese» (Ibid.), in cui le conquiste dei movimenti dei lavoratori del secolo scorso sono progressivamente erose da provvedimenti legislativi sempre più sbilanciati a favore dell’impresa e in particolare del profitto della grande impresa, sia a livello italiano che europeo e internazionale.
Egli denuncia l’insieme di dinamiche e meccanismi per cui «mentre la filiera agricola è in espansione e registra un fatturato miliardario, i lavoratori e le loro famiglie continu[a]no a vivere appena sopra la soglia di povertà, spesso senza riuscire a far fronte ai propri bisogni vitali» (p.77). Si tratta di una situazione di inaccettabile e sistemica ingiustizia, analoga a quella contro cui si sono svolte le lotte bracciantili nel secondo dopoguerra italiano, lotte che hanno avuto «un ruolo essenziale nella costruzione e nello sviluppo dell’immaginario politico del paese» (Ibid.) Soumahoro rievoca in particolare uno dei loro principali protagonisti, Giuseppe Di Vittorio (1892-1957), come un modello e una fonte di ispirazione nell’impegno sindacale a favore degli ultimi e degli sfruttati.
Un problema sistemico richiede soluzioni strutturali, che riducano l’asimmetria di potere e di profitto tra i grandi attori multinazionali della produzione alimentare e della grande distribuzione organizzata, e tutti gli altri attori della filiera, dai braccianti ai piccoli contadini, fino al consumatore, e la tutela dell’ambiente. È necessario innanzitutto fare rispettare senza eccezioni il principio “uguale lavoro, uguale salario” ed eliminare la discriminazione legale del migrante, depotenziando così le dinamiche di dumping sociale, modificare i criteri di allocazione degli aiuti europei con condizionalità legale alla tutela dei diritti e della sicurezza dei lavoratori e alla qualità dei prodotti, e istituire forme trasparenti di controllo e di collocamento inclusive degli attori sociali. In questo contesto più ampio deve essere letta e sradicata anche la piaga del caporalato, contrariamente alla narrazione semplicistica che la rappresenta come un male isolato in un quadro generale fisiologico, «come capro espiatorio per evitare che siano messi in discussione gli elementi fondativi del sistema di produzione» (p.88).
Analoghe problematiche si riscontrano nel settore della logistica. In questo ambito lavorava Abd Elsalam Ahmed Eldanf, morto nel 2016 durante un picchetto. La logistica inoltre vede oggi l’emergere di nuove forme di sfruttamento, come il «bracciantato digitale e metropolitano» (p.111) della gig economy e dei riders. Né l’indebolimento e l’impoverimento del lavoratore di fronte al grande gruppo aziendale sono fenomeni peculiari di queste due filiere. Si tratta al contrario di tendenze generali: Soumahoro menziona anche la precarizzazione del mestiere di giornalista come ulteriore esempio di come, uno dopo l’altro, tutti i lavoratori si stiano trovando “messi all’angolo” (p.12, 22) da un sistema che li isola, li precarizza, ne riduce la forza contrattuale e li impoverisce.
Per questo, la lotta per i diritti dei lavoratori non può che trarre la sua forza dall’unità degli oppressi contro gli oppressori di cui parlava Camus (p.70), che oggi si declina nell’unità dei «lavoratori migranti, […] i braccianti, i rider, i facchini, i ricercatori, i giornalisti precari e tutti i lavoratori deboli» (p.22). L’azione sindacale deve farsi portatrice in prima linea di questa solidarietà e delle rivendicazioni che essa fonda, con un’impostazione democratica, attenta ai vissuti e alle aspirazioni delle persone, inclusiva e internazionale. Contro gli eccessi di un neoliberismo che genera enormi disuguaglianze ed erode i diritti, Soumahoro invita alla rivolta, a dire basta e ad affermare il «diritto alla propria umanità e alla propria felicità» (p.121), elaborando e mobilitandosi per un paradigma alternativo incardinato sulla giustizia sociale e ambientale.
[1] Jolanda Di Virgilio, 2019, “Aboubakar Soumahoro: il lavoro, la lotta, il diritto alla felicità”, Il Libraio
[2] https://www.facebook.com/pg/AboubakarS/about/
[3] Albert Camus, 1951;2014, L’uomo in rivolta, Bompiani.
[4] Albert Camus, 1951;2014, L’uomo in rivolta, Bompiani, p.24.
[5] Albert Camus, 1951;2014, L’uomo in rivolta, Bompiani, pp.26-7.
[6] Coalition Internationale des Sans Papiers et Migrant.e.s (CISPM), 2012, “MARCHE EUROPÉENNE DES SANS–PAPIERS ET MIGRANT.E.S DU 2 JUIN AU 2 JUILLET 2012”