Scritto da Andrea Raffaele Aquino
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Il 25 gennaio 2023 si è svolto, nella Sala del Parlamentino del CNEL, l’incontro “La transizione ecologica: un’opportunità di sviluppo per l’Italia” (la registrazione dell’incontro è disponibile sul canale YouTube del CNEL), organizzato dal Forum Disuguaglianze e Diversità, dal Centro Ricerche Enrico Fermi (CREF) e dall’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna, con lo scopo di mettere in dialogo ricercatori, decisori politici ed esponenti del mondo economico su una tematica sempre più attuale ma ancora non affrontata con decisione, specialmente in Italia. Per questo, una prima parte dell’evento è stata dedicata alla presentazione scientifica dei principali risultati emersi dalle ricerche degli studiosi della Scuola Superiore Sant’Anna e del Centro Ricerche Enrico Fermi, con la moderazione di Rossella Muroni, presidente dell’Associazione Nuove Ri-Generazioni, mentre la seconda metà dell’incontro ha ospitato una tavola rotonda dall’indirizzo più marcatamente politico, presieduta da Fabrizio Barca, coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità, e conclusa dall’intervento di Fausta Bergamotto, Sottosegretaria al Ministero delle Imprese e del Made in Italy.
La rilevanza dell’argomento nel dibattito pubblico è stata notata in apertura da Tiziano Treu, presidente del CNEL, che ha sottolineato come la transizione ecologica, insieme a quella digitale, rappresenti una grande opportunità accompagnata da un inevitabile grande cambiamento, che scuoterà, nei prossimi anni, l’identikit del mercato del lavoro italiano, causando la scomparsa di interi settori (e dunque, di posti di lavoro), soprattutto nel contesto dell’industria, più “nera” che “verde”, per come attualmente costruita. Una criticità che dovrebbe indurci a considerare gli effetti potenzialmente nefasti sul piano sociale di una gestione improvvida di tale contingenza. Tuttavia, ha fatto eco Rossella Muroni, la difficoltà di un percorso indubbiamente irto di ostacoli non deve spaventare. Del resto, l’Italia, non è “l’ultima della classe”, ma presenta potenzialità innovative piuttosto rilevanti, a cui manca però una regolamentazione efficace.
Come hanno efficacemente mostrato gli interventi di Angelica Sbardella e di Aurelio Patelli (CREF), il nostro Paese, malgrado non riesca a tenere il passo di Germania e Francia, si caratterizza per una buona produzione di brevetti “verdi”, con dei picchi quantitativi in alcuni settori – mitigazione del cambiamento climatico relativa all’energia (31%), ai trasporti (19%), alla produzione beni (15%), all’edilizia (15%), alla gestione rifiuti (7%) – e in alcune aree – come la Lombardia. Al netto dei buoni risultati, le innovazioni andrebbero indirizzate verso uno dei tanti modelli di sviluppo verde, in base a una valutazione di costi sociali ed economici, in primis, che dev’essere condotta dai decisori politici in sinergia con il contesto della ricerca.
Il rischio ben sottolineato da Maria Enrica Virgillito (Sant’Anna), infatti, è quello di far ricadere gli effetti negativi di uno sviluppo non adeguatamente “bilanciato” sui cosiddetti left-behind places, i luoghi che non contano, abbandonati dalla politica (con correlazioni elettorali interessanti, studiate, in particolare da Andrés Rodríguez-Pose) e costretti nel passato a subire gli effetti della tossicità dell’innovazione. Peraltro, è ormai acclarato come tali costi non rappresentino il prezzo da pagare per un miglioramento delle condizioni economiche di quanti vi abitano, ma causino una tendenza all’abbassamento dei salari, all’aumento di flussi migratori in uscita e alla disoccupazione. Ancorché dispendiosa e complicata, la transizione ecologica, sottolinea Andrea Roventini (Sant’Anna), va considerata anche come un’opportunità, soprattutto per economie come quella italiana, in stagnazione ormai da decenni. L’aumento di investimenti sulla ricerca costituirebbe un propellente per un nuovo impulso produttivo, da indirizzare, come detto, in forma equa, senza lasciare il processo al solo libero mercato. Le conseguenze potrebbero rivelarsi particolarmente positive: l’investimento nelle rinnovabili per coprire il 90% del fabbisogno energetico entro il 2050 e la creazione di catene del valore verdi (solare, eolico, batterie, pompe di calore) causerebbero un forte aumento della domanda e un’opportunità, ad esempio, di reshoring che ridurrebbe la nostra dipendenza dalle “autocrazie fossili”.
I dati forniti dalle relazioni degli studiosi sono stati poi esaminati e interpretati da Fabrizio Barca, che ha sottolineato tre evidenze ormai acclarate: è in atto una trasformazione verde; la trasformazione ambientale e lo sviluppo “giusto” non sono in conflitto; in molti casi esaminati (non in tutti, non sempre) esiste una tendenza di rapporto inversamente proporzionale tra disuguaglianze e potenzialità tecnologiche verdi. Stanti queste premesse, l’azione collettiva e pubblica risulta fondamentale e, per questa ragione, gli interrogativi posti da Barca in apertura della tavola rotonda risultano essere particolarmente significativi: quali margini esistono di azione? Cosa si può suggerire al governo? Perché molte fonti di energie rinnovabili risultano “bloccate”? Abbiamo necessità di semplificare e snellire le procedure o di un metodo nuovo di lavoro e di comunicazione-partecipazione popolare? Che ruolo dare alle imprese pubbliche in questo processo? Come riprogrammare il sistema di incentivi e clausole sociali? Come trainare le regioni in ritardo nel processo?
Stefano Ciafani, Presidente di Legambiente, ha sottolineato come in Italia manchino politiche industriali efficienti che sappiano valorizzare i primati tecnologici del Paese. In tal senso, la dismissione, databile all’ultimo decennio del secolo scorso, della filiera di rinnovabili, di poco antecedente alla prima sensibilizzazione (2005) sul tema, ci ha costretto a installare tecnologia straniera. Le soluzioni enucleate da Ciafani, in tal senso, sembrano essere principalmente due: la ricostruzione della filiera produttiva e l’incentivo di un dialogo interregionale.
Daniela Ducato, Presidente di Fondazione Territorio Italia, si è concentrata invece sul problema relativo alle normative di smaltimento dei rifiuti. In questo momento, l’innovazione è più avanti della normativa, che è diventata quindi un fattore frenante. La riflessione, secondo Ducato, dovrebbe riguardare non solo il concetto di energia pulita, ma anche quella di suolo pulito. Nel processo di transizione ecologica si trascura troppo spesso il paesaggio, sacrificato, ad esempio, nella manutenzione dei beni culturali. È la prospettiva a dover cambiare, attraverso un’armonia tra pubblico e privato: il bene culturale deve valorizzare il territorio non solo sul piano culturale, ma anche su quello ambientale.
Nel suo intervento, Giovanni Dosi, della Scuola Superiore Sant’Anna, ha rimarcato la necessità di rendere profittevole per le imprese ciò che è vantaggioso per la comunità, altrimenti i progetti green rimarranno isole felici, slegate dal sistema. Ancora oggi, peraltro, la transizione ecologica viene considerata un “lusso”, che potremo permetterci solo quando avremo sistemato le altre questioni. In realtà, “ce lo dobbiamo permettere, se non vogliamo andare verso la distruzione del pianeta”. In questo senso il PNRR, secondo Dosi, sembra uno strumento insufficiente e generico, per come è scritto, per facilitare questo processo.
Più legato agli impatti della transizione ecologica sul mondo del lavoro è stato il discorso di Gianna Fracassi, Vicesegretaria generale della CGIL. In questo senso, appare anzitutto necessario aggiornare il dibattito pubblico e politico sul tema, decisamente insufficiente e arretrato. La presa di coscienza dovrà poi essere accompagnata dalla volontà politica di gestire una partita difficile sul versante del lavoro, per evitare una lacerazione del tessuto sociale del Paese. Infine, si presenterà imprescindibile attuare politiche pubbliche che sappiano cambiare morfologicamente l’intero processo economico, per renderlo circolare. Serve, in sintesi, secondo Fracassi una strategia che tenga insieme politiche del lavoro, politiche industriali, politiche di formazione e riqualificazione – in connessione con la transizione digitale – e che sappia ripensare gli strumenti necessari, come il sistema degli incentivi.
Luciano Pietronero, Presidente del CREF, ha sottolineato la necessità di liberarci dalle visioni ideologiche sul tema, che non aiutano, ma ostacolano il processo. La vera bussola, in questo senso, non può essere rappresentata dai modelli, ma dai dati scientifici, per applicare i quali dovremo ricorrere, senza pregiudiziali, a teorie economiche combinate.
Il presidente di Elettricità Futura, Agostino Re Rebaudengo, ha invece insistito sulla necessità di strutturare più efficacemente il rapporto stato-regioni per adeguare il lavoro sul territorio agli obiettivi prefissati. La sfida della transizione ecologica è (anche) quella di riuscire a fornire energia a costi bassi, in termini economici, ambientali e sociali, nei tempi più stretti possibili. Per questo, secondo Re Rebaudengo, il PNRR, ancorché strumento non ottimale, non andrebbe modificato, per evitare di rimandare ulteriormente il processo.
Alle suggestioni e alle proposte presentate ha risposto Fausta Bergamotto, che ha convenuto sull’importanza di una transizione che vada di pari passo con lo sviluppo e dunque con la riconversione industriale. Naturalmente, il processo si presenta irto di difficoltà, come la programmazione e la nascita di nuove filiere e la formazione dei lavoratori, ma il Paese non può permettersi ritardi. Ciò che dovrebbe compattare l’opinione pubblica e il mondo dell’industria è la comune convinzione di facilitare la transizione ecologica con il fine di mettere al sicuro il sistema. Per questo, Bergamotto annuncia che il governo sta rivedendo il sistema degli incentivi e lavorando per semplificare le operazioni burocratiche troppo macchinose. Lo spirito, ha concluso la sottosegretaria, che animerà l’intero processo dovrà essere quello della collaborazione europea.
Alla luce di quanto dichiarato dai relatori si possono avanzare alcune brevi considerazioni conclusive. Anzitutto, il processo di transizione ecologica è già in atto ed è difficile pensare che sarà arrestato. Si tratta, però, come ha ricordato specialmente Giovanni Dosi, di agire per tempo, rispettando le scadenze sul taglio delle emissioni previste dall’Unione Europea e di riuscire a tracciare un percorso che consenta allo stesso tempo una transizione sostenibile, uno sviluppo economico compatibile con le esigenze ambientali, la nascita di opportunità di lavoro buono e il contrasto delle gravi disuguaglianze economiche e sociali che segnano la società odierna. D’altro lato, anticipare e forzare il processo potrebbe voler dire lacerare il tessuto produttivo e sociale, causando crepe profonde di cui nessuna parte politica vuole assumersi la responsabilità. E tuttavia, ancora si fa fatica a vedere la questione della lotta al cambiamento climatico come problema reale e che riguarda tutti. La radicalizzazione della politicizzazione del tema (che già percepiamo) presenta dei rischi potenzialmente distruttivi. La speranza è quella, sottolineata da Rossella Muroni in chiusura, di una valorizzazione della ricerca, lungamente bistrattata negli ultimi decenni ma unico vero strumento in grado di guidarci nella crisi che stiamo vivendo. E, ovviamente, della lungimiranza e del rispetto verso le generazioni future, alle quali ci lega il dovere etico di lasciare in eredità il pianeta.