Urbex e cultura materiale: riportare in vita gli oggetti “dimenticati” della storia
- 14 Gennaio 2024

Urbex e cultura materiale: riportare in vita gli oggetti “dimenticati” della storia

Scritto da Christopher Calefati

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Negli ultimi anni, la storiografia ha subito notevoli sviluppi in seguito alla svolta culturale e alle nuove interpretazioni provenienti dall’intreccio con scienze “parallele”, come antropologia e storia dell’arte, le quali hanno saputo incontrare la metodologia storica[1]. In questo senso, una particolare attenzione è stata data agli studi sulla cultura materiale, la potenza degli oggetti è riletta come parte importante della cultura di una società. In effetti, la performatività dei dispositivi visuali è interpretabile secondo differenti categorie: memoria, nostalgia, produzione, commercializzazione e ricezione[2]. In questo senso, l’attenzione della storiografia culturale è maggiormente focalizzata su oggetti “rintracciabili”, custoditi in collezioni museali, archivi, scavi archeologici e strutture, pubbliche o private, controllate[3]. Tuttavia, ai margini della galassia della materialità è posto un ampio insieme di oggetti “dimenticati”, custoditi in luoghi abbandonati (o semi-abbandonati) spesso inaccessibili o difficili da raggiungere: località tipicamente meta di pratiche di esplorazioni urbane (Urbex).

In effetti, l’Urban Exploring merita un posto nelle metodologie della ricerca sul campo: esplorare un luogo abbandonato comporta la scoperta di una dimensione «behind the scenes»[4]. Questa pratica sociale ha progressivamente acquisito un importante spazio di discussione attraverso i social media e il proliferare di siti web e canali YouTube che propongono agli spettatori immagini e video di luoghi abbandonati[5]. Gli esploratori costruiscono una connessione emotiva e memoriale con i luoghi, riportando in vita le tracce di coloro che hanno vissuto i medesimi spazi[6]. In questo senso, l’esplorazione urbana è una pratica trasgressiva attraverso cui gli individui colgono l’opportunità di creare ricordi di luoghi che possono coesistere accanto, o talvolta addirittura minare, le storie ufficiali, generando uno scambio simbiotico tra corpo e luogo[7]. L’attitudine degli esploratori è, dunque, simile a quella dello storico con le fonti d’archivio: interrogare gli oggetti ritrovati per ricostruire la storia di un determinato luogo. L’esplorazione urbana consente un’esperienza incarnata della storia, poiché ci si confronta con gli aspetti materiali del passato: gli esploratori sono in grado di toccarli e viverli, invece che osservarli attraverso un vetro in una mostra museale. Tuttavia, l’esperienza di tangible history non permette una proposizione completa della storia dei luoghi, che necessita ulteriori strumenti tipici della ricerca storica accademica: «Urban explorers quarry material and immaterial, functional and fantastical, rational and irrational histories of places. They create myths about places that become embedded in them»[8].

Ma, è necessario dare una definizione di Urbex, in quanto fenomeno che comprende un’ampia gamma di azioni che gli esploratori compiono visitando un luogo abbandonato. In primo luogo, l’Urbex si muove in un flebile confine tra legalità e illegalità, configurando un’erranza da parte dei soggetti nei confronti di un luogo ad accesso limitato. I motivi che spingono gli individui a questa pratica sono molteplici: passione fotografica, ricerca del “decadente” e scoperta di luoghi considerati inaccessibili[9]. Inoltre, gli urbexers possono rappresentare una risposta politica nella lotta per il controllo dello spazio urbano: l’esplorazione di luoghi ai margini comporta una critica alla società contemporanea. In effetti, l’Urbex può altresì essere considerato altresì una pratica reale di riappropriazione e ri-democratizzazione dei luoghi, il cui controllo è stato perso dagli abitanti e dai governi locali[10]. In questi termini, la diffusione delle esplorazioni urbane ha favorito l’attenzione della società verso i luoghi tradizionalmente ordinari, che nel corso dell’esperienze Urbex divengono degli spazi straordinari. Difatti, per gli esploratori i luoghi abbandonati si configurano come dispositivi dell’inaspettato: le rovine urbane sono un punto di contatto e snodo tra passato e l’incalzare del presente[11].

Un balzo nel passato, dunque, è ciò che l’Urbex permette di compiere agli osservatori: la fruizione di materiale visivo da parte degli utenti risponde altresì alla “fame di storia” della società contemporanea. La proliferazione di canali sulla piattaforma YouTube ha facilitato l’accrescimento del pubblico e degli appassionati: un consistente numero di gruppi e blog di urbexers è altresì apparso in rete con un continuo scambio di luoghi abbandonati tra gli utenti[12]. In effetti, gli esploratori effettuano una vera e propria opera di comunicazione, creando degli intensi dibattiti sulla conservazione e rivalutazione dei luoghi. Inoltre, l’emotività è una componente non trascurabile nei materiali audiovisivi presenti in rete: la riscoperta di ricordi familiari, fotografie d’epoca e suppellettili vintage provoca un sentimento di vicinanza temporale con gli osservatori[13]. Gli oggetti abbandonati sono al centro di questa riflessione: come per le collezioni museali, anche molti ritrovamenti Urbex rappresentano dei pezzi unici che meriterebbero un’analisi approfondita.

Un’attenzione particolare a questo fenomeno è stata riservata nelle riflessioni prodotte da accademici in Francia, Germania e Nord America: la proliferazione di urbexers ha influito sulle necessità di includere questa pratica nelle interpretazioni della storia della cultura materiale. In effetti, alcuni importanti lavori sulla cultura materiale Urbex sono stati pubblicati, nel 2019, dallo storico francese Nicolas Offenstadt, il quale pone una particolare attenzione sulle tracce “scomparse” della Repubblica Democratica Tedesca (DDR) presenti oggigiorno nei luoghi abbandonati che un tempo erano spazi centrali nella vita della Germania Orientale[14]. In entrambi i volumi, le esplorazioni urbane fungono da pilastro per la ricostruzione della storia di uno “Stato scomparso” attraverso l’analisi visiva delle rovine di fabbriche ed edifici governativi che rappresentano delle tracce indelebili nel paesaggio attuale delle città tedesche dell’Est. I lavori di Offenstadt hanno il grande merito di averci restituito una storia attraverso le memorie tangibili di spazi che, nonostante l’abbandono, si configurano come una sorta di resistenza alla stessa rapidità della società che li ha portati in rovina.

Nello spazio italiano, al contrario, manca un’analisi comparata che sappia associare esplorazioni urbani e costruzione di un metodo per la storia degli oggetti: non mancano importanti riflessioni sull’archeologia industriale e il recupero patrimoniale, una tematica complementare con le esplorazioni urbane ma differente rispetto a ciò che interessa in questo articolo[15].

Il panorama Urbex italiano appare complesso, con un importante numero di siti abbandonati e ricchi di testimonianze materiali del passato. In questo senso, un’importante opera di divulgazione è svolta dal canale YouTube Urbex Squad, nato nel 2018 da gruppo di ragazzi appassionati di fotografia ed esplorazioni urbane. La pagina, che conta oltre 230.000 iscritti, costituisce un interessante case study per una riflessione tra Urbex e cultura materiale. Nel folto insieme di video, una menzione particolare è necessaria per alcuni eclatanti ritrovamenti fatti in antiche ville signorili appartenuti a membri delle élite locali e nazionali tra XIX e XX secolo. Un esempio importante è fornito dall’esplorazione di un palazzo, denominato Villa Macintosh, in cui gli autori del video ritrovano antichi documenti di attestazione di nobiltà prodotti, prima dell’Unità, dai funzionari austriaci e successivamente dalle autorità del Regno d’Italia. Le carte fanno riferimento all’aristocratico Domenico Angeli, il cui status è stato ratificato dagli alti vertici asburgici e successivamente da quelli sabaudi[16]. Altri ritrovamenti documentari sono altresì riscontrati nell’esplorazione della Villa Ottagono, in cui sono ritrovati importanti documenti topografici custoditi da un giornalista (vecchio proprietario dello stabile), che potrebbero contribuire a infoltire la storia locale del paese in cui il palazzo è situato. Inoltre, nel medesimo luogo, il gruppo di esploratori ha rinvenuto importanti oggetti politici, inediti, prodotti dall’Ufficio Tecnico di Propaganda Nazionale di Milano[17]: un manifesto, probabilmente redatto dopo la fine della Prima guerra mondiale, raffigurante la decadenza dell’Impero Asburgico in seguito alla sconfitta. Altri interessanti ritrovamenti del luogo analizzato sono dei plichi di tessere del Partito Nazionale Fascista a un’intera collezione di fotografie scattate durante i comizi pubblici delle camicie nere.

I casi proposti in questo breve articolo sono emblematici poiché rappresentano delle realtà in cui sono presenti degli oggetti unici che dovrebbero essere sottratti dalla devastazione del tempo. Il binomio Urbex-trasgressione sarebbe da riconsiderare poiché questa attività risulta essere l’unica pratica di “scavo” archivistico che permetta la rinascita degli oggetti dimenticati. Infatti, l’esplorazione urbana muta totalmente la propria forma: da atto “errante” e turistico a metodo di ricerca sulla materialità storica della società. Per questo motivo, una riflessione più approfondita per la collaborazione tra storici ed esploratori dovrebbe essere fatta nel periodo del digital turn e della costante fruizione di materiali online Urbex[18].In questo senso, è emblematica la definizione data da Bradley Garret sul considerare gli urbexers come veri e propri “viaggiatori” della storia: «Urban explorers, far from being naive, superficial spectators, are temporal alchemists, churning the past, present, and to some extent the future into new and exciting forms»[19].


[1] Carlotta Sorba e Federico Mazzini, La svolta culturale. Come è cambiata la pratica storiografica, Laterza, Roma-Bari 2021.

[2] La letteratura sulla cultura materiale risulta essere abbastanza ampia, di seguito qualche testo sulla tematica generale degli oggetti e la storia: Ivan Gaskell e Sarah Anne Carter (a cura di), The Oxford Handbook of History and Material Culture, Oxford University Press, Oxford 2020; Stephanie Downes, Sally Holloway e Sarah Randles (a cura di), Feeling Things. Objects and Emotions through History, Oxford University Press, Oxford 2018; Anne Gerritsen e Giorgio Riello (a cura di), Writing Material Culture History, Bloomsbury Academic, Londra 2015; Neil MacGregor, La storia del mondo in 100 oggetti, Adelphi, Milano 2012 [ed. or. 2010]; Arjun Appaduraj (a cura di), La vita sociale delle cose. Una prospettiva culturale sulle merci di scambio, Meltemi, Milano 2021 [ed. or. 1986].

[3] Alessio Petrizzo e Carlotta Sorba, Cultura materiale e storia: recenti traiettorie di ricerca. Interventi di Fabio Dei, Giorgio Riello, Beverly Lemire, Manuel Charpy, Leora Auslander, «Contemporanea», XIX, n. 3, 2016, pp. 437-480.

[4] Jeff Chapman (aka Ninjalicious), Access All Areas: A User’s Guide to the Art of Urban Exploration, Infilpress, Toronto 2005.

[5] Todd Sipes, Urban Exploration Photography: A Guide to Shooting Abandoned Places, Peachpit Press, San Francisco 2013.

[6] Paul Dobraszczyk, Petrified ruin: Chernobyl, Pripyat and the death of the city, «City: Analysis of Urban Trends, Culture, Theory, Policy, Action», vol. 14, 2010, pp. 370-389.

[7] Susan Bird, UrbEx: Adventure, Invention and History in non-spaces, in «InterArtive», 65/2014.

[8] Bradley Lannes Garrett, Assaying history: creating temporal junctions through urban exploration, «Environment and Planning D: Society and Space», vol. 29, n° 6, 2011, p. 1053.

[9] Aude Le Gallou, Espaces marginaux et fronts pionniers du tourisme urbain : approcher les ruines urbaines au prisme de la notion d’(extra)ordinaire, «Bulletin de l’association de géographes français», 95-4 | 2018, 595-612.

[10] Emma Fraser, Urban Exploration as Adventure Tourism: Journeying beyond the Everyday, in Hazel Andrews e Les Roberts (a cura di), Routledge Liminal Landscapes: Travel, Experience and Spaces in-between, Londra, 2012, pp. 136–151.

[11] Tim Edensor, Industrial Ruins: Spaces, Aesthetics and Materiality, Berg, Oxford 2005.

[12] Crystal Fulton, Urban exploration: Secrecy and information creation and sharing in a hobby context, «Library & Information Science Research», Volume 39, Issue 3, 2017, Pages 189-198.

[13] Robin Lesné. “Urbex and Urban Space”: A Systematic Literature Review and Bibliometric Analysis, «International Journal of the Sociology of Leisure», 2022, pp. 425-443.

[14] Nicolas Offenstadt, Urbex RDA. L’Allemagne de l’Est racontée par ses lieux abandonnés, Albin Michel, Parigi 2019; Id., Le pays disparu. Sur les traces de la RDA, Gallimard, Parigi 2019.

[15] Un sunto sulla questione italiana dei paesaggi industriali: Alessandro Spennato, Esplorazione urbana: Il fenomeno “Urbex” come luogo di ricerca, «AND Rivista di Architetture, Città e Architetti», 40(2), 2021.

[16] Franz Schröder, Repertorio genealogico delle famiglie confermate nobili e dei titolati nobili esistenti nelle Provincie Venete, Tipografia di Alvisopoli, Venezia, 1830, p. 31.

[17] Per approfondire sugli strumenti governativi di propaganda e repressione tra età liberale e fascismo si rimanda al saggio: Giovanna Tosatti, La repressione del dissenso politico tra l’età liberale e il fascismo. L’organizzazione della polizia, «Studi Storici», vol. 38, no. 1, 1997, pp. 217-255.

[18] Pablo Arboleda, Heritage views through urban exploration: the case of ‘Abandoned Berlin’, «International Journal of Heritage Studies», 22:5, 2016, 368-381.

[19] Bradley Lannes Garrett, Assaying history, op. cit., p. 1065.

Scritto da
Christopher Calefati

Christopher Calefati è assegnista di ricerca in Storia Contemporanea presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Pavia. Ha ottenuto il dottorato in Storia presso l'Università di Pavia in cotutela con il Centre De Recherche en Histoire Européenne Comparée dell’Université Paris-Est. Si occupa di violenza politica, cultura visuale e dissenso alternativo nel Mezzogiorno d’Italia tra 1848 e seconda Restaurazione. Inoltre, ha studiato il fenomeno degli usi e abusi della storia nei circuiti crossmediali di massa, con particolare riferimento al neoborbonismo.

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