Scritto da Andrea Baldazzini
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Ad ogni modo, uno degli aspetti più interessanti di questo lavoro consiste senza dubbio nell’aver riproposto, in modo originale, la questione riguardante la formazione tanto dei processi di individualizzazione quanto di quelli di socializzazione, esaminati in relazione al concetto di rito, qui concepito come modo di padroneggiare la socializzazione comunicativa che passa sempre attraverso vari simboli linguistici. L’ipotesi di ricerca habermasiana prende infatti avvio dell’idea secondo cui «oggi a riacquistare attualità è la vecchia ipotesi che fa derivare il linguaggio dalla comunicazione gestuale» (p. 69) e non è un caso che la prima parte del volume termini proprio con l’affermazione secondo cui il complesso sacrale (l’insieme di rito e mito) non si è dissolto, ma anzi permane e si riproduce: «le tradizioni religiose, in simbiosi con il culto comunitario, non hanno affatto perso vitalità» (p. 78).
Nonostante la sua prospettiva laica, Habermas vede molto chiaramente il ruolo giocato dalle tradizioni religiose nel fornire, ad ogni cittadino credente e non, un grande serbatoio di intuizioni morali che possono fornire a tutti ispirazioni importanti. Come ha notato molto bene Thomas M. Schmidt «la teoria habermasiana della secolarizzazione mostra di coniugare la differenziazione weberiana delle sfere di valore (frutto della razionalizzazione della vita religiosa) con la linguistificazione durkheimiana del sacrale, che svincola i potenziali di razionalità intrinseci all’agire comunicativo»[2].
Con un concetto così riformulato di “mondo della vita”, è quindi stato possibile riqualificare la religione ridandole quella dignità che aveva perduto rimanendo per troppo tempo all’ombra dello spirito scientifico, mentre attraverso lo studio dell’atto linguistico verbalizzante il sacro, e la sua traduzione, il contenuto di credo è stato reinserito come termine argomentativo valido all’interno del dibattito pubblico.
Le conclusioni sarebbero poi davvero innumerevoli e necessiterebbero molto più dello spazio qui a disposizione, perciò ci si limiterà ad un’unica considerazione nella convinzione che possa riassumere il significato complessivo dell’opera, in quanto essa possiede molto di più di un semplice valore euristico. Questa raccolta di saggi è una testimonianza appassionata del grande sforzo dell’autore di costruire un serio dialogo tra mondo della fede e mondo laico, un’azione di lotta contro l’imposizione di tutti quei valori trasformati in dogmi. Il desiderio di Habermas è quello di considerare il nuovo ruolo che le religioni avranno nella sfera pubblica, cercando di fornire gli strumenti concettuali a partire dai quali costruire una “società inclusiva”, dove l’uguaglianza politica e la differenza culturale non si limitino alla sopravvivenza, ma riescano in una più completa e reale convivenza. Quello che viene chiesto non è altro che l’assumere «un comportamento epistemicamente oneroso, moralmente necessario, epperò non giuridicamente obbligatorio»[3], ovvero di praticare quel dialogo che deve essere sempre appreso e mai imposto.
[1] Jürgen Habermas, Verbalizzare il sacro. Sul lascito religioso della filosofia, Laterza, Roma-Bari, 2015, p.7.
[2] Thomas M. Schmidt, Discorso religioso e religione discorsiva nella società postsecolare, Trauben, Torino, 2009, p. 19.
[3] Jürgen Habermas, Verbalizzare il sacro. Sul lascito religioso della filosofia, Laterza, Roma-Bari, 2015, p.243.
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