Recensione a: Mireno Berrettini, Verso un nuovo equilibrio globale. Le relazioni internazionali in prospettiva storica, Carocci, Roma 2018, pp. 160, 17 euro (scheda libro)
Scritto da Federico Rossi
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La prospettiva classica delle relazioni internazionali vede il mondo occidentale ed europeo come il perno dell’assetto mondiale nel corso di tutta la storia fino ad oggi, limitandosi a registrare solo meri passaggi di consegna all’interno di questo blocco. In questa lettura prevalente l’Europa assume dall’età delle scoperte un ruolo di potenza egemone e di motore dei contatti fra i vari mondi culturali, una situazione che si protrae fino al XX secolo, quando il testimone passa alle due superpotenze, Unione Sovietica e Stati Uniti, e poi solo a questi ultimi dopo la fine della Guerra Fredda.
Una simile prospettiva è convintamente rifiutata da Mireno Berrettini, ricercatore di Storia delle relazioni internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che apre il primo capitolo del suo Verso un nuovo equilibrio globale proprio con una rassegna delle principali posizioni di questo filone allo scopo di evidenziarne i punti deboli.
Il volume si propone di offrire una nuova lettura dell’evoluzione dello scenario globale odierno attraverso un’analisi genealogica, che sia capace di decostruire la tradizionale storiografia Western-oriented e offrire un angolo di visuale che tenga conto del ruolo di tutti gli attori rilevanti nel sistema internazionale. Gli strumenti utilizzati sono soprattutto quelli offerti dalla World History e dalla microstoria, che permettono all’autore di superare a livello macro le narrazioni eurocentriche ma anche di offrire spazio a focalizzazioni su aspetti circostanziati rimasti ai margini delle ricostruzioni classiche.
È partendo da questi elementi che l’autore si oppone alla narrazione relativistica della storia, che vede «la progressiva espansione del sistema internazionale interamente a partire dal nucleo degli Stati del Vecchio Continente» (p.30). La modernità non sarebbe più quindi solo il risultato dell’esportazione a livello globale del liberalismo occidentale, ma piuttosto il frutto di una serie di contatti fra diversi modelli. Berrettini parla a questo proposito di una storia caratterizzata da «un susseguirsi di mondi connessi, unificati da scambi economico-commerciali, tecnologico-scientifici, ideologico-religiosi, tali da prospettare un mondo ampiamente collegato ben prima dell’epoca delle grandi scoperte occidentali» (pp.30-31).
Il superamento dell’eurocentrismo e la Guerra Fredda in prospettiva globale
In questo quadro assume nuovamente un ruolo fondamentale, ben prima dell’epoca contemporanea, la Cina, che dal XIII secolo fino alle Guerre dell’Oppio rappresenta uno dei grandi poli del sistema internazionale. Ma l’Impero cinese non è il solo attore storico di primo piano: nella ricostruzione di Berrettini l’assetto delle relazioni internazionali è caratterizzato da un equilibrio multipolare stabile fra potenze regionali, che resta tale fino al XIX secolo.
A dimostrazione di ciò l’autore mette in evidenza i tentativi a vuoto di conquista reciproca, rievocando ad esempio la fallimentare missione portoghese in Cina del 1516, la battaglia vinta dagli ottomani ad Algeri nel 1541 o ancora la guerra sino-olandese (1661-62), che fanno da contraltare a Lepanto e agli altri successi degli Stati europei. Gli ultimi segni di questo equilibrio fra macro-regioni arriverebbero poi fino al XIX secolo con le resistenze alla colonizzazione europea in scontri come Islandlwana (1879), Lula-Rugaro (1891) e Adua (1896). Accanto ai conflitti vi sono però anche gli scambi tecnologici e culturali fra le civiltà, che hanno permesso ad esempio la diffusione della polvere da sparo o del sistema di numerazione posizionale, ma anche delle grandi religioni monoteiste.
In questo punto della ricostruzione emerge forse il punto debole della ricostruzione di Berrettini, che nel delineare i rapporti fra le civiltà si sofferma essenzialmente sull’asse Oriente-Occidente, trascurando invece quella Nord-Sud. Se l’argomentazione regge in ognuna delle sue parti quando si tratta delle relazioni europee con la Cina e il Giappone o con il mondo arabo, lo stesso non si può dire per quanto riguarda i rapporti fra l’Africa centro-meridionale e l’Occidente. Gli unici accenni in questo senso sono infatti i menzionati episodi di resistenza al colonialismo, i quali però rappresentano piuttosto delle sporadiche eccezioni in una relazione caratterizzata almeno dal XIV secolo da forti asimmetrie.
Il cambiamento nello schema di Berrettini avviene invece soltanto fra la fine del XVIII e il XIX secolo, ma soprattutto dalla rivoluzione industriale, quando prende avvio la cosiddetta Great Divergence, che porta uno sbilanciamento verso i paesi occidentali capace di perdurare almeno fino alla Guerra Fredda. Proprio quest’ultima rappresenta per l’autore però un altro nodo storiografico da sciogliere, che è preso in esame nella parte centrale del libro attraverso un confronto con le letture storiografiche tradizionali e con un approccio fortemente interdisciplinare.
L’autore affronta anzitutto la questione linguistica riguardante l’espressione in sé, ripercorrendone l’evoluzione dalle sue prime applicazioni in riferimento al contesto multipolare degli anni Trenta fino al suo utilizzo più comune per indicare la situazione bipolare fra Stati Uniti e Unione Sovietica. Particolare risalto viene dato alla definizione che del termine dà George Orwell prima nel 1945, in riferimento al dissolversi del confine fra guerra e pace, e poi l’anno successivo, accennando alla «relazione larvatamente conflittuale tra Impero britannico e Unione Sovietica» (p.40).
Ricostruito questo aspetto Berrettini approfondisce allora il tema dal punto di vista storiografico e politologico. Egli ripercorre inizialmente il dibattito statunitense sulle origini dello scontro fra le superpotenze, soffermandosi principalmente sulle analisi contemporanee alla Guerra Fredda, e prende in seguito in considerazione le influenze di questo pensiero nella contemporaneità in manifestazioni come la cosiddetta Cold War nostalgia. A queste visioni viene poi contrapposta ancora una volta una visione globale, ridimensionando la situazione conflittuale fra Stati Uniti e Unione Sovietica e riabilitando come attore fondamentale la Cina. L’obiettivo è quello di «guardare la foresta e non solo l’albero» (p.49) e l’intento viene centrato in pieno con la destrutturazione delle narrazioni egemoniche, che ci restituisce una conformazione delle relazioni internazionali nella seconda metà del XX secolo molto meno incentrata sul bipolarismo.
Attraverso quest’opera di rimozione del filtro storico occidentalista, Berrettini fornisce così anche nuovi strumenti per leggere la contemporaneità e la cosiddetta Great Convergence, la fase di avvicinamento delle potenze globali apertasi a partire dalla crisi economica del 2008. Lo spostamento dell’asse al di fuori del mondo occidentale non sarebbe più quindi un unicum nella storia, ma piuttosto una fase di riallineamento dopo l’eccezione storica creatasi con la Great Divergence. Non ci troveremmo quindi di fronte ad una crisi o ad un declino dell’occidente, ma neppure meramente al rise of the Rest, come teorizzato da alcuni, quanto piuttosto ad un ritorno ad una fase equipolare delle relazioni internazionali accompagnata dall’aprirsi di nuovi scenari.
Storia globale e sistemi imperiali
Questo quadro interpretativo risulterebbe incompleto senza prendere in esame la riflessione dell’autore a proposito del concetto di “impero”, che a suo avviso offre una prospettiva più utile rispetto a un punto di vista focalizzato sullo “Stato” come attore principale delle relazioni internazionali. L’autore utilizza il termine impero con diverse accezioni, riferendosi tanto alla sua manifestazione storica in senso stretto, quanto ad una nozione vicina a quella di civiltà delineata da Samuel Huntington in The Clash of Civilizations.
In polemica con chi sostiene che gli Imperi siano finiti con la Prima Guerra Mondiale, Berrettini ritiene allora che «ciò che noi percepiamo e rappresentiamo come il processo di crisi dello Stato non è altro che la riconfigurazione di quest’ultimo nella forma di sistema imperiale» (p.65). Ciò che ne deriva è che la cosiddetta età degli Imperi «non solo non è affatto finita, ma non è mai finita» (p.65) e di conseguenza il sistema imperiale deve tornare ad essere una delle unità analitiche fondamentali nell’indagare il rapporto fra spazio e potere, assieme alla città.
Rivitalizzando la sua riflessione storiografica attraverso la lente teorica offerta dal concetto di impero l’autore, per esempio, rilegge il passaggio di consegne fra Regno Unito e Stati Uniti alla fine della Seconda Guerra Mondiale come un cambio ai vertici di uno dei sistemi imperiali in gioco piuttosto che un mutamento egemonico a livello globale. Ma l’autore impiega questi concetti anche per l’analisi della contemporaneità, evidenziando il portato delle eredità imperiali negli Stati emergenti, quali la Russia, la Cina e la Turchia, e leggendo il periodo di transizione odierno verso la Great Convergence come una fase storica di rapida ridefinizione degli equilibri imperiali.
L’abbandono di un modello Stato-centrico non è però mai totale e lo si evince anche dal doppio significato del termine impero implicito nella riflessione dell’autore. Sotto al livello degli imperi infatti l’unità sembra essere ancora lo Stato, presente soprattutto nel confronto per l’egemonia interna al sistema imperiale. Ciò non toglie che, quando Berrettini parla di un equilibrio fra le potenze, si riferisce principalmente ad un equilibrio fra quelli che chiama sistemi imperiali, piuttosto che fra Stati.
I capitoli finali del volume sono infine dedicati al tramonto del ruolo egemonico statunitense di fronte all’emergere, o al riemergere, di altre potenze. Ad occupare lo spazio maggiore in quest’ultima parte è il rapporto fra gli Stati Uniti e la Cina, la cui conformazione viene a rappresentare uno degli assi principali sui quali si gioca il nuovo equilibrio multipolare. Nel tracciare questo schema tuttavia l’autore non trascura altri possibili attori fondamentali del nuovo assetto, in primis la Russia, né si sottrae all’analisi degli scenari di crisi che potrebbero aprirsi internamente ai paesi emergenti e che potrebbero certamente influire sulla ricomposizione dei sistemi imperiali nello scenario globale.
L’approccio di Berrettini è nel complesso sempre molto lucido e convincente e non manca di esprimere posizioni originali, sempre ben supportate da un apparato storico e teorico che non vacilla in nessuna delle componenti del ragionamento. È da notare che l’autore sceglie volontariamente di non soffermarsi sul tema del terrorismo, la cui importanza viene ridimensionata e circoscritta, preferendo concentrarsi invece sui rapporti di livello macro che condizionano in modo rilevante il sistema internazionale, tanto da un punto di vista politico degli assetti di forza quanto da uno ideologico declinato in termini di egemonia.
Berrettini inoltre si confronta quasi in ogni fase del suo ragionamento con la principale bibliografia sul tema e non disdegna talvolta approfondite ricostruzioni storiografiche. Infine, uno dei meriti maggiori del libro è forse quello di bilanciare perfettamente la componente decostruttiva, incentrata sullo smantellamento di una visione occidentalista della storia, e quella costruttiva, che recupera e riadatta il concetto di Impero e fornisce una nuova lente per leggere da un punto di vista innovativo tanto il XX secolo quanto la contemporaneità.