La via olandese al populismo: Geert Wilders e il PVV
- 09 Ottobre 2018

La via olandese al populismo: Geert Wilders e il PVV

Scritto da Michelangelo Morelli

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Da due anni a questa parte la tenuta dell’Unione Europea è stata messa a dura prova da diversi eventi. Sin dal referendum per la Brexit nel 2016 si è infatti registrato un notevole aumento di consensi elettorali per quei partiti classificati come populisti di destra. Nonostante non si possa ancora parlare di un credo populista ufficiale, questa nuova stagione ideologica presenta molte tendenze comuni, saldandosi contemporaneamente alle peculiarità proprie di ogni partito nazionale.

Uno di questi è il Partij Voor Den Vridheim (Partito della Libertà) olandese, perfetto esempio di come le istanze canoniche del populismo europeo si intreccino con le caratteristiche proprie del contesto politico e sociale di riferimento. Il percorso umano e ideologico del suo leader, Geert Wilders, è lo strumento ideale per comprendere come sia stato possibile l’exploit di un partito intollerante e xenofobo in un paese tradizionalmente campione delle libertà civili e del multiculturalismo.

Wilders nasce a Venlo, cittadina dei Paesi Bassi Meridionali, da padre olandese e madre indonesiana nel 1963. Le origini asiatiche sono state interpretate dall’antropologa Lizzy van Leeuwen come la causa principale dell’orientamento politico di Wilders, alimentato da una “scissione identitaria” comune a quel particolare gruppo etnico olandese. Per quanto affascinante, in realtà non vi è alcuna prova per sostenere questa tesi. È infatti molto più probabile che alla radice del percorso ideologico di Wilders vi siano stati due particolari eventi: il viaggio in Medioriente e il soggiorno a Kanaleneiland.

La profonda simpatia di Wilders per Israele, dettata senz’altro anche da motivi personali, è attribuibile ad un sentimento comune a molti olandesi, probabilmente dovuto al rammarico per il collaborazionismo durante l’occupazione nazista del paese. Durante il viaggio compiuto in Israele, dove ebbe modo di conoscere l’efficienza e l’orgoglio della neonata repubblica, Wilders esplorò alcuni paesi vicini, tra cui l’Egitto[1], entrando per la prima volta in contatto con la cultura araba e musulmana.

Il primo impatto con l’Islam gettò le premesse del futuro impegno politico, maturate anche durante il soggiorno di Wilders a Kanaleneiland, sobborgo di Utrecht, in cui si trasferì nel 1985. In quel periodo il quartiere fu soggetto a importanti flussi migratori (principalmente da Turchia e Marocco, ma anche da altri paesi musulmani come Iran, Iraq e Afghanistan) che ne ridisegnarono profondamente la fisionomia. Con le parole di Wilders, si trattava di piccole Casablanca e Istanbul, “le cui strade brulicavano di cartelli in arabo e di donne col velo”, in cui i non musulmani (tra cui lo stesso Wilders) venivano insultati e aggrediti.

Mentre Kanaleneiland e il viaggio in Medioriente, per quanto significativi, non portarono ad alcuna conseguenza politica, il successivo periodo di impiego negli uffici del sistema di sicurezza sociale nazionale segnò in tal senso una svolta decisiva. La constatazione della lentezza e inefficienza dell’elefantiaco sistema burocratico spinse Wilders nel 1988 ad entrare nel Volkspartij voor Vrijheid en Democratie (Partito per la Libertà e la Democrazia), partito liberale di destra olandese guidata dal 1990 da Frits Bolkestein.

L’ideologia politica di Bolkestein, in seguito curatore dell’omonima direttiva[2] in qualità di commissario europeo per il mercato interno, era una miscellanea di neoliberismo economico, pragmatismo in politica estera e conservatorismo socio-culturale. L’impostazione tipica della destra liberista, incentrata su temi come decentramento amministrativo e tagli al welfare, si saldava in Bolkestein a una feroce critica della crescente integrazione europea e del multiculturalismo all’olandese.

Il tratto più sconvolgente del leader del VVD era però lo stile comunicativo: frasi brevi e aggressive che spaziavano dalle invettive contro il relativismo culturale al biasimo della classe dirigente. La strategia di Bolkestein si rivelò vincente alle elezioni del 1994, dove il VVD ottenne il 20%. Grazie ai 31 seggi conquistati il VVD si rivelò essenziale per escludere dal governo i cristiano-democratici, al potere da settant’anni, e formare una coalizione con i socialdemocratici (PvDA) e i liberali di sinistra (D66).

Il governo fu confermato alle elezioni del 1998, dove il VVD guadagnò così tanti seggi (45) da permettere anche a Wilders, al quarantaseiesimo posto nella lista del partito, di guadagnare uno scranno nella Tweede Kamer. Wilders all’epoca era un personaggio semi-sconosciuto, un gradino più in alto dell’oblio solo grazie alla sua capigliatura eccentrica. Le istanze xenofobe, sempre più importanti nell’agenda di Wilders, erano lontane anni luce dai sentimenti della società olandese, caratterizzata negli anni del poldermodel[3] del premier Wik Kok da una forte crescita economica e da un largo consenso popolare.

 

Il contesto olandese e il PVV

In un suo libro, The Politics of Accomodation, il politologo olandese Arendt Lijphart espone l’evoluzione della teoria politica in Olanda durante il Novecento. La teoria del “consociativismo” fondava le proprie premesse sull’esistenza nel tessuto sociale e politico olandese di sottogruppi autonomi, dotati di istituzioni proprie come scuole, giornali e club. Queste unità fondamentali, nonostante le differenze ideologiche, riuscivano a convivere sotto lo stesso tetto tramite una continua politica del compromesso, ricercando costantemente l’accordo tra maggioranza e minoranza e ripartendo proporzionalmente il potere tra i vari pilastri[4].

Il risultato di questa pillarization fu la creazione di un sistema a quattro compartimenti, uno per ogni sottogruppo. Il primo era quello calvinista, formato dall’Unione Cristiano Storica (CHU) e dal Partito Anti-Rivoluzionario (ARP), confluiti nel 1980 nell’Appello Cristiano Democratico (CDA). A seguire il pilastro cattolico, costituito dal Partito Popolare Cattolico (KVP), il pilastro socialista, composto dal Partito del Lavoro (PvDA) e infine il pilastro liberale, incarnato dai liberali di destra (VVD) e dai liberali di sinistra (D66).

A cavallo degli anni Sessanta e Settanta questo modello fu messo in discussione dalle istanze della New Left, basate sulla politicizzazione del conflitto, sulla contestazione e soprattutto sull’appello alla base elettorale. Questa stagione di turbolenze politiche, conclusasi negli anni Settanta con l’accoglimento di queste richieste (aborto, droghe leggere, eutanasia), si riaccese verso la fine degli anni Novanta con l’exploit dei populisti di destra e del loro padre spirituale, Pim Fortuyn[5].

Il successo della Lista Pim Fortuyn alle elezioni del maggio 2002 fu sostanzialmente l’espressione politica di un contrasto nella società olandese, divisa tra la tradizionale difesa delle libertà civili e le preoccupazioni popolari riguardanti l’immigrazione. Fortuyn fu abilissimo nello sfruttare questa frattura, risolvendola in un’ulteriore contrapposizione, che vedeva da un lato una cultura ostile alle libertà olandesi, ossia quella musulmana, e dall’altro l’identità nazionale olandese, la cui sopravvivenza dipendeva necessariamente dalla distruzione dell’Islam.

In altre parole con Fortuyn si consumò la svolta xenofoba dall’odio per le minoranze all’odio per l’Islam, di cui Geert Wilders fu capace interprete e portavoce. In quello stesso periodo nel VVD si era verificato un passaggio di consegne: Bolkestein aveva lasciato la presidenza del partito a Hans Dijkstal, che aveva portato il partito verso posizioni più centriste. In un crescendo di dissensi e contrasti, nel luglio 2004 Wilders, dopo aver mandato su tutte le furie Dijkstal con un programma per traghettare il VVD totalmente a destra, lasciò il partito, fondando un anno e mezzo dopo (febbraio 2006) il Partito della Libertà.

Il vangelo del nuovo partito, la cosiddetta “Dichiarazione d’Indipendenza”, delineava un programma socio-economico marcatamente neoliberista, che includeva tagli al welfare, decentramento e detassazione, aggiungendo un tono spiccatamente xenofobo e nazionalista. Nello stesso anno i membri del Wilders Group[6] si impegnarono attivamente nella campagna referendaria contro la Costituzione Europea, attaccando l’elitismo e la sottomissione a Bruxelles della classe dirigente olandese.

Nonostante il fallimento del referendum e dei partiti che l’avevano supportato, Wilders e il PVV rimasero pressoché sconosciuti al pubblico, registrando nei sondaggi appena l’1% delle preferenze nell’estate 2006. Il leader del partito decise così di accantonare la retorica anti-establishment e nazionalista, concentrandosi esclusivamente sui pericoli dell’immigrazione incontrollata. Grazie a questo cambio di programma e a un sapiente uso dei mezzi d’informazione il PVV guadagnò nove seggi alle elezioni del novembre 2006, entrando per la prima volta nell’aula del Binnenhof[7].

 

Tra libertarismo e xenofobia

Le caratteristiche del populismo all’olandese derivano dal binomio ideologico law & order/etica libertaria, frutto da un lato delle esperienze personali del suo leader Geert Wilders, dall’altro del contesto nazionale.

Sin dalla sua fondazione il PVV ha presentato una forte vocazione parlamentarista, corroborata nei fatti dal largo uso degli strumenti istituzionali a disposizione dei membri della Camera come mozioni e interrogazioni[8]. La maggior parte di questi provvedimenti, quasi sempre risoltisi in un nulla di fatto, proponeva misure esagerate e inattuabili, che rispondevano al preciso obiettivo di Wilders di suscitare tramite la polemica un dibattito. Tale strategia trova riscontro nello stile comunicativo provocatorio di Wilders e dalla risonanza dei suoi proclami nel paese, spesso frutto di molti processi per istigazione all’odio.

Uno di questi processi fu causato da un cortometraggio girato da Wilders nel 2008 intitolato Fitna, traducibile in arabo come “dissenso”. Lo scopo di questo breve documentario è di presentare l’Islam, come una religione totalitaria, simile al nazismo e al bolscevismo. L’Islam è concepito come l’antitesi per eccellenza alla cultura occidentale, il cui senso, secondo Wilders, è quello di piegare il mondo al Corano, soprannominato il “Mein Kampf” dell’Islam.

Se prima Wilders era disposto ad ammettere l’esistenza di un Islam “impuro”, cioè moderato e tollerante, con Fitna vi è un solo Islam, che attraverso l’immigrazione di massa e lo sfruttamento del welfare nazionale mira a indebolire l’Occidente. Secondo Wilders, il multiculturalismo e il globalismo delle élite di sinistra, creando un sistema tollerante e assistenzialista, non avrebbe fatto altro che assecondare il gioco dei fondamentalisti.

Nel pensiero wildersiano a queste forze oscure si contrappongono Henk e Ingrid, metafora del popolo olandese, di cui il partito si presenta come unico interprete ed esecutore. Lo spirito del paese, incarnato dalla massa onesta e lavoratrice, è però fiaccato da anni di politiche assistenzialiste, per cui l’unica medicina è una riforma del sistema scolastico e il recupero della memoria nazionale.

Molti elementi costitutivi dell’ideologia del partito hanno portato gli osservatori ad avvicinare il PVV alla subcultura fascista del paese e al Nationaal-Socialistische Beweging, il partito nazionalsocialista olandese degli anni Trenta e Quaranta. Un paragone alquanto dubbio, considerando innanzitutto che se il NSB era fortemente antisemita il PVV, Wilders in primis, rifiuta nettamente l’antisemitismo e generalmente il nazifascismo.

Per quanto riguarda l’odio verso minoranze la questione è più complessa. Per Wilders esistono minoranze perfettamente integrate nel tessuto socio-economico del paese sia alcune completamente aliene a esso. L’Islam è il nemico per eccellenza, ostile alla cultura occidentale e finalizzato a distruggere quell’ordine naturale che nella sua visione è l’anima della società.

In quest’ordine naturale elementi in apparente contraddizione vivono in perfetta armonia: il culto dell’autorità e la repressione autoritaria della criminalità, pilastri della dottrina law & order, si intrecciano con la teoria dello stato minimo, la parità tra i sessi, i diritti LGBT e la libertà di scelta riguardo all’aborto e all’eutanasia. Non è per nulla un caso se il PVV, sostenitore di misure contro la criminalità come lavori forzati in tuta rosa o la gogna pubblica su internet per i criminali, si sia sempre opposto alla liberalizzazione delle armi da fuoco e alla pena di morte.

 

Geert Wilders e il populismo europeo

Alle elezioni europee del 2009 il PVV ottenne un 17% che gli valse quattro seggi nell’europarlamento. Wilders sin da subito dichiarò di non volersi associare all’eurogruppo Identità, Tradizione e Sovranità, segnando le distanze tra il proprio partito e la destra populista continentale. Impose addirittura ai suoi europarlamentari di cambiare i propri seggi, troppo vicini a quello del fondatore del Front National Jean Marie Le Pen, in modo da non comparire nelle foto vicino a lui.

Non stupisce che il liberale e antifascista Geert Wilders volesse sin da subito prendere le distanze da un antisemita e nostalgico della Francia di Vichy come Le Pen. Gli unici contatti presi dal PVV con i populisti furono quelli con l’UKIP britannico, guidato da Malcolm Pearson, e il Partito Popolare Danese, entrambi ostili dalla destra populista europarlamentare e fortemente islamofobi. Fu però sull’ostilità verso i musulmani che in seguito si consumò la scissione: dopo le critiche del successore di Pearson, Nigel Farage, riguardo alle tesi estremistiche sul Corano di Wilders, quest’ultimo decise infatti di troncare il sodalizio.

Alle elezioni legislative del giugno 2010 il PVV riuscì ad ottenere il 15,5% dei voti, confermandosi il terzo partito del paese. Nell’ottobre dello stesso anno il premier liberale Mark Rutte annunciò la formazione di un governo di minoranza, costituito dal VVD e dai cristiano-democratici con l’appoggio esterno di Wilders. L’accordo tra liberali e Wilders, che prevedeva l’attuazione di molti cavalli di battaglia del PVV, fu però largamente inatteso, causando proteste da parte di Wilders fino al ritiro del sostegno nell’aprile 2012 e la conseguente caduta del governo.

Il principale pomo della discordia tra liberali e PVV riguardava la sottomissione del governo olandese all’autorità di Bruxelles, tradottasi nel rifiuto di Wilders di firmare il bilancio per il 2013 che prevedeva numerosi tagli alle spese per soddisfare la richiesta dell’UE di non superare il rapporto tra deficit pubblico e PIL del 3%. La scelta di far cadere il governo si rivelò completamente sbagliata, facendo precipitare il PVV al 10% nelle elezioni del 2012 ed escludendolo dalle trattative per la formazione di un nuovo esecutivo.

Le Europee del 2014 segnarono per il PVV un leggero calo rispetto alle precedenti consultazioni, passando dal 16% al 13% ma mantenendo lo stesso numero di seggi. La vera novità fu l’alleanza, ufficializzata nel 2013 col Front National di Marine Le Pen, succeduta al padre nel 2012 alla guida del partito. La pasionaria frontista realizzò una svolta comune a molti partiti populisti europei, rimpiazzando l’antisemitismo e la memoria collaborazionista del padre con un nazionalismo bifronte, fondato su istanze care al mondo di destra (euroscetticismo, islamofobia) ma attento a tematiche sociali tradizionalmente di sinistra.

Un percorso simile fu intrapreso dal leader del Freiheitlichte Partei Osterreichs (Partito della Liberta Austriaco) Heinz-Christian Strache, salito nel 2017 al governo in coalizione con i conservatori. Rispetto al Fuhrerpartei[9] antisemita e revisionista del predecessore Jorg Haider, Strache cercò di modernizzare il partito, focalizzando l’attenzione sull’euroscetticismo e sui pericoli dell’immigrazione. La stessa soluzione, partendo però da diverse premesse, venne adottata da Matteo Salvini, leader dal 2013 della Lega Nord, che accantonò le istanze etnoregionaliste e federaliste del predecessore Umberto Bossi in favore di un discorso nazionalista e xenofobo.

Nonostante l’avanzata del populismo europeo nel continente, suggellata dalla costituzione nel 2015 del gruppo europarlamentare Europa delle Nazioni e delle Libertà, il PVV si è mantenuto sostanzialmente stabile nei consensi, guadagnando alle elezioni nazionali del 2017 solo il 3% in più rispetto alla precedente tornata. Tale dato potrebbe suggerire una coerenza ideologica del Partito della Libertà nel corso degli anni, capace di evolversi seguendo le tendenze europee senza però venir meno ai suoi principi fondativi. In tal senso il suo leader Geert Wilders incarna perfettamente l’ambiguità del populismo olandese, coerente col trend continentale e debitore della tradizione nazionale.


[1] Wilders racconta nella sua autobiografia: “Al Cairo commisi un grave errore, che mi portò ad un’importante rivelazione. […] Avevo comprato un bicchiere d’acqua da un rivenditore locale. Quell’acqua mi provocò una fortissima diarrea. Rientrato nell’ostello dove avevo preso un posto per terra per due dollari al giorno, rimasi lì per molti giorni, immerso nella miseria più totale in un’affollata e puzzolente stanza assieme ad altre dieci persone. Quella egiziana era stata un tempo la civiltà più avanzata sulla terra: perché non era riuscita a tenere il passo col progresso del mondo?”

[2] La direttiva dell’Unione Europea 2006/123/CE, presentata dalla Commissione Europea nel 2004 e approvata ed emanata nel 2006, prevedeva una serie di misure volta a rafforzare la libertà di circolazione dei servizi all’interno del mercato comunitario.

[3] Il concetto di “poldermodel” è strettamente connesso alla teoria del consenso elaborata da Arendt Lijphardt e spiegata successivamente. Si tratta in sintesi di una strategia del consenso basata su entità che, nonostante le divergenze ideologiche, collaborano al fine di conseguire risultati che soddisfino in misura più o meno totale gli interessi di tali soggetti.

[4] Secondo Lijphart, gli strumenti necessari per mantenere operativo questo sistema erano: 1) una politica pragmatica, basata sui risultati e non sulle ideologie; 2) ricerca continua di un compromesso con la minoranza; 3) diplomazia tra le élite 4) redistribuzione delle risorse tra i pilastri; 5) depoliticizzazione e neutralizzazione dell’antagonismo ideologico; 6) segretezza delle contrattazioni; 7) in cambio dell’accondiscendenza dell’opposizione, il governo si fa carico anche dei suoi interessi.

[5] Pim Fortuyn (1948-2002) è stato il leader politico dell’omonima lista presentata in occasione delle elezioni politiche del 2002. Il 6 maggio 2002, a nove giorni dalle elezioni politiche, Pim Fortuyn fu assassinato da Volkert van der Graaf, militante della causa animalista e ambientalista.

[6] Il periodo che va dall’uscita dal VVD (2004) alla fondazione del PVV (2006) vede Wilders impegnarsi attraverso il “Wilders Group”, fondazione politica antesignana del Partito della Libertà, che consisteva de facto di tre membri: Wilders, Martin Bosma e Bart Jan Spruyt, con cui il leader olandese scriverà a sei mani la Dichiarazione d’Indipendenza.

[8] “Il report annuale della Camera bassa mostra che tra 2007 e 2010 il PVV, con soli nove seggi, presentò al Parlamento 1313 interrogazioni, il 15,2% di 8702 interrogazioni complessive […] Tra 2007 e 2010 il PVV ha presentato 939 mozioni, il 13,3% del totale”. K. Vossen; The power of Populism: Geert Wilders and the Party for Freedom in the Netherlands; Routledge, 2017 (p.65)

[7] Sede del Parlamento olandese.

[9] Formazione politica caratterizzata da una rigida gerarchia interna, da una forte centralizzazione decisionale e dal culto del leader.


Bibliografia:

-K. Vossen; The power of Populism: Geert Wilders and the Party for Freedom in the Netherlands; Routledge, 2017

-R. Wodak, M. Khosravinik, B. Mral; Right Wing Populism in Europe: Politics and Discours; Bloomsbury, 2013

-G. Wilders; Marked by Death: Islams’s War against the West and Me; Regnery Publishing, 2012

-A. Lijphart, The Politics of Accommodation. Pluralism and Democracy in the Netherlands; Berkeley: University of California Press, 1968.

Filmografia:

-G. Wilders, Fitna, 2008


Crediti immagine: da Peter van der Sluijs [Creative Commons 3.0] attraverso Wikimedia Commons

Scritto da
Michelangelo Morelli

Laureato in Storia delle istituzioni politiche all’Università di Bologna, frequenta attualmente il corso magistrale in Scienze storiche presso il medesimo Ateneo ed è alunno della Scuola di Politiche.

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