Recensione a: Vittorio Emanuele Parsi, Vulnerabili: come la pandemia cambierà il mondo. Tre scenari per la politica internazionale, Edizioni Piemme, Milano 2020, pp. 80, ebook 2,99 euro (scheda libro – versione cartacea aggiornata)
Scritto da Alberto Prina Cerai
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La crisi sanitaria ed economica innescata dalla pandemia è destinata a fare la storia. Molto più difficile rimane capire quale direzione quest’ultima abbia preso o prenderà nei prossimi mesi, se non anni. Tante sono state le riflessioni proposte a riguardo, poche quelle su cui realmente si potrà fare affidamento per cercare di affrontare gli scenari futuri, prima di tutto sociali ed economici. Perché molto si è discusso sui probabili riassestamenti geopolitici globali, forse troppo poco su quelli che riguardano in primis la tenuta delle nostre società. Ne sono testimonianza l’insofferenza e il malessere diffuso, come testimoniano le recenti vicende negli Stati Uniti: seppur l’origine delle proteste sia da ricondurre ad uno dei cleavage storici dell’America (la cosiddetta “linea del colore”), c’è da aspettarsi che tale scintilla possa innescare un focolaio di tensioni molto eterogenee, dalle radici più profonde. La classica goccia che fa traboccare il vaso. Dovremmo pertanto diffidare, noi europei, italiani, che tale esplosione di rabbia possa essere soltanto una questione americana. Perché Quel fuoco che brucia l’America è una fiamma che rischia di accendersi anche altrove, laddove persistano elementi di forte conflitto sociale esasperati dall’attuale contesto.
Due sono le verità disvelate in questi mesi: l’incontrovertibile fragilità dell’uomo, come organismo biologico, di fronte alla complessità dell’antropocene, e il fallimento del sistema concepito per governare le relazioni umane. Ed è qui che l’ultimo saggio di Vittorio Emanuele Parsi coglie nel segno riconciliando questi due aspetti apparentemente separati. L’incipit è lapidario: «La crisi del Covid-19 ha fatto emergere tutta la fragilità del nostro sistema globale, estremamente interconnesso ma privo di regole efficaci per proteggersi dagli shock». L’autore di Titanic. Il naufragio dell’ordine liberale, riconosciuto politologo ed accademico dell’Università Cattolica di Milano, propone una riflessione a partire proprio dalle possibili conseguenze, sul piano interno ed internazionale, della pandemia. Le quali potrebbero imprimere una decisiva svolta per «rilanciare», o meno, «la democrazia contro gli eccessi della finanza e il rischio di un nuovo autoritarismo».
Da dove ripartire? Quali lezioni trarre dall’emergenza coronavirus? Innanzitutto, trasformare il nostro punto debole – la fragilità umana – in consapevolezza, affinché «sia l’elemento intorno a cui ripensare e ricostruire l’interdipendenza». Perché tra tutti i fattori che possano influenzare l’equazione dell’esistenza, il fattore umano rappresenta quello immutabile, la variabile indipendente per usare il lessico statistico, a prescindere dal progresso scientifico ed economico che innalza il nostro livello di resilienza percepita. Ma che inevitabilmente abbassa il nostro grado di prontezza. Perché se il sistema, nel suo complesso, migliora, non è detto che ciò accada anche per tutte le sue componenti. Pertanto, «un sistema è sicuro solo quando la sua componente più vulnerabile è sicura». Gli effetti della globalizzazione in parte ci hanno detto ciò. Miliardi di persone uscivano dalla povertà in quelle che un tempo erano le “periferie” dell’economia, mentre tassi di disuguaglianza crescente si approfondivano nelle democrazie occidentali. Lo sviluppo economico, scientifico e tecnologico migliorava il nostro standard di vita mentre scaricava le sue “esternalità negative” negli ecosistemi circostanti. Il tutto mentre il caso continuava ad essere un altro elemento della condizione umana: perché una “lotteria” (“dove nasci e come nasci”) continua ad essere «il fattore più rilevante per spiegare le gigantesche differenze di reddito e di patrimonio tra l’1% dei più ricchi e il restante 99% delle società evolute». Ed è per questo che Parsi insiste sulla necessità di ripensare l’interdipendenza «mettendo al centro l’essere umano e la sua protezione», perché solo partendo dagli elementi più deboli si può pensare di ricostruire un sistema più forte e giusto. Un compito e una responsabilità che deve tornare ad essere appannaggio della politica, «l’arte di costruire quel poco di prevedibilità nelle cose ci consenta di ridurre l’incertezza e l’insicurezza quanto basta per poter guardare al futuro senza esserne atterriti». In realtà, come rileva Parsi, lo scenario è piuttosto desolante: dove sta questa leadership illuminata? Esistono figure di tale spessore, morale prima ancora che politico? La reazione alla crisi sanitaria delle potenze globali e delle rispettive classi dirigenti ha dimostrato che, nonostante l’approfondirsi dell’interdipendenza a livello strutturale, non sia corrisposta una volontà a rispondervi con lo stesso grado di istituzionalizzazione auspicata. In breve, quando le cose vanno male ognuno per sé. Al ritorno della normalità, se mai sarà quella di prima, business as usual. O quasi.
Dunque, come sarà il mondo post-covid? Sono tre i possibili scenari che Parsi immagina, due dalle tinte fosche, l’ultimo più luminoso. Molto dipenderà dal comportamento degli attori internazionali rispetto alle priorità domestiche. Nella prima ipotesi, denominata della «Restaurazione», non si prevedono radicali stravolgimenti, soprattutto nelle relazioni internazionali. Il contesto globale continuerà ad essere scandito dall’alternarsi di «competizione» e «collaborazione» tra USA e Cina, dal crescere del soft power di quest’ultima ai danni di Washington come onda lunga della crisi del 2008, il tutto con una recessione economica che ne vedrà ridurre – ma non alterare – lo spazio di manovra sullo scacchiere mondiale. Il rischio concreto in questo scenario è più legato alle conseguenze del covid-19 sulle linee di faglia delle società: disuguaglianze, crisi della democrazia, ascesa degli autoritarismi. Il pericolo che «l’interdipendenza delle cose» – una formula molto significativa – possa continuare ad ampliare il solco tra capitale e lavoro, tra mercato e democrazia, tra tecnica e politica. Insomma, la possibilità che dalla crisi ne tragga giovamento l’ordine costituito con l’indebolirsi delle voci di riforma alternative.
Il secondo scenario appare come il meno ortodosso. Più in linea con alcune delle riflessioni promosse nel dibattito pubblico fin qui registrato. Prevale l’idea di un progressivo ridimensionamento della globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta. Nelle catene del valore, che tenderanno ad accorciarsi per rispondere alle esigenze dei singoli paesi, sia a livello produttivo sia per quanto riguarda il mercato globale del lavoro. Con il risvolto, dunque, che la paura di esporsi prevarrà e che la conseguenza politica di questa percezione del rischio (economico) possa essere «una maggiore probabilità di involuzione autoritaria dei regimi democratici». Naturalmente questo associato ad una maggiore domanda di sicurezza (sanitaria) a scapito delle libertà individuali. Il tutto mentre a livello internazionale, «la fine dell’Impero romano d’Occidente» possa concretizzarsi con il passaggio definitivo ad una realtà globale multipolare, in cui la stessa tenuta dell’Unione Europea potrebbe essere a forte rischio. Di fronte alle incertezze poste da «una Cernobyl dell’economia», sarebbe assai probabile assistere ad un rafforzamento delle sovranità nazionale a scapito della globalizzazione.
Infine, nell’ultimo scenario viene auspicato un nuovo «Rinascimento». Ma per sapere dove si vuole andare bisogna prima capire da dove si è partiti. In sintesi, di come dagli anni Settanta e Ottanta siamo arrivati al sistema globale odierno, rivoluzionato dalla mobilità del lavoro – il cui «valore» è stato dettato dalle dinamiche dell’iper-globalizzazione. Parsi riconosce come l’eccessiva «finanziarizzazione» abbia, di fatto, tradito le promesse dell’ordine internazionale e così «asservito l’economia reale». Per stare dietro al capitale, il lavoro ha dovuto navigare in acque fluide, mobili, perdendo di vista l’unico porto sicuro e riflesso della «stanzialità degli esseri umani», ovvero i diritti. Un esito, peraltro, in parte avallato da precise scelte politiche che hanno contribuito a forgiare «l’interdipendenza delle cose» che oggi sembra essere l’unico nostro orizzonte. Dimenticando che sovranità e mercato hanno per lungo tempo convissuto e badato, in sinergia, agli eccessi reciproci. Oggi, sembrano delinearsi due forme di capitalismo (quello di mercato e quello di Stato) impersonificate dall’aquila americana e dal dragone cinese. La speranza giace nella possibilità di costruire e proporre una “terza via” a partire da un «riequilibrio tra politica ed economia, tra democrazia e mercato, tra libertà e solidarietà», sfruttando le opportunità che la crisi sanitaria offre nel riconoscere la centralità del fattore umano in ogni aspetto della vita collettiva.
È questo il bel messaggio del saggio di Parsi, il coltivare «la speranza che le ragioni della comune umanità e della solidarietà poss[a]no prevalere». Perché se l’interdipendenza è la struttura delle nostre società, il dato crescente nella storia dell’umanità, allora la dimensione umana è tale nella misura in cui l’interdipendenza crea, fortifica o distrugge la socialità. Perché interconnessione è progresso e conflitto. Sta alla politica, artificio umano, creare e dettare le condizioni per governare l’intrinseca debolezza della nostra esistenza. Non a vantaggio del privilegio, dei pochi, ma per il benessere dei vulnerabili, dei molti.
A marzo 2021, Piemme ha pubblicato un’edizione cartacea aggiornata e ampliata dal titolo Vulnerabili: come la pandemia sta cambiando la politica e il mondo. La speranza oltre il rancore che sviluppa e approfondisce gli scenari qui delineati da Parsi.