Il Piano Juncker fra giochi di prestigio e realismo
- 03 Dicembre 2014

Il Piano Juncker fra giochi di prestigio e realismo

Scritto da Nicolò Carboni

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La via del successo consiste in una vera titolarità dei leader e delle istituzioni europee. Il nostro nuovo programma richiede una risposta coordinata a livello europeo, anche con le parti sociali e la società civile. Se agiremo insieme potremo reagire e uscire più forti dalla crisi. Abbiamo i nuovi strumenti e una rinnovata ambizione. Ora dobbiamo trasformare i nostri obiettivi in realtà.

Dove abbiamo già sentito queste parole? La scorsa settimana quando Jean Claude Juncker, neopresidente della Commissione Europea, ha presentato il suo piano da 300 miliardi di euro per rilanciare l’economia? No, risalgono al 2010 quando l’allora Presidente Barroso lanciò Europa 2020: il suo piano per rilanciare l’economia. Tornando indietro, come in una sorta di allucinata “Inception comunitaria”, troviamo La Strategia di Lisbona, proposta nel 2000 e definita un “fallimento totale” dal Primo Ministro Svedese, all’epoca Presidente di turno del Consiglio Europeo.

Tuttavia le colpe dei padri non ricadono sui figli e Juncker, dopo aver presentato una Commissione Europea buona ma non eccezionale (Timmermans e Mogherini sono eccellenze, ma la sottomissione di Moscovici all’egidia di Katainen è un messaggio molto chiaro) e pressato dai gruppi populisti a causa dello scandalo LuxLeaks, ha finalmente svelato il suo misterioso progetto per evitare la recessione e, sperabilmente, per permettere all’Europa di agganciare la ripresa americana. Dopo aver promesso per mesi l’arrivo di 300 miliardi in investimenti e progetti, Juncker si è presentato davanti al Parlamento Europeo con una proposta in bilico fra audacia e gioco d’azzardo. La Commissione creerà nei prossimi mesi un nuovo Fondo d’Investimento cui, fin da subito, verrà attribuito un capitale di 21 miliardi; prima di entrare nel dettaglio di come questi soldi verranno effettivamente raccolti, è bene segnalare che nella sua comunicazione, la Commissione Europea propone che:

The legal proposal necessary for the European Fund for Strategic Investments should be dealt with in fast-track procedure by the European Parliament and the Council, as the EU legislator, to be in force by June 2015.

Sostanzialmente, Juncker chiede a Parlamento e Consiglio di firmare una sorta di delega in bianco, peraltro facendo riferimento a una “procedura veloce” poco chiara, non prevista da nessun Trattato nonché irrispettosa del ruolo colegislativo che, almeno in teoria, l’assemblea di Strasburgo dovrebbe possedere. Il rischio di un pasticcio normativo è evidente, un po’ come quando l’impianto legislativo del Fiscal Compact (contro cui, in colpevole ritardo, si scagliano oggi buona parte delle cancellerie europee) fu totalmente sottratto al vaglio parlamentare, mettendo in piedi un meccanismo esterno alla legislazione comunitaria e, per questo motivo, pressoché impossibile da controllare in maniera trasparenze e democratica.

Anche immaginando che questa “fast-track” vada alla perfezione, in ogni caso, rimangono una serie di nodi irrisolti: chi gestirà effettivamente questo fondo? Sarà costruito sul modello dei Fondi Sovrani con cui operano, per esempio, i paesi produttori di petrolio o la Cina? Sarà sottoposto all’autorità del Parlamento Europeo? Al momento non è dato sapere nulla ma ci permettiamo di ricordare sommessamente che, almeno in linea teorica, Parlamento e Consiglio dovrebbero controllare i bilanci di tutte le istituzioni e agenzie UE. In ogni caso, per arrivare a un’approvazione a giugno 2015 l’iter legislativo dovrebbe essere avviato – al più tardi – entro gennaio dunque, almeno su questo punto, dovremmo saperne quacosa di più a brevissimo.

Passando al contenuto, ai soldi veri e propri, Juncker aveva promesso il coinvolgimento della BEI, la Banca Europea per gli Investimenti, sostegno che è effettivamente arrivato, con 5 miliardi già stanziati. Oltre a questi la Commissione Europea ha racimolato 2 miliardi recuperati dalle varie linee di bilancio della UE grazie a interessi maturati, ricalcolo di alcune spese e risparmi di varia natura. Non è questa la sede per entrare nell’argomento, tuttavia va segnalato che Parlamento e Consiglio non hanno approvato il Bilancio UE 2015, arrivando a uno stallo che ha costretto la Commissione a presentare un nuovo bilancio venerdì scorso. I negoziati riprenderanno nei prossimi giorni tuttavia ci appare molto difficile che il Parlamento Europeo possa accettare altri due miliardi di tagli su un Bilancio già falcidiato dalle esose richeiste di David Cameron ma, anche qui, staremo a vedere.

Tornando a Juncker, nel documento si legge che la Commissione porrà come garanzia altri 14 miliardi, formalmente già impegnati su altri progetti ma mobilizzabili in caso di necessità. Sommando le tre voci si arriva a 21 miliardi e, a questo punto, possono entrare in gioco gli Stati Membri, versando, se lo riterranno opportuno, risorse aggiuntive. Ogni contribuzione al Fondo sarà, come si dice in gergo, neutralizzata rispetto ai calcoli sul deficit. In pratica non conterà nel computo del fatidico 3%, la mitologica soglia tanto amata da Wolfgang Schauble. Juncker si è detto ottimista, ritenendo di poter arrivare a un capitale iniziale di circa 30 miliardi, convincendo i paesi in surplus (in particolare la Germania) a investire. Insomma, abbiamo finalmente superato le Colonne d’Ercole dell’Austerità? Si e no. Juncker sa come muoversi fra i delicatissimi equilibri che dominano la politica comunitaria: se da un lato sembra finalmente aprire alla tanto agognata flessibilità, dall’altro avoca alla Commissione Europea ogni decisione sulla spesa del denaro che sarà stanziato. Questo dovrebbe tranquillizzare i “falchi” dei paesi nordici: lo scorporo non aprirà le porte alla spesa pubblica selvaggia ma, anzi, legherà ancora di più le decisioni di spesa interna ai trasferimenti europei. Inoltre, come si può facilmente intuire, saranno i Paesi con i bilanci più sani a poter contribuire con facilità al Fondo d’Investimento, ottenendo così il bizzarro effetto di concedere margini maggiori a chi, almeno dal punto di vista contabile, non ne ha bisogno.

La seconda discrasia riguarda invece il ruolo della BEI: storicamente la banca lussemburghese non garantisce crediti a progetti che non sarebbero finanziati da capitali privati. Per finanziarsi sui mercati con tassi accettabili, infatti, la BEI è costretta a mantenere la tripla A e, per farlo, non può avere in pancia troppo capitale di rischio. Anche qui si potrebbe riflettere molto sull’utilità di una banca pubblica che, però, opera come un ente finanziario privato, ma divagheremmo troppo. Tornando al nodo centrale, stante la situazione ci pare chiaro che i 5 miliardi forniti dalla BEI dovranno essere in qualche modo garantiti. Da chi? Come? A quali condizioni? Per ora non è dato sapere neppure questo.

Dando per buone tutte le rassicurazioni arrivate da Juncker, possiamo immaginare, dunque, che a giugno 2015, l’Unione Europea avrà a disposizione un Fondo d’Investimento con 30 miliardi disponibili, tuttavia siamo sempre a uno zero in meno rispetto a quanto promesso. Come si passa da 30 a 300 miliardi? Qui inizia la parte veramente “tricky” del ragionamento: Juncker sostiene che la Commissione sarà in grado di selezionare progetti su cui investire talmente interessanti, redditivi ed efficienti da garantire un moltiplicatore pari a 15 volte l’investimento iniziale. Questa gigantesca leva finanziaria sarà garantita dai privati che, attirati dalle possibilità di guadagno, decideranno di partecipare al finanziamento dei vari progetti, dando così il via a un circolo virtuoso capace di rilanciare occupazione, imprenditoria e consumi. Qualcuno l’ha già soprannominata la “leva dei pani e dei pesci”, dato che – come segnala Tito Boeri – “Non ci risulta che fondi di investimento pubblico siano mai riusciti ad attivare una leva finanziaria superiore a 3 a 1, anche ai tempi della finanza allegra”. Juncker e Wener Hoyer, Presidente della BEI, sembrano però ostentare un ottimismo quasi controfattuale, affermando addirittura che il x15 sia una stima cauta e che si potrebbe addirittura arrivare a un x18.

Detto con molta franchezza: si fatica a seguire il senso del ragionamento. Se investire su progetti come infrastrutture ferroviarie, connettività energetica, telecomunicazioni o riqualificazione professionale fosse così remunerativo, anche immaginando rendimenti ben più bassi, nell’ordine della metà di quelli immaginati da Juncker, ci sarebbe la fila di imprese pronte a realizzare progetti del genere. La realtà, purtroppo, appare diversa.

Nel complesso il Piano Juncker sembra avere un solo, vero, lato positivo: può fungere da Cavallo di Troia per espandere la discussione sul superamento della logica del 3%, ragionando su nuovi parametri che possano dare fiato alle asfittiche economie dei paesi mediterranei. Sta ai leader della sinistra non farsi sfuggire l’occasione e sfruttare al massimo la piccolissima breccia che si è creata nell’ortodossia rigorista. Per il resto la sensazione è quella di aver scoperto il trucco prima ancora dell’inizio del gioco di prestigio.

 

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Scritto da
Nicolò Carboni

Ha lavorato al Parlamento europeo dal 2009 al 2019, occupandosi principalmente di bilancio e finanze pubbliche. Nel corso della legislatura 2009/2014 ha lavorato per l’ufficio di presidenza della delegazione del Partito democratico al Parlamento europeo seguendo il coordinamento dei lavori d’Aula e la comunicazione politica. Attualmente è caposegreteria del Ministro per il Sud e la Coesione territoriale. Gli articoli per Pandora Rivista sono scritti a titolo personale e non impegnano l’istituzione di appartenenza.

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