Podemos: nascita e sviluppo di un nuovo partito – prima parte
- 11 Febbraio 2015

Podemos: nascita e sviluppo di un nuovo partito – prima parte

Scritto da Enrico Comini

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“Podemos” è un nuovo partito politico spagnolo, nato il 17 gennaio 2014 in vista delle elezioni Europee del Maggio 2014.

Il percorso politico che ha portato alla nascita di Podemos si era strutturato nel corso dei tre anni precedenti. Il 15 Maggio 2011 gruppi di cittadini “indignati”, appartenenti a diverse associazioni apartitiche, si sono dati appuntamento, grazie alla piattaforma web “Democrazia reale, ora”, alla Puerta del Sol di Madrid per protestare contro le politiche del Governo Zapatero. Le riforme in questione erano imposte dalle istituzioni europee ed erano volte a tagliare in maniera consistente la spesa pubblica.

Nel 2011 la Spagna versava in una crisi economica e sociale senza precedenti. L’incipit è stata la crisi dell’edilizia. La bolla immobiliare spagnola è un tipo di bolla speculativa: una fase del mercato in cui i prezzi aumentano di molto in un breve arco di tempo a causa della crescita della domanda. Banche, imprese e famiglie spagnole hanno investito in un settore che credevano in grado di portare guadagni a costi accessibili. Questa domanda di nuove case o seconde case ha fatto aumentare i loro prezzi, rallentando la domanda. I fattori in gioco in questo rallentamento sono stati: la difficoltà a trovare nuovi investitori disposti ad acquistare ad un prezzo che nel frattempo è cresciuto, la vendita di chi ha già acquistato con lo scopo di monetizzare il guadagno che nel frattempo è maturato e la situazione economica che peggiora, nell’ambito della crisi globale,  facendo svanire le prospettive di guadagno che si erano ipotizzate. Da un eccesso di domanda nel comprare case si è passati a un eccesso di vendite dettato da un ribasso del loro valore, che era cresciuto straordinariamente sollecitato dalle politiche dei governi susseguitisi negli anni e dalle banche spagnole. Il governo spagnolo, guidato dal primo ministro José María Aznar (PP), incentivò questa tendenza, stimolando la domanda, con l’introduzione di deduzioni e agevolazioni fiscali sull’acquisto della prima casa.

L’effetto della crisi edilizia ha portato nel giro di un anno a un aumento notevole della disoccupazione. Nel 2012 si stimavano un milione di case invendute sul mercato immobiliare e gli occupati nel settore dell’edilizia sono passati da 2,5 milioni nel 2006 a 1 milione nel 2012

Il modello economico che aveva condotto la Spagna a un benessere in linea con gli standard europei era fondato sull’edilizia e sui consumi. Uno dei pilastri del benessere iberico è venuto meno, ha cessato di costituire il motore vitale dell’economia.

Il settore industriale spagnolo non è mai stato all’avanguardia e non è tecnologicamente avanzato. Scarsi investimenti industriali non hanno consentito all’economica iberica di competere con le economie più avanzate del mondo. Tale debolezza strutturale ha aggravato gli effetti della crisi economica mondiale in Spagna.

Ad oggi, però, dopo anni di declino, l’economica spagnola sembrerebbe in ascesa. Il PIL ha conosciuto nel 2014 un +1,2% e la disoccupazione, pur estremamente alta, sembrerebbe ridursi. Recentemente il Fondo Monetario Internazionale si è complimentato con il Premier Rajoy per le misure adottate per rilanciare l’economica iberica. E’ la “Troika” stessa, composta da BCE, UE, e FMI, che in questi anni ha svolto un ruolo di “severo controllore” della politica economica spagnola.

In questi mesi, alla luce dei dati forniti, la maggior parte dei quotidiani europei ha entusiasticamente dato notizia della ripresa spagnola, primo paese che si è riscattato dalla crisi e non poteva che costituire un esempio per gli altri Stati ancora in difficoltà, Italia compresa. La realtà però è diversa.

Rajoy, appoggiato dalla Troika, ha adottato misure liberiste di taglio dei salari, dei diritti dei lavoratori, per dare un livello maggiore di competitività alle imprese spagnole. Le misure di taglio alla spesa pubblica, e quindi allo Stato Sociale, hanno portato a un calo consistente della qualità della vita della maggior parte degli spagnoli.

Inoltre il dato della disoccupazione, ancora vicino a un notevole 25%, si ritiene sia stato parzialmente truccato “in positivo” dall’esecutivo Rajoy, come sostiene il Prof. Roberto Centeno, docente di Economia presso l’università Complutense di Madrid.

Il prof. Centeno sostiene che “il metodo di calcolo conteggia un nuovo posto di lavoro anche quando se ne perde uno di 40 ore e se ne creano due di 10 ore. Allora il governo sostiene che la situazione è migliorata, quando è esattamente l’opposto”.

Ad aggravare il contesto sociale spagnolo sono le sempre crescenti disparità sociali, che vedono una ristretta élite imprenditoriale e l’alta burocrazia legata al “potere” accrescere le proprie ricchezze a scapito della gran massa della popolazione.

E’ in tale contesto che le proteste di piazza contro l’austerity organizzate dal Movimiento 15-M, legatosi al movimento Occupy Wall Street, si sono focalizzate sull’idea di Giustizia Sociale. Lo slogan del 99% vs l’1% è emblematico.

Gli Indignados, oltre a lottare affinchè non fosse smantellato il Welfare State, si scagliavano contro la “Casta”, cioè i politici del PSOE e del PP. L’invettiva contro il “regime”, senza fare distinzioni di parte, si fondava sulla consapevolezza che non ci fossero più differenze tra Destra (PP) e Sinistra (PSOE).

Negli anni del Boom e della speculazione edilizia lo stato ha dilatato la spesa pubblica in maniera abnorme e, spesso, sono state realizzate opere pubbliche faraoniche inutili per la collettività, ma utili per gli interessi del politico di turno e delle sue clientele. Molte opere pubbliche sono costate ai contribuenti spagnoli cifre spropositate ed è sensazione comune ritenere responsabili dello sperpero di denaro pubblico entrambi i partiti della “Casta”, senza differenze rilevanti. A riguardo, un esempio illuminante è citato nel libro “Podemos. La sinistra spagnola oltre la sinistra”, in cui si sostiene che un sottopassaggio di un’autostrada iberica sia costato la stessa cifra della ristrutturazione del Canale di Panama.

Gli effetti dei tagli alla spesa pubblica sono stati i seguenti: tagli agli stipendi degli “statali” (ridotti tre volte in due anni) e abolizione della tredicesima, aumento dell’ IVA di tre punti percentuali, aumento del costo della bolletta della luce con un aumento medio annuale di circa 500 euro a famiglia, abolizione della legge che garantiva la sanità pubblica agli anziani, tasse universitarie aumentate di oltre il 50%, taglio di 12 miliardi di trasferimenti statali alle Autonomie (regioni), tagli all’istruzione, tagli agli assegni sociali, anche per i disabili…

L’ esternalizzazione di molti servizi pubblici, cioè la loro privatizzazione, come la sanità (oggi il 55% della sanità spagnola è in mano a privati), è stata operata con la duplice finalità di risparmiare denaro pubblico tagliando così la spesa pubblica e di soddisfare i dettami dell’ideologia neoliberista, che per l’establishment politico ed economico sembra costituire un dogma senza concrete alternative. Il mito del libero mercato che impone lo smantellamento dello stato sociale produce, in realtà, risparmi-beffa che ricordano l’italianissimo vizio di “privatizzare i profitti e nazionalizzare le perdite”. In Spagna il 96% dei costi delle strutture sanitarie privatizzate è infatti sostenuto ancora oggi dallo Stato.

Un primo effetto tangibile della crisi e della conseguente “macelleria sociale” è stata l’emigrazione di massa degli under 40/45 (fenomeno cresciuto negli anni della crisi del 44%).

Non tutti però sono stati colpiti dalle misure di austerità. Le banche, dopo un salvataggio a carico della collettività di oltre 62 miliardi di euro, hanno visto crescere i loro guadagni in media di oltre il 100%.

A rendere ingiuste le politiche di austerità c’è anche, come già accennato, il fattore corruzione. Essa ha costituito un solco, difficilmente superabile nel breve periodo, tra gran parte del “pueblo” (gli elettori) e i rappresentanti dei due partiti che prima hanno condotto la Spagna alla crisi economica e poi si sono sottomessi alla Troika attuando le sue politiche.

La manifestazioni di massa del M-15 del 2011 sono state inedite per una serie di fattori. Innanzitutto sono state manifestazioni “oceaniche” in quanto hanno avuto un gran sostegno popolare (oltre l’80% degli spagnoli appoggiava le cause della protesta): hanno raccolto in piazza persone delle più disparate condizioni sociali ed economiche. IL 15M è stato un movimento volutamente interclassista, senza una cultura politica omogenea, ma con una straordinaria capacità di aggregazione. Sono stati soprattutto i giovani, per lo più laureati precari o disoccupati, che sono scesi in piazza per primi. L’utilizzo sapiente e massiccio dei social media ha costituito un’ eco, trasmettendo i chiari messaggi delle proteste anche a quei numerosi coetanei (e non) che non si erano mai interessati di politica. Il 15M ha avuto il merito di coinvolgere la “maggioranza silenziosa” spagnola.

Il 2011 è anche l’anno di Occupy Wall Street, movimento sociale ispiratosi, come il 15M, al pamphlet “Indignatevi” di Stephane Hessel, in cui si sono messe in luce le crescenti disparità sociali imputando della responsabilità del drastico taglio al Welfare State, con i conseguenti costi sociali, l’establishment economico e finanziario neo-liberista responsabile della crisi . Gli Usa, infatti, dai primi anni 80, con l’Amministrazione Reagan, hanno imboccato la strada del neoliberismo e del taglio di tasse ai ceti più ricchi in nome della libertà economica e dello stato minimo. Tale visione ideologica, che si pone in antitesi alle politiche sociali del New Deal di Roosvelt, si è diffusa prepotentemente pressoché in tutto il mondo. La conseguenza è stata ed è tutt’oggi un’ingiustizia sociale sempre più marcata. E’ proprio di questi giorni il dato Oxfam che sostiene che nel 2016 l’1% della popolazione mondiale avrà una ricchezza (patrimonio pro-capite medio di 2,7 milioni di dollari) pari a quella del restante 99%. Solo nel 2009 tale cifra era pari al 44%.

E’ curioso constatare come le stesse problematiche sociali siano molto comuni tra diversi paesi.

Roberto Toscano, scrittore e diplomatico italiano, analizzando il 15M, ha colto gli elementi di differenza con i moti del 1968 nell’Europa Occidentale: “Se i giovani sessantottini erano mossi dal rifiuto di una società borghese, consumista, produttivista, austera, di cui denunciavano lo sfruttamento degli individui e la negazione del loro diritto alla felicità, oggi il problema è piuttosto l’esclusione: dal lavoro, dal consumo, dalla casa, e persino dalla possibilità di farsi una famiglia, un’istituzione che nel ’68 veniva spesso rifiutata come borghese e repressiva …. Allora i figli disprezzavano il benessere conquistato dai padri; oggi si rendono conto del fatto che quei livelli per loro non sono più raggiungibili”.

Tra i più impegnati nel movimento degli Indignados 15M è maturata l’idea di trasformare l’indignazione in un partito politico nuovo. Le dicotomie alto vs basso, oligarchia vs democrazia e casta vs cittadinanza sono gli elementi di forza del nuovo partito.

Podemos, che nasce con l’idea di portare avanti una “nuova politica”, né di destra né di sinistra, in realtà sembra portare avanti per molti aspetti istanze socialdemocratiche e non certo rivoluzionarie o neo-comuniste. Esattamente come Syriza di Alexis Tsipras. Dalla nascita di Podemos è emerso ben presto un giovane leader, Pablo Iglesias. Definito “El coleta” per il suo codino, Iglesias è un trentaseienne professore alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università Complutense di Madrid. Formatosi politicamente nella gioventù comunista, Iglesias è stato il vero promotore di Podemos aggregando nel progetto di un partito post-ideologico militanti e formazioni dell’estrema sinistra. In Podemos si ritovano formazioni giovanili antagoniste promotrici del 15M come “ContraPoder” e “Juventud Sin Futuro”, una formazione trozkista “Izquierda Anticapitalista” e molti dirigenti e militanti di Podemos provengono dalle “giovanili” di “Izquierda Unida” (sinistra unita) e del partito comunista.

Pablo Iglesias è già da anni un volto noto in Spagna per la sua trasmissione online che tiene dal 2010 e per la sua costante presenza nei talk show spagnoli. Il suo carisma e la “parlantina sciolta” lo hanno portato ad essere il leader naturale di Podemos. Tale nuovo soggetto politico si è caratterizzato per un’innovazione nei rapporti con la base e i simpatizzanti: il programma di Podemos per le Europee è stato discusso online con possibilità di emendamento dello stesso sia a livello individuale che a livello collettivo, cioè di circolo, e, infine, è stato posto a un referendum sulla rete che lo ha approvato in via definitiva.

Le idee del programma di Podemos sono ambiziose e, alcune di esse, appaiono difficilmente realizzabili nel breve-medio termine per i vincoli europei e la notevole incidenza sulla spesa pubblica che esse provocherebbero. A livello ideale il programma di Podemos dice chiaramente che si tratta di un partito “né di destra né di sinistra”, anche se l’antiliberismo, l’antifascismo (e non l’anticomunismo) sono elementi caratterizzanti del partito. Si legge pure della necessità di “conquistare la libertà, l’eguaglianza e la sovranità”.

Podemos, dopo la sua nascita nel gennaio 2014 in vista delle Elezioni Europee del maggio, ha conseguito un risultato clamoroso per un partito appena nato e senza fondi né sedi, ottenendo l’8%. Dopo tale successo, che ha fatto di Podemos il vero partito vincente delle elezioni europee in Spagna, in un contesto di crisi del classico bipartitismo spagnolo e di disaffezione verso la politica si è aperta una fase in cui tutti i sondaggi spagnoli hanno registrato una crescita notevole di Podemos, attestandosi secondo El Pais al 28,2%, costituendo la prima forza politica spagnola davanti ai socialisti (23,5%) e ai popolari (19,2%).

Podemos promette una riforma fiscale, 35 ore lavorative, abbassamento dell’età pensionabile a 60 anni, incentivi alle Pmi, abrogazione delle riforme che hanno precarizzato il mercato del lavoro, reddito di cittadinanza, Tobin tax, tassazione dei grandi capitali, eliminazione dei paradisi fiscali nell’Ue, nazionalizzazione dei settori strategici dell’economia spagnola, referendum sulla monarchia, diritto a casa, cultura, mobilità sostenibile, sanità pubblica, formazione… Ma quanto “Podemos” davvero? Il tempo, e un’eventuale vittoria alle elezioni politiche, ci consentiranno di rispondere al quesito. La situazione economica e sociale non sembra distanziarsi di molto da quella greca. Di certo, dopo la vittoria di Syriza in Grecia, non è irrealistico pensare a una futura alleanza dei paesi sud-europei che si trovano penalizzati dalle politiche di austerità. Un coro di voci sempre più insistenti, volte a un cambio di passo delle politiche europee, potrebbe portare la Germania e le istituzioni europee a scendere a patti con i “Pigs” creando un’UE più solidale. Diamo tempo al tempo.

(continua qui: Podemos: nascita e sviluppo di un nuovo partito – seconda parte)


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Scritto da
Enrico Comini

Classe 1993. Studente di Scienze Politiche presso l'Università di Bologna. Si interessa di Storia Contemporanea e politica.

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