Tecnica e politica. Alcune riflessioni
- 25 Maggio 2015

Tecnica e politica. Alcune riflessioni

Scritto da Gian Paolo Faella

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Rapporto tra politica ed economia politica

Vi è poi il secondo dei problemi cui abbiamo accennato in esergo, vale a dire quello del rapporto tra politica ed economia politica. L’economia politica non è affatto una questione tecnica, ma è un’interpretazione tecnicistica e scientificamente fondata dello spazio politico. Ora, però, va anche detto che l’economia politica è fondamentalmente un principio di organizzazione di quelle conversazioni orali che hanno un oggetto di natura politica. Un principio logico-scientifico che ha caratteristiche argomentative peculiari, tra le quali l’opzione fortemente anti-retorica in favore di una tecnicizzazione del proprio linguaggio. Tuttavia l’economia politica non coincide affatto con l’economia come scienza, o con quella che gli inglesi chiamano Economics. Quello che in economia politica è definito come tecnico – la capacità argomentativa in base all’uso tecnicistico del linguaggio sociale – è definito come non-tecnico nell’Economics, e quello che è definito come tecnico nell’Economics – la matematica pura – è definito come non-tecnico (cioè economicamente irrilevante) dai sostenitori della Political Economy.

Si ha pertanto, nel dialogo tra la politica e la tecnica, la riproposizione in altre forme del dibattito scientifico tra sostenitori dell’Economics e sostenitori della Political Economy.

Il problema del rapporto tra politica ed economia politica, allora, si pone come il problema del giusto rapporto che debba intrattenersi tra il dibattito politico e il dibattito scientifico sulle conseguenze ideologiche della svolta neo-liberista nell’ambito del pensiero economico. Tale problema, ancora una volta, è un problema che attiene in ultima analisi soprattutto alla struttura interna dei partiti, e in particolare alla formazione politica. In un partito di sinistra, tendenzialmente, l’educazione alla Political Economy dovrebbe essere un elemento portante della formazione politica della classe dirigente.

Che cosa hanno da dire, provvisoriamente, queste due questioni sulla questione della tecnocrazia?

  1. Che in un’epoca di discredito della politica, la politica intesa come professionismo diviene quasi naturalmente sotto attacco. Ma secondo un’analisi rigorosa del concetto dell’agire politico, non esiste un agire politico professionistico in quanto distinto da un agire politico non-professionistico, ma soltanto diversi principi di organizzazione astratti che convergono nella struttura dei partiti realmente esistenti. Ma, secondo quest’analisi, è la struttura dei partiti realmente esistenti che dovrebbe determinare gli assetti istituzionali, e non viceversa. In particolare, l’istituzionalizzazione dei partiti comporterebbe probabilmente un’immissione nella sociologia politica delle classi dirigenti dei partiti ideologicamente centrali dello schieramento politico, quell’elemento di burocratismo che potrebbe portare a una maggiore auspicata integrazione del sistema politico italiano nel sistema politico europeo.
  2. Che il dibattito sulla tecnocrazia non è che l’altra faccia del dibattito scientifico sulla struttura interna del sapere economico, e che la classe dirigente di un partito che metta al suo centro un’analisi anche soltanto in parte materialistica della realtà non può ignorare il problema cruciale dei fondamenti metodologici e filosofici dell’economia politica e del suo rapporto con la politica.

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Scritto da
Gian Paolo Faella

Nato a Nocera Inferiore nel 1984. Dottore di ricerca in storia delle idee presso la Scuola Normale Superiore. Studia storia e filosofia e si prepara a insegnarle nei licei. Si interessa di politica e di scienza politica. Suona il basso elettrico e il contrabbasso.

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