Scritto da Antonello Fiorucci
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Uno dei principali argomenti di chi propone sentieri di crescita complementari ai settori tradizionali come la manifattura è quello che sottolinea la necessità di concentrarsi sullo sviluppo delle attività culturali, artistiche e turistiche. Questa tendenza è ripresa anche dai governi che spesso sembrano voler perseguire con determinazione questa strategia. Cerchiamo però di comprendere se le intenzioni producono anche dei fatti, analizzando alcuni dati su come si finanziano la cultura e gli istituti culturali.
Il 2014 è stato l’anno della conversione in Legge del DL 83/2014 cd. “Decreto Cultura“, che ha concentrato la sua attenzione su alcune specificità come l’Art Bonus, il Grande Progetto Pompei e più in generale su alcune agevolazioni rivolte ad istituti museali, a fondazioni Lirico-Sinfoniche e ad altri soggetti dell’industria culturale.
Al di fuori di questa cornice normativa, però, esiste un contributo ordinario annuale dello Stato per le istituzioni culturali che viene assegnato su base triennale; tale contributo è probabilmente uno dei sostentamenti economici principali per molti enti che generano pensiero e cultura in Italia e, dall’analisi della tabella che riassume i beneficiari per il triennio 2012-2014, possiamo provare a definire qualche riflessione in particolar modo per quanto concerne quelle realtà regionali che andranno al voto il 31 maggio.
Muovendo dal quadro generale, è possibile notare che il finanziamento complessivo stanziato è pari a 5,430 milioni di euro spalmati su 103 istituti con contributi che vanno dai 280.000 (destinati alla Giunta Centrale per gli Studi storici) sino a 25.000 euro (si veda la lista qui di seguito), con un contributo medio superiore a 50.000 euro.
Le sfere d’interesse degli enti coinvolti vanno dalla storia, le scienze politiche e sociali, sino alla musicologia, dalla filologia e biblioteconomia alle scienze, lettere ed arti (per la ripartizione si veda la lista di seguito).
A tale proposito, spostando il fuoco sulle realtà che sono in procinto di rinnovare i governi regionali, la situazione è presto riassumibile nella tabella sottostante.Gran parte degli istituti finanziati hanno un orizzonte operativo di carattere nazionale e settoriale, anche alla luce di una linea d’intervento dello Stato che ha questa finalità, ma tra questi ce ne sono 15 che concentrano le loro attività su un territorio di riferimento e tra questi ben 5 si trovano in Veneto.
A tale proposito, spostando il fuoco sulle realtà che sono in procinto di rinnovare i governi regionali, la situazione è presto riassumibile nella tabella sottostante.
Regione |
Toscana | Veneto | Liguria | Marche | Umbria | Campania | Puglia |
N° di Istituti Finanziati | 19 | 10 | 1 | 3 | n/a | 7 | 2 |
Ammontare complessivo ricevuto per regione | 1.050.000 | 545.000 | 25.000 | 105.000 | n/a | 290.000 |
50.000 |
Come è riscontrabile, la Toscana è di gran lunga la regione che più ha beneficiato di tali finanziamenti, mentre l’Umbria non può vantare nessun istituto tra quelli che hanno avuto accesso al contributo. A tale proposito, dovrebbero essere presi in considerazione dei meccanismi di bilanciamento per sostenere le molte realtà regionali che svolgono un ruolo rilevante nella produzione culturale, ma restano estromesse o fortemente sottodimensionate dal beneficio dei contributi di legge. Sembra necessario dire che non sembrano essere presenti correlazioni tra l’entità complessiva dei contributi elargiti su un dato territorio e l’affinità politica tra governo regionale e governo nazionale.
Alla Luce di questi dati, comprendiamo come il finanziamento delle attività e della produzione culturale abbia bisogno dell’intervento non trascurabile dai bilanci regionali.
Questo non sarebbe un problema in sé, a meno di non dover essere costretti a rilevare le condizioni in cui versano le casse delle Regioni. Proprio riguardo i bilanci regionali, la CGIA di Mestre ha sottolineato come le autonomie locali, ed in particolare le 15 regioni a statuto ordinario abbiano subito, tra il 2010 ed il 2015, un taglio dei trasferimenti pari 9,75 miliardi di euro. Le attività di taglio alla spesa si sono ripetute sia per quanto riguarda i comuni che le province con una virulenza comparabile a quella usata nel caso delle Regioni.
Ciò detto, emerge con chiarezza quanto il ruolo delle regioni risulti fondamentale nel finanziamento delle attività di produzione culturale che si concentrano in via preminente sui vari territori e che privilegiano un orizzonte geografico ad uno settoriale. Al contempo, sembra difficile immaginare un investimento corposo in termini evolutivi delle realtà culturali regionali, anche alla luce delle molte esose voci di spesa, la sanità su tutte, che bilanci delle regioni debbono affrontare.
A fronte del quadro complessivo degli investimenti sul comparto cultura, la strategia che vuole l’industria culturale affiancare attività tradizionali come volano per lo sviluppo potrebbe rivelarsi di realizzazione più complessa del previsto. È possibile affermare come ai fini di una competizione elettorale come quelle attualmente in corso nelle sette regioni sopra citate, il comparto cultura non rappresenti un settore in grado di muovere interessi, e quindi, voti, in maniera significativa, al punto che né a livello centrale né, a livello regionale la ricerca del pay-off tra un investimento settoriale ed un riscontro in termini di consenso politico sembra basarsi sul settore cultura, ma continua, nonostante i programmi, a guardare ai settori tradizionali.
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