Perchè continuare a parlare di meridionalismo. Recensione al volume a cura di Sabino Cassese
- 08 Settembre 2016

Perchè continuare a parlare di meridionalismo. Recensione al volume a cura di Sabino Cassese

Recensione a: Sabino Cassese (a cura di), Lezioni sul meridionalismo. Nord e Sud nella storia d’Italia, il Mulino, Bologna 2016, pp. 384, 25 euro (scheda libro)

Scritto da Giuseppe Grieco

7 minuti di lettura

Reading Time: 7 minutes

Il volume Lezioni sul meridionalismo (il Mulino 2016), racchiude le lezioni tenute da diversi studiosi dal settembre 2015 al febbraio 2016 presso il «Centro di ricerca per lo studio del pensiero meridionalistico “Guido Dorso”» in occasione del 90° anniversario della pubblicazione de «La Rivoluzione meridionale». I diversi saggi ripercorrono alcuni momenti della storia del meridionalismo dalla riflessione post-unitaria di Pasquale Villari e Giustino Fortunato all’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno1, ricostruendo anche la storia della questione sarda (Melis) della quale, al di là delle differenze, vengono evidenziati i punti di contatto con l’orizzonte continentale e riservando spazio ad interventi programmatici sul presente e futuro del Mezzogiorno (Giannola e Galasso).

Tali contributi non possono che offrire numerosi stimoli alla riflessione storiografica così come al dibattito pubblico, dopo gli ultimi vent’anni durante i quali la questione meridionale sia stata spesso «negata e abiurata, fino ad arrivare a preconizzarne la definitiva scomparsa, a sostenere provocatoriamente perfino la necessità di abolire il Mezzogiorno»2. Lo stesso titolo del volume nel richiamare il termine «meridionalismo» indica una precisa scelta di campo in contrapposizione ad un orientamento storiografico revisionista che, nato negli anni ’80, è giunto fino a negare l’esistenza di una «questione», rivalutando le condizioni del Mezzogiorno preunitario, contestando la visione di un Sud sottosviluppato ed anzi sostenendo la possibilità di uno sviluppo endogeno: da qui la necessità di liberare il passato e presente del Mezzogiorno dell’ottica, ritenuta inappropriata e falsante, della «questione» e del meridionalismo. Prospettiva, questa, messa in discussione a partire dal saggio di Galasso, Il Mezzogiorno “da Questione” a “problema aperto” (2005), che ha risvegliato posizioni dialettiche attorno all’analisi storiografica ed economica del Mezzogiorno.

Le Lezioni, infatti, si inseriscono nella serie di contributi storiografici che, di fronte al collasso socio-economico del Mezzogiorno ed all’aggravarsi dei divari tra Nord e Sud dopo il 2008, hanno acceso un vivace dibattito scientifico attorno alla storia ed identità del Mezzogiorno degli ultimi due secoli3, anche in virtù nella necessità di rispondere ad iniziative editoriali in cui la «convergenza tra processo al Risorgimento, revisionismo meridionalista e ideologia neoborbonica» ha prodotto una «totale mistificazione della realtà storica»4. Uno degli argomenti dei saggi, infatti, in anni in cui è tornato in auge, complice la decadenza della cultura politica repubblicana, «lo scontro tra nordismo e sudismo, tra confusi secessionismi e improbabili neo-borbonismi e neo-clericalismi»5, sta nel riaffermare, attraverso un’accurata ricostruzione critica e filologica, la prospettiva nazionale entro la quale va collocata tanto la riflessione meridionalistica nella sua dimensione storica, quanto ogni prospettiva di superamento della Questione e quindi dei «dislivelli di statualità» dello Stato italiano. È l’introduzione di Cassese, infatti, a delineare la cornice entro il quale si inseriscono i profili dei meridionalisti lungo il filo conduttore rappresentato dal processo di state-building italiano. Le analisi che essi dedicano alla questione, infatti, acquistano un pieno orizzonte di senso proprio perché non isolate dalla più ampia riflessione politica-intellettuale sull’identità stessa dello stato unitario, sulla riforma dell’ordinamento istituzionale (modello napoleonico vs. regionalismo), sulla selezione delle classi dirigenti, sull’integrazione delle masse popolari, sulla costruzione di una democrazia liberale.

 

La prospettiva stato-centrica della riflessione meridionale

Ben presente nell’analisi dei primi meridionalisti è, infatti, uno statalismo radicale, fondato sulla concezione hegeliana dello stato, in contrapposizione alla debole strutturazione della società civile6, così come l’eredità riformista illuminista (a partire da Genovesi e Galanti), fondata sull’analisi economica e sociale, le cui tracce nel pensiero liberale napoletano andrebbero più a fondo riconsiderate7: una filosofia civile a partire dalla quale il meridionalismo offre un prezioso contributo teorico alla fondazione dello stato unitario e mantiene viva nel corso dei decenni successivi un’idea circa il ruolo e la finalità dell’istituzione statuale, destinata a maturare nelle iniziative dei successivi decenni (Iri, Svimez, Cassa per il Mezzogiorno).

Fondamentale per mettere a fuoco i saggi in una prospettiva di lungo periodo è il contributo d’apertura di Bevilacqua nel quale si offre una lettura d’insieme del meridionalismo, inteso come «tradizione di pensiero, di culture, di forze politiche che, all’indomani dell’Unità d’Italia, pose al centro della riflessione il Sud come “questione”, squilibrio grave nella formazione della compagine nazionale» (p. 15). Se Bevilacqua anticipa che «nel primo quindicennio del Novecento […] la questione meridionale conosce uno straordinario arricchimento di temi e motivi» (p. 21), sono poi i contributi su Sturzo, Nitti, Gramsci, Salvemini, Fiore, Gobetti e Dorso a mostrare come lo snodo centrale di tale dibattito intellettuale sia rappresentato dai primi decenni del novecento. È in quegli anni che la riflessione sul Mezzogiorno, a partire dall’eredità, pur spesso criticata, di Villari e Fortunato, i quali pure si imposero come punto di riferimento per le analisi di Salvemini e dei più giovani Dorso e Rossi-Doria (Griffo), si intreccia con la necessità di ripensare le basi sulle quali poggia lo stato liberale. Decenni in cui si concentra la riflessione di grandi intellettuali meridionali, fondata «su un’analisi realistica della realtà da loro direttamente vissuta e ricostruita con un grande impegno etico e politico»8, partendo dalla critica verso le pratiche clientelari e trasformistiche della politica meridionale e la scarsa partecipazione dei cittadini al processo decisionale e di selezione delle classi dirigenti. Intellettuali, a partire da Napoleone Colajanni e Gaetano Salvemini che, rifiutando di assumere la tesi della razza come spiegazione dell’arretratezza meridionale, ne evidenziarono le cause socio-economiche, sollevando all’attenzione pubblica lo sfruttamento sociale delle plebi meridionali. Le Lezioni ricostruiscono quindi il delinearsi di due paralleli percorsi di riflessione: da un lato Salvemini è all’origine di un nuovo meridionalismo rivoluzionario, condividendo con Sturzo, pur se da prospettive diverse, la visione della questione meridionale come problema politico, di riforma dello stato e di emancipazione rurale (Giovagnioli) e ricercando il cambiamento in un’azione dal basso; dall’altro Nitti che, attraverso la collaborazione con il riformismo giolittiano, si fa promotore di politiche tese ad avviare nel Mezzogiorno un processo di industrializzazione (Barbagallo).

La riflessione di Salvemini, prima legata all’idea del protagonismo delle masse rurali nella lotta per la liberazione dall’oppressione politica e sociale, poi alla teoria di Mosca delle élites illuminate (Salvadori) è il punto di riferimento per la nuova generazione di studiosi che sviluppa, nel primo dopoguerra, un «sistema di politica meridionalistica» che trova espressione nella Rivoluzione meridionale di Guido Dorso, nelle Lettere pugliesi di Tommaso Fiore, nei contributi alla rivista politica di Gobetti, «La Rivoluzione liberale» e a «Quarto Stato» di Carlo Rosselli, come nel dibattito avviato da Gramsci all’interno del Partito Comunista. L’analisi sul Mezzogiorno slitta dal «paternalismo» del «meridionalismo economico» all’«autonomismo» del «meridionalismo politico» (Polito) e si salda alla riflessione sulla fragilità e crisi dello Stato liberale: dalla battaglia anticentralista di Fiore, all’esortazione di Dorso alla lotta politica per la maturazione di una nuova classe dirigente e partecipazione del proletariato agricolo.

 

Un meridionalismo mediterraneo ed europeo

Ribaltando la precedente prospettiva stato-centrica della riflessione meridionale, oltre che punto fermo dell’identità nazionale napoletana9, la soluzione al problema meridionale era individuata nell’azione delle forze liberatesi nella società, guidate da avanguardie intellettuali e giovanili: l’opera educatrice di nuova élite meridionale auspicata da Salvemini, Gramsci, Dorso e Gobetti, che avrebbe risvegliato le masse popolari. Nonostante ciò, una rinnovata classe dirigente capace di guidare lo sviluppo del Mezzogiorno sarebbe emersa, invece, attraverso iniziative legate al meridionalismo di segno industrialista di stampo nittiano, capaci di coniugare con la competenza tecnica lo sguardo profondo della progettualità politica. Sono in particolare i saggi di Barbagallo e Lepore ad evidenziare le continuità, pur tra innovazioni, tra il pensiero e l’azione di Nitti e quella dei «nittiani», a partire da Alberto Beneduce, fondatore dell’Iri, ed i suoi collaboratori Menichella, Giordani, Saraceno e Morandi, che nel secondo dopoguerra daranno vita al «nuovo meridionalismo», concretizzando l’idea di un intervento straordinario di sviluppo industriale nel Mezzogiorno. Una stagione animata dalla «carica culturale, morale, ideale della grande politica» (Galasso), ben testimoniata dal saggio di Giorgio Napolitano, già apparso nel 1952 e ripubblicato in appendice alle Lezioni. Tuttavia, non limitandosi a ricercare ricette per lo sviluppo in un’anacronistica riproposizione dell’esperienza della Cassa per il Mezzogiorno, proprio da quell’esperienza, la cui efficacia e validità è riconosciuta senza esitazioni, Lepore, Giannola e Galasso traggono utili indicazioni per ripensare una strategia di sviluppo del Mezzogiorno, a partire dalla necessità che le istituzioni nazionali tornino ad una funzione di programmazione e guida, superando la «comoda illusione di un localismo autopropulsivo» (Giannola) in prospettiva di un’integrazione delle politiche tra centro e periferia sotto la regia statale, coniugando all’attenzione verso le dinamiche territoriale la dimensione mediterranea ed europea (come intuito da Rossi-Doria) a partire da una revisione delle politiche di coesione.

Se già Barbagallo aveva individuato a cavallo tra ‘800 e ‘900 l’emergere di un dibattito intellettuale10 fondamentale per l’evoluzione della riflessione politica sul Mezzogiorno e l’elaborazione di un modello di azione poi realizzata nel dopoguerra, tale scambio e circolazione di idee diventa ora protagonista assoluto delle Lezioni: non isolando le analisi meridionaliste, bensì riuscendo a coglierne tanto le connessioni con il contestuale dibattito politico italiano, quanto con le più avanzate correnti internazionali di pensiero11, le Lezioni consentono di ripensare l’importante contributo offerto dai meridionalisti alla maturazione della cultura democratica italiana, offrendo nuovi stimoli e prospettive di studio sulla storia dello stato unitario e della questione meridionale, primo fra tutti la necessità di riconsiderare la lunga durata della riflessione politica meridionale e di riesaminare l’assetto socio-istituzionale del Mezzogiorno preunitario12. Le Lezioni, infine, se da un lato, accogliendo i più meritori risultati delle correnti revisionistiche, mostrano la necessità di evitare semplicistiche letture statiche e monolitiche della realtà meridionale, dall’altro, ponendosi in dialogo critico con quella stagione storiografica, rilanciano oggi l’importanza di una discussione aggiornata sul Mezzogiorno, di un meridionalismo mediterraneo ed europeo13 che imponga la propria voce, recuperi le fila di un discorso interrotto negli anni ’90 e riceva dalle nuove sfide poste dal presente l’impulso verso una programmazione unitaria e a lungo termine, tornando a riscoprire un patrimonio intellettuale che ci ricorda come il Mezzogiorno ed il suo potenziale rivoluzionario, ieri come oggi, rappresentino il più impegnativo terreno di prova ma anche la più solida prospettiva di riscatto per l’esperienza statale unitaria e per gli ideali della costituzione repubblicana.


1 Arricchendo, rispetto ai precedenti contributi, il panorama degli intellettuali ed il respiro del dibattito meridionalista a cavallo tra Otto e Novecento. Si confronti con uno dei capisaldi della storiografia sul meridionalismo, Giuseppe Galasso, Il Mezzogiorno da “Questione” a “problema aperto”, Piero Lacaita, Manduria, 2005, pp. 39-92.

2 Amedeo Lepore, Il dilemma del Mezzogiorno a 150 anni dall’unificazione: attualità e storia del nuovo meridionalismo, «Rivista Economica del Mezzogiorno», 25/1-2 (2011), p. 57. La più ampia riflessione di Lepore è alle pp. 57-66.

3 In particolare: Francesco Barbagallo, La questione italiana. Il Nord e il Sud dal 1860 a oggi, Laterza, Roma-Bari, 2013; Emanuele Felice, Perché il Sud è rimasto indietro, il Mulino, Bologna, 2013; Salvatore Lupo, La Questione. Come liberare la storia del Mezzogiorno dagli stereotipi, Donzelli, Roma, 2015; Aurelio Musi, Mito e realtà della nazione napoletana, Guida, Napoli, 2016.

4 Aurelio Musi, Mito e realtà, cit., p. 239. Per un’analisi della pubblicistica revisionista, Ivi, pp. 232-244.

5 Francesco Barbagallo, La questione italiana, cit. p. 73.

6 In particolare si vedano i contributi di Barra e Griffo su Villari e Fortunato. Una concezione dello stato che si accompagnava all’esaltazione del ruolo degli intellettuali e che pure resterà viva quando, a partire da Salvemini, incomincerà a mutare nella riflessione di alcuni meridionalisti lo spazio riservato all’azione statale.

7 E che, meritoriamente, Emanuele Felice è tornato a chiamare in causa e collegare alla successiva analisi socio-economica sul Mezzogiorno in Perché il Sud, cit. Si veda anche l’intervento dello stesso Felice sul «Corriere del Mezzogiorno», L’illuminismo dimenticato. Il dibattito sul meridione, del 16 gennaio 2015, http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/politica/15_gennaio_16/illuminismo-dimenticato-abee33b0-9d62-11e4-9b17-3e69e35a09c4.shtml.

8 Francesco Barbagallo, La questione italiana, cit., p. 71.

9 Sul concetto di Stato, in connessione con gli interventi di riforma, che si sviluppa nel Settecento napoletano, si vedano le riflessioni di Aurelio Musi, Mito e realtà, cit., pp. 73-84.

10 Francesco Barbagallo, Intellettuali e politica tra Ottocento e Novecento, in Id., La modernità squilibrata del Mezzogiorno d’Italia, Einaudi, Torino, 1994, pp. 23-34.

11 Il riferimento è in particolare ai contributi di Barbagallo su Nitti e di Fabiani su Manlio Rossi-Doria.

12 L’importanza di una rivisitazione del periodo preunitario per comprendere la storia del Mezzogiorno contemporaneo, è sottolineata da Emanuele Felice nella recensione al volume di Salvatore Lupo, La Questione, cit., apparsa sul Menabò 32/2015 di «Etica ed Economia», consultabile al link http://www.eticaeconomia.it/la-questione-meridionale-come-questione-sociale-a-proposito-del-libro-di-salvatore-lupo/.

13 Oltre alle argomentazioni di Lepore, Giannola e Galasso si vedano anche Francesco Barbagallo, La questione italiana, cit., pp. 219-225; Adriano Giannola, Una strategia per il Sud nel contesto nazionale ed europeo, «Rivista economica del Mezzogiorno», 28/3 (2014), pp. 419-431.

Scritto da
Giuseppe Grieco

Dottorando in History of Political Thought alla Queen Mary University of London e cofondatore del think tank Agenda. Laureato in Storia contemporanea alla Scuola Normale Superiore e all’Università di Pisa. Si occupa di storia del pensiero politico e del costituzionalismo europeo, con particolare attenzione al Mezzogiorno tra ‘700 e ‘800, e di storia globale e imperiale.

Pandora Rivista esiste grazie a te. Sostienila!

Se pensi che questo e altri articoli di Pandora Rivista affrontino argomenti interessanti e propongano approfondimenti di qualità, forse potresti pensare di sostenere il nostro progetto, che esiste grazie ai suoi lettori e ai giovani redattori che lo animano. Il modo più semplice è abbonarsi alla rivista cartacea e ai contenuti online Pandora+, è anche possibile regalare l’abbonamento. Grazie!

Abbonati ora

Seguici