Scritto da Luca Picotti
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Recensione a: Michele Mezza, Algoritmi di libertà. La potenza del calcolo tra dominio e conflitto, Donzelli Editore, Roma 2018, pp. XVIII-278, 18 euro (scheda libro).
Il filosofo Emanuele Severino, nelle sue numerose pubblicazioni, ha sempre portato avanti la tesi secondo cui la Tecnica, intesa come la capacità di organizzare i mezzi per raggiungere una serie indefinita di scopi, diventerà il fine ultimo dell’uomo. In altri termini – meno criptici-, l’uomo sarà destinato ad essere subalterno all’apparato tecnologico da lui stesso costruito, apparato che acquisirà sempre più potere e autonomia.
La rivoluzione digitale e tecnologica degli ultimi anni ha concentrato nelle mani di poche persone la possibilità di controllare una sterminata quantità di informazioni generate dalla rete e ordinate dalla potenza di calcolo degli algoritmi. Questa deriva «panottica», resa possibile dai nuovi strumenti tecnologici, dall’inerzia della politica e dalla poca consapevolezza di coloro che la subiscono, solleva quesiti di estrema importanza: come possiamo conciliare l’onnipotenza dell’algoritmo con la libertà? Quale deve essere l’equilibrio tra pubblico e privato? Come dobbiamo porci davanti alla Tecnica e ad un futuro sempre più incerto?
L’ultimo libro di Michele Mezza, giornalista e docente universitario, affronta con taglio critico i meccanismi attraverso cui la potenza dell’algoritmo sta svuotando le nostre libertà. Il volume è contenutisticamente densissimo: spazia dal rapporto tra social media ed elezioni politiche al movimento del ’68, dalla crisi della rappresentanza ai monopoli digitali. Il comune denominatore è rappresentato dalla posta in gioco: il futuro della nostra democrazia, minacciata dalla potenza dell’algoritmo e della Tecnica. Mezza sottolinea l’urgenza di un patto sociale fra gli utenti e i grandi players globali che sono proprietari dei dispositivi digitali, in modo che i primi possano diventare soggetti negoziali della potenza di calcolo: «Oggi la rete è uno spazio pubblico, gestito per lo più in termini oggettivamente privatistici, con una funzione sempre più intensamente commerciale, confiscato da pochi monopoli del software, che guidano i comportamenti di miliardi di naviganti» (p.62).
L’ipertrofico sviluppo della tecnologia negli ultimi cinquant’anni, oltre ad essere conseguenza della predisposizione tecno-razionale dell’uomo, trova le sue basi nell’idea, folle o saggia dipende dal punto di vista, per cui il calcolo sarebbe stato una via di liberazione ed emancipazione. Mezza riporta le parole di Adriano Olivetti, protagonista assoluto nel mondo dell’elettronica, per sintetizzare questo concetto: «attraverso la moltiplicazione di sempre più complessi ed esatti apparati di automazione, [l’elettronica] sta avviando l’uomo verso una nuova condizione di libertà e di conquiste»[1]. Era il 1959 e nell’immaginario collettivo stava iniziando a sedimentarsi l’equazione tecnologia uguale a libertà.
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Indice dell’articolo
Pagina corrente: Algoritmi di libertà?
Pagina 2: Dal ’68 al dominio degli algoritmi
Pagina 3: Algoritmi in equilibrio