Recensione a: Gian Enrico Rusconi, Egemonia vulnerabile. La Germania e la sindrome Bismarck, Bologna, il Mulino, 2016, pp. 171, 14 euro (scheda libro)
Scritto da Lorenzo Mesini
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Il 2015 è stato un anno particolarmente importante per la politica tedesca. Accanto alla crisi ucraina, alla crisi greca e a quella dei migranti, si è celebrato in Germania il bicentenario della nascita di Otto von Bismarck (1815-1898). La ricorrenza della nascita del “cancelliere di ferro” ha destato in Germania un rinnovato interesse per la sua figura e per il suo operato politico come padre della Germania unita. Tale interesse, lungi dal rimanere confinato entro i rigidi steccati della storiografia accademica, si è inevitabilmente intrecciato con il dibattito pubblico sulla politica estera tedesca e sul ruolo della Germania in Europa. Non sono mancati i confronti tra Bismarck e Kohl, artefice della riunificazione tedesca nel 1990 e tra la politica estera di Bismarck e quella di Angela Merkel. Già da diversi anni, infatti, il ruolo centrale assunto dalla Germania della Merkel all’interno degli equilibri europei aveva ridestato l’attenzione verso il paradigma geopolitico, di ascendenza bismarckiana, della Germania come “potenza di centro”. Ora che da diversi anni ormai la Germania sembra aver riacquisto la sua tradizionale posizione centrale (Mittellage), non solo negli equilibri europei ma anche tra Occidente e Russia, il confronto con Bismarck e la sua politica estera è diventato sempre più ricorrente non solo tra gli studiosi e i politici. Come è facilmente intuibile, il dibattito che ne è nato si è sviluppato in una fase speciale della storia tedesca, nel momento in cui la posizione di preminenza della Germania all’interno dell’Unione Europea è stata scossa e la configurazione del suo ruolo di guida politica messa in discussione da un’ampia serie di dinamiche interne ed esterne.
Egemonia vulnerabile di Gian Enrico Rusconi, professore di Scienza politica all’Università di Torino, offre un contributo originale alla tanto dibattuta questione dell’attuale egemonia tedesca e delle sue forme. Il dibattito era stato rilanciato all’attenzione del grande pubblico internazionale dall’Economist nel 2013, quando definì la Germania «egemone riluttante», denunciando così la ritrosia dei tedeschi ad assumersi le responsabilità derivanti dal ruolo di guida che di fatto detengono in Europa. La risposta fornita dall’Autore alla questione dell’egemonia tedesca non è semplice e lineare. Rusconi ha scelto di articolare la sua tesi affrontando il paragone storico, assai complesso, tra la Germania di Bismarck e la Germania di oggi. Attraverso la ricognizione critica di un ampio numero di studi storico-politici Rusconi individua le analogie e analizza le profonde differenze tra la nascita del Secondo Reich avvenuta nel 1871 e la riunificazione tedesca del 1990. La discussione del parallelismo storico in questione viene svolta attraverso un’agile trattazione, che riesce a combinare efficacemente la ricostruzione storica e la discussione delle interpretazioni fornite da numerosi studiosi (Dehio, Stürmer, Hillgrüber, Kundnani, Kissinger, etc.). Intento dell’Autore è quello di evidenziare con chiarezza i differenti problemi e i diversi scenari politici che si sono aperti per la Germania in seguito alle due unificazioni. Al fine di illustrare i punti di divergenza e di convergenza tra le due Germanie, i primi due capitoli del libro sono dedicati a un’attenta ricostruzione degli aspetti salienti del sistema bismarckiano e degli assi portanti della sua politica estera.
L’unificazione della Germania avvenuta nel 1871 è stata in primo luogo il risultato di tre guerre: Bismarck conquistò l’unità tedesca in seguito alla vittoria contro la Danimarca nel 1864, contro l’Impero austro-ungarico nel 1866 e contro la Francia di Napoleone III nel 1870-1871. Sul piano internazionale, la sconfitta dell’Austria-Ungheria e soprattutto della Francia rappresentò una forte scossa nel tradizionale equilibrio tra le potenze europee. Benjamin Disraeli, nel discorso che tenne come primo ministro alla Camera dei Comuni il 9 febbraio 1871, definì come una «rivoluzione tedesca» la fondazione vittoriosa di un grande stato germanico al centro del continente. L’assetto istituzionale assunto dalla Germania unita era di carattere tutt’altro che “rivoluzionario” ma combinava elementi “cesaristici” a elementi di innovazione istituzionale. Fortemente illiberale e in linea con la tradizione conservatrice dell’aristocrazia prussiana, la confederazione di stati (Staatenbund) nata nel 1871 presenta un assetto costituzionale saldamente monarchico, volto ad escludere ogni evoluzione in senso parlamentare. L’unico potere di cui disponeva il parlamento (Reichstag) davanti al governo e al cancelliere, che non erano responsabili davanti ad alcuna maggioranza parlamentare, era quello di approvare il bilancio (pp. 56-57). Come sottolinea chiaramente l’Autore, l’estensione del suffragio universale maschile concessa da Bismarck nel 1866, ben lungi dal rappresentare una misura democratica volta al riconoscimento della sovranità popolare, era tutta orientata al controllo del parlamento, facendo leva proprio sul sentimento monarchico ampiamente diffuso tra le masse per sottrarre così potere di influenza alla borghesia liberale (p. 45).
Rusconi sottolinea come Bismarck, più che portare a termine una rivoluzione, riuscì invece a instaurare un nuovo equilibrio tra le potenze europee, incentrato sulla nuova centralità guadagnata dalla Germania (pp. 51). L’azione e il continuo impegno diplomatico del “cancelliere di ferro” furono infatti altrettanto importanti delle vittorie campali conseguite dell’esercito prussiano. «Dobbiamo convincere il mondo – scriveva Bismarck nelle sue Memorie – che un’egemonia tedesca in Europa agisce in modo più utile, imparziale e meno dannosa per la liberto degli altri che non un’egemonia francese, russa o inglese» (p. 7). Bismarck, contrariamente a una certa tradizione militarista, non era un convinto sostenitore della supremazia e della invincibilità prussiana. L’unificazione da lui condotta a termine avvenne infatti sotto lo sguardo attento ma non contrario di Gran Bretagna e Russia, che di fatto acconsentirono alla realizzazione dei piani politici del cancelliere. Rusconi dedica particolare attenzione a sottolineare il fatto che Bismarck fosse pienamente consapevole dei limiti della potenza tedesca e della sua vulnerabilità, specialmente dopo l’unificazione del 1871. Il “cancelliere di ferro” sapeva molto bene, ricorda ai lettori Rusconi, che la Germania per via della nuova posizione centrale era particolarmente esposta alla formazione di coalizioni anti-tedesche. Era inoltre ben consapevole del fatto che l’equilibrio precedente si basava sul predominio delle potenze “laterali” (Russia e Inghilterra) rispetto a quelle centrali. L’impegno costante di Bismarck in politica estera fu quindi quello di evitare l’accerchiamento della Germania, convincendo i principali attori dell’epoca (Francia esclusa, per ovvi motivi) che il centro gravitazionale tedesco non rappresentasse una minaccia e che il nuovo equilibrio fosse maggiormente conveniente e offrisse maggiori garanzie di stabilità rispetto a un’eventuale egemonia inglese, russa o francese. Gli sforzi volti ad evitare l’isolamento della Germania e la formazione di coalizioni anti-tedesche, come illustra l’Autore, furono un lungo processo, un continuo «work in progess» a cui vennero dedicati i principali sforzi diplomatici del cancelliere (come ad esempio durante il Congresso di Berlino nel 1878). La visione di Bismarck viene perfettamente riassunta dalla sua definizione della Germania come «potenza satura» (saturierte Macht). L’espressione riassume le convinzioni maturate da Bismarck nel corso degli anni Settanta. La Germania avrebbe infatti escluso l’idea di condurre alcuna guerra preventiva a scopo espansionistico ma allo stesso tempo non avrebbe rinunciato al possibile uso del suo apparato militare a scopo difensivo. La “saturazione” della Germania, a cui è improntata la diplomazia da Bismarck, è concetto dinamico e non statico, sottolinea l’Autore, ed esprime l’assicurazione fornita dal cancelliere alle altre potenze europee di voler «tener lontano la guerra senza cancellarne la possibilità» (p. 65).
Senza cogliere le peculiarità della politica di Bismarck e dalla sua concezione dell’ordine internazionale non è possibile per l’Autore articolare correttamente il confronto storico tra l’egemonia della Germania di Bismarck e la tanto discussa egemonia della Germania dei nostri giorni. Sul piano interno la Germania bismarckiana era un singolare regime seminautoritario e semiparlamentare, in cui forti tendenze alla conservazione sociale e politica si saldavano su elementi di forte modernizzazione tecnica e amministrativa (p. 17). Lo sprezzante carattere antiliberale della cultura politica tedesca di allora propendeva fortemente alla definizione e al perseguimento di una speciale via tedesca (Sonderweg) alla modernità. La Germania di oggi, al contrario, è una liberal-democrazia fondata su istituzioni consolidate e su un sistema economico efficiente. La riunificazione del 1990, diversamente da quella del 1871, è stato il risultato di un lungo processo diplomatico ed è avvenuta all’insegna dell’idea tradizionale di nazione unita saldamente alla cultura liberale dei diritti. L’adesione a valori dell’Occidente è oggi un elemento indiscutibile all’interno della società e della politica tedesca.
Sul piano internazionale, Rusconi sottolinea invece come l’equilibrio ricercato e perseguito da Bismarck si basava in sostanza su un delicato sistema di bilanciamenti reciproci. Tale equilibrio era assicurato da un sistema di deterrenza e controdeterrenza che era funzionale ad evitare «un grande conflitto europeo che getti allo sbaraglio la “potenza di centro”» (p. 65). L’egemonia della Germania bismarckiana, diversamente da quella attuale, si inseriva infatti all’interno di un ordine internazionale eurocentrico, concepito come la risultante dell’equilibrio geopolitico tra le principali potenze dell’epoca. L’Europa dell’Ottocento era infatti il luogo in cui i piccoli e i grandi stati, tutti autonomi e formalmente sovrani, definivano le proprie alleanze cercando la soluzione migliore a sostegno del proprio interesse nazionale. L’equilibrio di potenze sovrane non rappresenta invece una valida chiave di lettura per il panorama europeo di oggi. L’Unione Europea si configura dal punto di vista politico come un sistema di negoziazione e di interdipendenze nazionali gestito «in modo non trasparente», precisa l’Autore, a livello intergovernativo dal Consiglio Europeo, piuttosto che a livello comunitario dalla Commissione e dal Parlamento Europeo. L’Unione Europea, inoltre, non è attualmente in grado di giocare autonomamente un ruolo geopolitico. La sua difesa è affidata sostanzialmente alla NATO e quindi all’alleanza strategica con gli Stati Uniti. In questo quadro, evidenzia Rusconi, «la Germania esercita un ruolo di supplenza o addirittura in qualche caso di sovrapposizione rispetto all’Unione Europea» (p. 20). L’attuale egemonia tedesca non è più di carattere geopolitico come nell’Ottocento, ma piuttosto di carattere geoeconomico. I consistenti interessi del sistema economico tedesco sono infatti proiettati nei mercati a livello globale e non restano confinati nel Vecchio Continente. Se l’intento principale di Bismarck era quello di difendere la posizione europea della Germania, evitando di fare apparire la sua egemonia come una minaccia e scongiurando la formazione di coalizioni antitedesche, al contrario l’attuale gestione tedesca della crisi europea ha dato luogo a una serie non trascurabile di frizioni e contrapposizioni con molti paesi dell’Unione, ponendo decisamente in cattiva luce il ruolo di preminenza della Germania al suo interno. In maniera analoga a quanto accaduto nel 1871, la Germania si ritrova a temere l’accerchiamento (questa volta politico, non militare) da parte di quei paesi per cui non è sopportabile la sua egemonia economica e che a un certo punto potrebbero coalizzarsi in funzione antitedesca.
Nel complesso, per Rusconi affrontare la questione dell’egemonia tedesca ha un duplice significato. Significa innanzitutto affrontare criticamente le diverse declinazioni della rapporto instaurato dalla Germania con l’ordine europeo. Rapporto che se un tempo era all’insegna dell’equilibrio geopolitico tra le potenze, oggi è di direzione politico-economica (all’insegna dell’ordoliberalismo) e, a volte, di sovrapposizione con l’Europa stessa, specialmente nel rapporto con gli Stati Uniti e la Russia. In secondo luogo, significa comprendere i motivi che sono alla base della “vulnerabilità” tedesca nell’articolazione del rapporto con l’Europa. Parlare di egemonia tedesca significa infatti focalizzare le ragioni e i problemi che sono alla base del suo carattere vulnerabile, tanto nel passato quanto nel presente. Il ruolo di nazione di riferimento giocato fino ad ora dalla Germania di Angela Merkel all’interno dell’ordine europeo ha paradossalmente posto la “potenza di centro” davanti a una serie di sfide politiche, per cui la sua egemonia di carattere strettamente geoeconomico si è trovata impreparata a fornire risposte adeguate. I recenti sviluppi della crisi che ormai da diversi anni sta attraversando l’Europa hanno infatti messo duramente alla prova la capacità tedesca di esercitare un autentico ruolo di leadership nel panorama europeo. Non solo per via delle proprie convinzioni economico-finanziare o per riluttanza, precisa l’Autore, ma anche per via delle numerose sfide politiche che oggi l’Europa si trova a dover affrontare. In gioco vi è infatti la capacità stessa della Germania di fornire risposte efficaci, e al contempo condivisibili dai suoi partner europei (senza trascurare la Russia), a quei problemi che non riguardano solo gli interessi tedeschi ma specialmente quelli di tutta l’Europa.