Scritto da Roberto Zambiasi
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A differenza del sunnismo, che ha sempre rappresentato la posizione di maggioranza all’interno della storia islamica, lo sciismo si presta naturalmente, in quanto minoranza, alla rivendicazione dei diritti degli oppressi e degli emarginati. In effetti, l’origine della separazione tra sunniti e sciiti è segnata dalla sconfitta e dall’uccisone di Ali (califfo dal 656 al 661 d.C.), cugino di Muhammad e suo genero, e primo imam dello sciismo, nella lotta per il califfato. Inoltre, e forse in modo ancora più carico di conseguenze, uno degli episodi fondativi della tradizione sciita è costituito dall’assassinio di Husayn, uno dei due figli di Ali, trucidato dall’esercito del califfo Yazud insieme ai suoi compagni, inclusi donne e bambini, durante la battaglia di Karbalā del 680 d. C. La battaglia, ricordata annualmente nel giorno di Ashura con processioni e flagellazioni pubbliche dagli sciiti di tutto il mondo, è all’origine del concetto di “martirio” (shahadat), che da allora in poi caratterizzò tutta la storia dello sciismo.
A partire da questi presupposti, non è difficile capire come un intellettuale quale Ali Shariati abbia potuto, nel XX secolo, interpretare la tradizione sciita nel senso di una dottrina volta alla liberazione degli oppressi, ovvero, ancora una volta, dei mustad’afun. Nato in Iran nel 1933, cresciuto in una famiglia profondamente religiosa e non estranea alla tradizione della mistica sufi, influenzato dal marxismo e dall’esistenzialismo di Jean-Paul Sartre scoperti durante la stesura del suo dottorato alla Sorbona sotto la guida di Georges Gurvitch, Shariati è un pensatore che sfugge ad ogni definizione[13]. Le uniche caratteristiche che lo contraddistinsero sempre furono l’intensa attività come professore ed educatore, anche dopo essere stato allontanato dall’università per motivi politici, e l’opposizione al regime dello Scià Reza Pahlavi. Molto si dovrebbe dire per rendere anche solo minimamente giustizia alla ricchezza del pensiero di questo autore, ma, in estrema sintesi, si può dire che Shariati tentò di innervare gli insegnamenti morali del Corano in categorie di analisi della società lato sensu marxiste[14].
Particolarmente significativa in questo senso è la rilettura della tradizione sciita. Shariati divide, infatti, la storia dello sciismo in due macro-categorie: da un lato vi è lo “sciismo rosso”, quello rivoluzionario, caratterizzato dalla lotta di Ali e degli imam che lo seguirono e, spesso, come già accennato sopra, conclusa col martirio; dall’altro vi è invece lo “sciismo nero”, quello che è emerso dalla creazione di una struttura politica esplicitamente sciita, ovvero la Persia safavide del XVI secolo. Mentre il primo, dunque, è uno sciismo che predica la giustizia sociale e la liberazione dall’oppressione, il secondo è caratterizzato dalla prevaricazione operata dal clero una volta acquisito il potere politico. Ironia della sorte, Shariati, il cui pensiero costituì una delle basi teoriche della rivoluzione khomeinista del 1979, avrebbe sicuramente considerato la repubblica teocratica iraniana emersa da tale rivoluzione come un esempio particolarmente negativo di “sciismo nero”. D’altronde, egli non poté nemmeno assistere all’inizio della rivoluzione, dato che morì in circostanze sospette nel 1977 a Londra, dove era emigrato dopo un lungo periodo di prigionia nelle carceri dello Scià.
Anche per l’intellettuale sciita, dunque, vale quanto detto in ambito sunnita per Hanafi. In entrambi i casi, mentre le rivendicazioni politiche del pensiero islamico sulla giustizia sociale sembrano essere state (almeno finora) sconfitte, resta come eredità permanente una riflessione di grande portata teorica capace di ispirare nuove generazioni di teologi e intellettuali e anche di semplici fedeli, islamici e non solo.
[13] Per un’analisi complessiva e aggiornata della vita e del pensiero di Shariati, si veda il recente volume edito da Byrd, D.J. e Miri, S.J. (2017). Ali Shariati and the Future of Social Theory, Leiden, Brill.
[14] Sul complesso e tormentato rapporto tra Shariati e il marxismo, cf. in particolare Bayat, A., Shari’ati and Marx: A Critique of an “Islamic” Critique of Marxism, Alif Journal of Comparative Poetics 10, 1990, pp. 19-41.
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